Ravenna, 15 giugno 2024 – È una vicenda complessa quella che coinvolge la morte di un paziente 67enne a Ravenna. Il 20 novembre 2022, l’uomo, in stato confusionale, fu trovato smarrito e infreddolito in un fosso, due giorni dopo essere stato dimesso dal pronto soccorso di Ravenna. Il suo stato di salute, peggiorato drasticamente, portò al decesso il 7 dicembre, a causa dell’ipotermia e della polmonite contratte durante le notti trascorse all’addiaccio.
Ora, per omicidio colposo in concorso, sono indagati i due infermieri dell’ambulanza che lo avevano trasportato al Santa Maria delle Croci e l’infermiere del triage che aveva preso in carico il paziente. L’accusa principale è di omessa sorveglianza, aggravata dal sovraffollamento dell’ospedale quel giorno.
Il Gip Janos Barlotti ha richiesto una perizia in incidente probatorio, affidata al medico legale Donatella Fedeli.
Le conclusioni della perizia scagionano gli infermieri e l’autista del 118, difesi dagli avvocati Giovanni Scudellari ed Eleonora Raggi, indicando che il loro comportamento fu conforme alle pratiche di riferimento, avendo affidato il paziente al triage.
Resta invece da chiarire la posizione dell’infermiere del triage, rappresentato dall’avvocato Laura Bozzi. Il paziente, giunto alle 13:30 del 18 novembre, in stato confusionale, era stato classificato come “urgenza differibile” (codice azzurro), con un tempo d’attesa massimo di un’ora. Tuttavia, venne chiamato solo dopo due ore e mezza, quando si era già allontanato, secondo alcuni testimoni.
L’accusa di condotta colposa si basa sul ritardo nella visita e sulla mancata sorveglianza del paziente. Il consulente del pubblico ministero, Matteo Tudini, ha sottolineato che “il monitoraggio avrebbe dovuto essere attento da parte del triage” e che “la mancata vigilanza è censurabile in relazione alle condizioni del soggetto”.
Tuttavia, Tudini riconosce anche che il ritardo potrebbe essere stato causato da problematiche organizzative, con 49 pazienti presenti in pronto soccorso in quel momento, rendendo il ritardo “accettabile” proprio per il sovraffollamento.
Il consulente della difesa dell’operatore di triage, Giuseppe Venturini, ha ribadito che il pronto soccorso era in condizioni di sovraffollamento, impedendo il rispetto delle tempistiche di accettazione e rivalutazione.
I familiari del paziente, quel giorno, non poterono accompagnarlo: il figlio era febbricitante, la nuora impegnata al lavoro. Vennero allertati dall’ospedale intorno alle 16 della sparizione dell’uomo e, non vedendolo rientrare, denunciarono la scomparsa in Questura il giorno successivo. Le ricerche coinvolsero volontari e portarono infine al ritrovamento del paziente, purtroppo in condizioni critiche.
Questa tragica vicenda mette ancora una volta in luce le criticità del sovraffollamento dei pronto soccorso italiani e delle responsabilità degli infermieri.
Redazione Nurse Times
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