Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte nel nostro paese, come in tutti i Paesi industrializzati.
La cardiopatia ischemica è la più frequente causa di morte. Sono più di 71.000 casi annui, manifestandosi in circa il 20% dei casi di morte cardiaca improvvisa o arresto cardiaco.
L’incidenza di quest’ultimo quadro morboso è valutata (indirettamente) intorno ai 12.000 – 15.000 casi annui. Di grande rilievo è poi I’angina instabile che colpisce circa 150.000 – 200.000 persone/anno.
Dagli studi epidemiologici sono stati identificati molti fattori di rischio correlati all’ instaurarsi di un quadro di morte cardiaca:
- età avanzata;
- sesso maschile;
- storia familiare;
- ipertensione;
- stress della vita quotidiana;
- fumo di sigaretta;
- obesità.
Per morte improvvisa si intende un decesso naturale che avviene in maniera imprevista o comunque inaspettata, in modo istantaneo o prevalentemente entro un’ora dalla eventuale comparsa di segni e sintomi premonitori.
La MI (morte improvvisa) può essere suddivisa in cardiaca e non cardiaca.
Quest’ultima costituisce meno del 10% delle MI e la causa del decesso è dovuta ad una patologia non cardiaca: patologie vascolari, cerebro – vascolari, neurologiche, respiratorie e iperstimolazione vagale.
La morte improvvisa cardiaca costituisce più del 90% dei casi di decesso per una patologia cardiaca.
Può verificarsi senza segni premonitori ed essere la prima manifestazione della malattia coronaria, nel qual caso il cuore è spesso sufficientemente sano da permettere al soggetto di sopravvivere, purchè venga soccorso precocemente, correttamente e con strumenti idonei.
Può diversamente essere preceduta da sintomi.
Da ciò deriva l’importanza di un pronto riconoscimento dei segni e sintomi dell’attacco cardiaco, ossia dei così detti “segni di allarme”, quali dolore o senso di oppressione al centro del torace o localizzato in corrispondenza dello stomaco, sudorazione, nausea, sensazione di mancanza di respiro e di debolezza.
Nel corso di attacco cardiaco è possibili che si verifichi la cessazione improvvisa dell’attività di pompa del cuore (arresto cardiaco) dovuta, in molti casi a fibrillazione ventricolare.
Per arresto cardiocircolatorio s’intende la brusca cessazione della perfusione periferica.
La dinamica dell’insorgenza di questo evento può venir ricondotta o ad uno stop dell’attività cinetica della pompa ventricolare, oppure ad uno stop dell’efficacia di pompa legato ad una gittata cardiaca assente, oppure ancora ad una discrepanza tra attività elettrica e polso.
Nel primo caso può venir meno la nascita dell’impulso (blocco senoatriale) o la sua propagazione ai ventricoli (blocco atrioventricolare) in assenza del subentro di un valido ritmo idioventricolare o giunzionale.
Nel secondo caso vi è la compromissione dell’efficacia di pompa a causa o di una frequenza cardiaca talmente elevata da rendere insufficiente il tempo di riempimento ventricolare (tachicardie ventricolari), o per contrazione caotica di tutte le miocellule ventricolari (fibrillazione ventricolare).
Nel terzo caso (dissociazione elettro-meccanica o attività elettrica senza polso) si presenta una discrepanza tra attività elettrica sinusale e gittata cardiaca che determina la cessazione della perfusione.
La cessazione dell’attività di pompa determina la scomparsa di tutti i polsi arteriosi, uno stato di ipossia che si ripercuote a livello cerebrale causando perdita di coscienza ed arresto respiratorio.
Il paziente passerà da uno stato iniziale di pallore cutaneo determinato dalla vasocostrizione alla comparsa di cianosi (dovuta all’aumento della carbossiemoglobina).
L’arresto respiratorio può essere accompagnato da una serie di atti respiratori inconcludenti (gasping).
A livello pupillare compare midriasi, inizialmente legata alla increzione di catecolamine e successivamente al danno cerebrale atossico. Nella fase più avanzata, le pupille possono diventare fisse e areflessiche (attenzione a non confondere la midriasi indotta farmacologicamente con quella di origine anossica).
Per questo motivo non si ricorre più all’osservazione delle pupille per la valutazione del danno anossico cerebrale. In assenza di intervento appropriato, l’arresto cardiocircolatorio conduce a morte nel giro di pochi minuti.
La diagnosi di arresto cardiocircolatorio viene posta, oltre che con il riconoscimento della sintomatologia, anche elettrocardiograficamente.
Assistenza infermieristica
Il luogo in cui si verifica la situazione critica è la variabile più importante, infatti per strada o comunque in una struttura non protetta, sono preponderanti le variabili tempo e professionalità dell’operatore.
Tanto è più veloce l’intervento e le tecniche sono mirate, tanto più aumenta l’indice di sopravvivenza della persona soccorsa.
In situazioni del genere, le decisioni che l’infermiere prende per attuare un soccorso di pronto intervento sono complesse in quanto:
- Il tempo è molto limitato;
- Spesso i dati a disposizione sono scarsi;
- È difficile stabilire quale priorità dare all’intervento;
- I ruoli dell’équipe devono essere rispettati;
- n questa situazione le competenze e l’abilità diventano determinanti nel garantire la migliore assistenza possibile.
In questa fase gli obiettivi sono i seguenti: mantenere una ventilazione e un ritmo cardiaco adeguati, controllare eventuali aritmie, stabilizzare il quadro emodinamico e ripristinare la perfusione dei vari organi.
A tale proposito è bene che il personale medico e quello infermieristico elaborino insieme delle procedure che assegnino ad ognuno compiti precisi da attuare nelle diverse fasi del trattamento.
Vi deve esser un team leader (generalmente un medico) che si assume il compito di coordinare l’équipe.
Un’altra figura, un infermiere, deve occuparsi del MCE (massaggio cardiaco esterno) e del monitor – defibrillatore.
Infine un terzo infermiere penserà alla somministrazione dei farmaci e la registrazione dei tempi tra una somministrazione e l’altra. Ciò è fondamentale per farmaci come l’adrenalina e l’atropina.
In una équipe di ACLS (Advanced Cardiac Life Support) ben organizzata, ogni decisione presa dal leader deve esser già nota ancor prima che venga annunciata.
In emergenza, non bisogna subire l’ordine del leader, ma è necessario prevederlo.
Tutti i componenti dell’équipe medico – infermieristica devono procedere rapidamente ad accertare la diagnosi di arresto cardiaco.
I protocolli sono uno strumento indispensabile nel processo delle cure infermieristiche, in ogni settore dell’assistenza, ma soprattutto nell’approccio ad un paziente per il quale è richiesto un intervento d’emergenza.
I protocolli operativi definiscono ed integrano comportamenti, azioni e tecniche mirate in modo da utilizzare risorse tecniche, strumentali e umane in funzione della situazione che si propone stabilendo obiettivi, esigenze e priorità.
Va comunque sottolineato che il protocollo va al di là dei bisogni e della psicologia del paziente.
Eseguire l’ABC e accertare, tramite il monitor ECG, la causa elettrica che ha determinato l’evento: fibrillazione ventricolare, asistolia ventricolare, dissociazione elettromeccanica.
Per farlo senza perdite di tempo, sarebbe utile applicare sul torace del paziente le piastre del defibrillatore, il quale ci dirà se ci troviamo di fronte a una fibrillazione ventricolare o ad altro ritmo.
Se l’arresto cardiaco si verifica in presenza di testimoni o durante il monitoraggio ECG, può essere indicato il pugno precordiale. Se però è disponibile fin da subito un defibrillatore, lo shock elettrico precoce è la prima ed unica terapia valida.
Nel frattempo, deve essere assicurata la ventilazione tramite il pallone Ambu con O2 puro, da permettere la rapida regressione di stati di ipossia e acidosi.
In queste fasi, il ruolo dell’infermiere è di vitale importanza, poiché è necessaria una rapida valutazione delle condizioni del paziente e l’inizio delle manovre di rianimazione compatibilmente con le proprie competenze.
Infine, è di estrema importanza coadiuvare il medico nelle procedure tecniche di sua competenza, fornendogli il materiale necessario e controllandone il corretto funzionamento; ciò presuppone che l’infermiere professionale conosca bene le tecniche e i presidi strumentali.
Deve monitorizzare in modo continuo il ritmo cardiaco, se ripristinato, e controllare tutti i parametri vitali, intervenendo prontamente in caso di nuova emergenza.
Dott.ssa Troia Patrizia
Dott.ssa Sgarra Nicoletta
Dott. Lorusso Nicola
Bibliografia
Emergenze cardiache di Peacock W.F., Tiffany B.R. Minerva Medica, 2008. Edizione italiana a cura di Massimo Minelli.
Cardiologia per Scienze Motorie e Infermieristica di Calabrò Raffaele, D’Andrea Antonello, Sarrubbi Berardo. Idelson-Gnocchi, 2006.
Manuale dell’arresto cardiaco intraospedaliero di Mennuni Mauro, 2013 edizione 1.
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