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Attentati a Bruxelles: bisogna ripensare all’Europa

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Mentre sono fermo ad un semaforo della mia città, osservo una famiglia composta da padre, madre e un bimbo dall’apparente età di 6 anni di chiara origine islamica…la domanda che mi pongo è la seguente: quanto conterà il mio atteggiamento per impedire o incoraggiare quel bambino perché domani possa compiere atti come quelli di Parigi, Istanbul oppure come tragicamente avvenuto ieri mattina a Bruxelles?

Questo è il punto dirimente della discussione, ovvero che a colpire il cuore dell’Europa non sono ragazzi provenienti con i barconi, sapientemente infiltrati, da zone di guerra. Sono i “nostri” ragazzi e l’aggettivo possessivo non è utilizzato per caso.
Non sostengo la causa di chi predica di aver allevato delle “serpi in seno” ma chi nota con molta amarezza che le politiche multiculturali sono miseramente fallite perché, aldilà di uno spirito solidaristico non abbiamo saputo costruire una società capace di essere inclusiva per tutti.

Chi spara e si uccide con il tritolo legato al corpo, ha una storia di emarginazione sociale e di microdelinquenza del tutto simile alle storie di periferie italiane dimenticate. La differenza è che di fronte ad una ideologia forte, come può rappresentare quella religiosa, la possibilità di sentirsi improvvisamente parte integrante di un processo storico diventa l’unica via di salvezza o redenzione.

Diffido delle parole di chi sostiene che il “suicidio” in nome di Allah avvenga solamente per una questione di follia collettiva, c’è in quel gesto (all’apparenza folle per la nostra unità di misura del pensiero) tutta la capacità di emancipazione di una generazione, non dissimile per altro dalle azioni terroristiche degli anni 70 in Italia.
Anche allora si stava assistendo ad un travaglio culturale tra la generazione dei padri e quella dei figli, una richiesta di rivendicazione che si sarebbe purtroppo trasformata in scontro sociale.
Chi oggi nato e cresciuto nella nostra cultura si allontana e ne denuncia drammaticamente le mancanze, ci sta dicendo che abbiamo fallito, che l’Europa ha fallito.

Esistono differenze tra questi “figli” che si ribellano ai “padri”?
Non possono essere le dinamiche di “attacco” che possono distogliere e distrarre il nostro sguardo e non devono essere le azioni di guerra in atto nel medio oriente a fare di tutta l’erba un fascio. Esse possono essere una conseguenza non certo l’origine. Dico questo perché nel cuore dell’Europa si sta consumando una guerra asimmetrica, dai mille volti coperti, dove è difficile prevedere mosse e contromosse e tutto porta inevitabilmente a quella sensazione che siamo di fronte ad un cambiamento epocale della nostra visione del mondo.

Oggi bisogna ripensare all’Europa, per come l’avrebbero voluta chi la sognò a Ventotene, chi la sancì sessant’anni fa, ripensarla sulla base degli errori compiuti inseguendo false piste nelle sabbie mobili del Medioriente, ripensarla sulla base dei nostri principi democratici che non possiamo esportare solo perché “da noi hanno funzionato” dimenticando il sacrificio di milioni di uomini prima di poterli vedere affermati.

In questo incubo siamo entrati tutti insieme, bianchi e neri, cristiani e musulmani, ed insieme è l’unica via per uscirne.
Il mio auspicio è che fiorisca una nuova primavera di dialogo che coinvolga tutti, con la ferma convinzione che chi semina odio e discriminazione debba essere isolato… non mi importa quale sia il suo nome o quale sia la sua provenienza! Costruiamo tutti insieme un percorso di riavvicinamento di popoli e culture!

Piero Caramello

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