Questo approccio rappresenta un’importante scoperta di fisica di base dei sistemi di interfaccia, e presenta importanti conseguenze tecnologiche. A ipotizzarlo, un team internazionale di ricercatori, tra cui quelli dell’Università di Ferrara, guidati dal professor Simone Meloni.
Ridurre le masse tumorali in modo meno invasivo potrebbe essere possibile sfruttando il fenomeno fisico della cavitazione. È l’ipotesi recentemente avanzata su Nature Physics da un team internazionale di scienziati dell’Università di Magdeburgo (Germania), della Sapienza di Roma, della University Hospitals of Geneva (Svizzera) e del Laboratory of Materials Modeling and Simulations dell’Università di Ferrara, guidato dal professor Simone Meloni (foto).
“Tutti sanno che l’acqua bolle alla temperatura di 100 gradi – spiega Meloni (Dipartimento di Scienze chimiche, farmaceutiche e agrarie) -. Ma l’acqua può formare delle bolle anche a temperature più basse, se posta in condizioni di alta pressione negativa, ossia sotto forte trazione: tale processo si definisce cavitazione, perché si formano delle cavità nel liquido. In questo studio abbiamo dimostrato che gocce di particolari olii sospese in acqua possono promuovere la cavitazione. Ciò accade grazie all’aria disciolta nell’olio, che in condizioni di alta trazione si concentra all’interfaccia acqua/olio e forma un film che può trasformarsi in una bolla di cavitazione”.
Questo approccio, mai ipotizzato in precedenza, rappresenta un’importante scoperta di fisica di base dei sistemi di interfaccia, e presenta importanti conseguenze tecnologiche. In particolare può aprire il campo a innovative applicazioni mediche, come l’ablazione di tessuti tumorali attraverso l’applicazione di ultrasuoni a bassa intensità.
“La strategia attualmente utilizzata consiste nell’applicazione di ultrasuoni localizzati in prossimità del tessuto da trattare – sottolinea il professore -. Gli ultrasuoni producono bolle di cavitazione in loco che, esplodendo, portano alla rimozione del tessuto malato. Uno dei limiti di questa tecnica, però, è l’alta intensità degli ultrasuoni da applicare, che potrebbe essere notevolmente ridotta introducendo gocce (stabilizzate) di liquidi immiscibili ad alto contenuto d’aria nel sangue che, sottoposte a ultrasuoni di moderata intensità, possono produrre cavitazione attraverso il meccanismo identificato in questa recente ricerca”.
I ricercatori dello University Hospitals of Geneva stanno attualmente esplorando questa possibilità, usando gocce stabilizzate di perfluorocarburi, olii già utilizzati nell’attuale ricerca medica per il trasporto di ossigeno grazie alla alta solubilità di questo e altri gas nel liquido. A tal fine, uno dei temi che sono attualmente sotto indagine da parte del gruppo di Ferrara è quello degli effetti degli agenti stabilizzanti delle gocce di olio su meccanismo ed efficacia della cavitazione.
“Gocce di olio più minute – conclude Meloni – aumentano l’efficacia della cavitazione. Ma come tutti hanno osservato nella cucina della propria casa, le gocce d’olio disperse in acqua tendono a coalesnirsi in una singola grande goccia per ridurre l’area dell’interfaccia olio/acqua. Gli stabilizzanti hanno lo scopo di prevenire questo fenomeno. Come influenzeranno l’efficacia della cavitazione? Questa è la prossima domanda alla quale stiamo cercando di rispondere”.
Redazione Nurse Times
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