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Alzheimer, un nuovo farmaco riduce le placche nel cervello

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Un nuovo farmaco, presentato sulla rivista Nature, ha avuto dei risultati incoraggianti nella lotta alla malattia di Alzheimer. I pazienti trattati avrebbero dimostrato una riduzione delle placche e del declino cognitivo. È tutto pronto per un Trial (Fase III) su 2700 persone.

Aducanumab. È questo il nome di un nuovo farmaco, sviluppato dalla statunitense Biogen, che sarebbe in grado di rallentare il declino cognitivo tipico delle demenze e della malattia di Alzheimer. Come? Il preparato, un anticorpo monoclonale isolato in persone sane con una particolare resistenza al declino cognitivo, riuscirebbe a ridurre in modo significativo l’accumulo di proteina beta-amiloide nel cervello, che è considerata la causa patologie suddette.

Lo studio (di fase I), apparso sulla copertina della rivista Nature, ha visto la sperimentazione del medicinale su un gruppo di 165 persone con Alzheimer moderato: metà hanno ricevuto l’infusione, mentre gli altri un placebo. Ebbene… gli autori indicano che in chi ha assunto il farmaco, si è verificata una progressiva riduzione delle placche (misurate con la Pet) e del declino cognitivo; cosa che non è avvenuta in chi ha assunto un placebo.

Risultati incoraggianti, come evidenzia Roger Nitsch dell’università di Zurigo: “Dopo un anno le placche sono quasi completamente scomparse”.

Ci troviamo quindi di fronte ad un farmaco rivoluzionario, pronto per sconfiggere, finalmente, la malattia di Alzheimer? Niente trionfalismi, serve cautela: in questi ultimi tempi sono stati parecchi, infatti, i principi attivi sperimentati contro la patologia e che in realtà, dopo essersi rilevati promettenti nelle prime fasi di studio, sono poi risultati essere dei fallimenti.

Valuto questo studio molto importante e incoraggiante e ho l’impressione che, con le dovute cautele, ci stiamo avvicinando a una soluzione concreta per curare l’Alzheimer. È stato dimostrato che il farmaco riduce l’amiloide nel cervello, ma non sempre si sono visti gli effetti clinici. In questo caso sia nell’animale sia nell’uomo anticorpo monoclonale si lega alla betamiloide e ne produce una riduzione. La novità è che anche se in condizioni sperimentali e molto precarie si è vista oltre alla riduzione delle placche anche la riduzione dei sintomi. È decisamente passo in avanti”. Queste le parole di Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e direttore scientifico del Gruppo di ricerca Geriatria di Brescia.

Più prudente Sandro Iannaccone, primario della neuroriabilitazione del San Raffaele di Milano: “L’educanubab è efficace nel ridurre gli accumuli, ma al momento non è ancora chiaro se riduca anche i sintomi, cioè se sia in grado di contrastare la demenza e sia efficace a livello di memoria”.

Non ci sono stati effetti collaterali significativi, a parte alcuni casi di emicrania in pazienti che presentavano una particolare variante genetica. Perciò la ricerca andrà avanti: la prossima tappa è un trial (fase III, ovvero quella in cui si verifica l’efficacia di una terapia su un numero ampio di persone) su 2700 pazienti affetti da forme lievi o moderate di Alzheimer, che dovrebbe concludersi e dare vita ad una nuova terapia entro l’anno 2020.

Alessio Biondino

Fonti: Corriere della Sera, ANSA, Nature

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