Virtual breastfeeding support o tele-lactation in aiuto delle mamme.
Sostenere l’allattamento materno a distanza utilizzando pc, tablet o smartphone. Le madri possano incontrare in videoconferenza da casa chi le supporti nella scelta di nutrire con il loro latte il bambino. Parliamo del virtual breastfeeding support o tele-lactation, cioè di quando la e-technology incontra la cosa meno tecnologica che c’è: l’allattamento.
A partire da ieri, 1° ottobre, fino al 7 del mese si celebra la Settimana mondiale per l’allattamento materno, istituita dall’Oms per sensibilizzare tutti sull’importanza e il valore del latte materno e per promuovere, almeno fino ai sei mesi di vita, quello naturale. Una pratica che, come molto altro del resto, le misure di isolamento e la ridotta mobilità adottate per contrastare la diffusione del virus Sars-cov-2 ha inevitabilmente messo alla prova, e complicato la vita delle donne, magari al primo figlio, che hanno difficoltà a far attaccare il bambino al seno e necessità di essere consigliate.
“Nel periodo del lockdown abbiamo riscontrato una certa diminuzione dei progressi fatti negli ultimi anni nell’allattamento materno, dalla quale però ci siamo ripresi presto e bene, grazie a un forte impegno dei neonatologi e di tutti gli operatori, e anche alla tecnologia”, dice Fabio Mosca, presidente della Società italiana di neonatologia (Sin), impegnata da sempre nella promozione dell’allattamento materno come forma di salvaguardia della salute dei bambini e delle donne (allattare abbatte il rischio di ammalarsi di diverse forme di tumore e di osteoporosi, tanto per dire).
“Quando abbiamo avuto i primi casi di madri positive al Covid – racconta Mosca, che è ordinario di Pediatria e direttore della Scuola di specializzazione all’Università degli Studi di Milano – avevamo a disposizione solo l’esperienza della Cina. I cinesi raccomandavano di separare le madri Covid-positive dai loro neonati azzerando di fatto le possibilità di allattare. Noi, come Sin, a fine febbraio abbiamo stabilito che la mamma positiva ma asintomatica o paucisintomatica poteva essere isolata insieme al suo bambino, che era in camera con lei a due metri di distanza. E che il neonato poteva essere allattato con la mamma che indossava la mascherina. Il risultato è stato che il 37% dei bambini nati da madri covid-positive ha avuto un allattamento al seno”.
A questo proposto è bene ricordare che il coronavirus non viene trasmesso attraverso il latte materno, che è non solo sicuro ma ha proprietà che potrebbero proteggere il lattante dalle infezioni. “Le mamme non positive hanno avuto in ospedale un percorso covidfree, che ha funzionato bene – prosegue Mosca –. Quindi una certa diminuzione dei tassi di allattamento al momento della dimissione dalle maternità c’è stata, ma non è stata sostanziale. Abbiamo fatto più fatica a far partire l’allattamento, ma ce l’abbiamo fatta”.
Il problema c’è stato semmai una volta fuori dall’ospedale, quando per ragioni legittime di contenimento del virus le madri sono state meno sostenute nella fase, non per tutte semplice, di continuare ad allattare in casa. E’ così? “Le madri hanno avuto in effetti più difficoltà di spostamento e più complicazioni negli accessi in ospedale e negli incontri fisici con gli specialisti dopo il parto – aggiunge Mosca –. Ma anche per ovviare a queste situazioni abbiamo aumentato il sostegno telefonico con infermiere, associazioni di volontarie, ostetriche. E in molte maternità della penisola è stato avviato il sostegno virtuale, cioè la telelactation”.
“La maternità è antitetica alla solitudine e la diade madre-figlio ha bisogno di essere sostenuta fisicamente: con la presenza una nonna, con un’amica, con una volontaria o con operatori esperti – dice Massimo Agosti, docente di Pediatria all’Università Insubria, direttore del Centro donna e bambino di Varese, e presidente della Commissione allattamento Sin –. E c’è bisogno di contatto in particolare durante l’allattamento. In questo senso il Covid non ha aiutato, e in parte continua a non aiutare. Ma la tecnologia ci ha consentito di avere un’opzione B: la telelactation, che da anni si pratica in Nordeuropa e Nordamerica, anche se non può sostituire il tatto e la presenza, aiuta. Lo ha fatto nel corso della pandemia, ma può farlo in futuro per raggiungere madri che risiedono in zone isolate del paese, o a bassa redditività”.
“Il virtual breastfeeding support – spiega ancora Agosti – è stato sperimentato in tante maternità italiane nel periodo del lockdown, per esempio al Cervello di Palermo e alla Mangiagalli di Milano, ed è stata un’esperienza positiva, ha funzionato. Le mamme hanno allattato davanti a uno schermo utilizzando una piattaforma di videoconferenza mentre in diretta un esperto dava indicazioni per migliorare la poppata e risolvere eventuali problematiche”. Il risultato? “Abbiamo dati preliminari che indicano che durante i 4 mesi da fine febbraio a fine giugno 2020 il 75% delle madri ha allattato”.
Questa è stata la situazione durante l’emergenza. Ma al di là della pandemia, quali sono i problemi strutturali che ostacolano l’allattamento nel nostro Paese, e quali le possibili soluzioni? “Oggi – riprende Mosca – i dati ci dicono che al momento delle dimissioni dai reparti maternità il 75% dei neonati è allattato esclusivamente al seno, il 20% prevalentemente al seno e che solo il 5% dei bambini esce dall’ospedale allattato con formulazioni artificiali, quindi il problema non c’è in ospedale, al momento dell’avviamento all’allattamento”.
Poi, però, le cose cambiano: dati Sin dicono che a tre mesi dalle dimissioni l’allattamento esclusivo è al 45% e a sei mesi è al 5%. Cosa succede in questo periodo? Perché c’è un crollo così evidente tra l’avvio e il mantenimento dei tassi di allattamento? È un fatto mancanza di assistenza territoriale alla maternità? “Non direi – è la riflessione del presidente Sin –. Una volta fuori dall’ospedale le madri hanno il pediatra di famiglia, consultori, associazioni, una rete a cui riferirsi in caso di problemi con le poppate. E due visite post-parto in ospedale. Certo, tutto questo è migliorabile ma non è il problema. Il crollo dell’allattamento al seno è dovuto alla ripresa del lavoro che in Italia non è organizzato per sostenere le madri che allattano e in particolare quelle che allattano a richiesta. Secondo noi neonatologi il congedo di maternità deve durare per i primi sei mesi di vita del bambino”.
Le banche del latte o Blud (che sta per banche del latte umano donato) sono sistemi per raccogliere e conservare il latte di madri che ne hanno molto e destinarlo a bambini prematuri o con patologie o malformazioni le cui madri hanno difficoltà ad allattare. Il latte umano viene donato direttamente in ospedale o è raccolto a domicilio dagli operatori. Viene congelato e sterilizzato “e sebbene non conservi per intero tutte le caratteristiche del latte materno non lavorato, rappresenta una soluzione comunque migliore dei latti formulati: il latte donato è più digeribile di quello artificiale, e in letteratura abbiamo dati che indicano che i prematuri nutriti con latte donato hanno prognosi migliori”, spiega Agosti.
Secondo i dati Sin durante la fase 1 dell’emergenza Covid, le donazioni si sono ridotte anche del 50% o oltre. “Le donatrici – conclude il responsabile Sin per l’allattamento – non potevano raggiungere gli ospedali, e i sistemi di raccolta a domicilio non hanno potuto funzionare al ritmo solito. Quindi sì, una flessione c’è stata, ma da luglio le Blud sono ripartite. L’Italia è il Paese con più banche del latte in Europa. Andiamo fieri della solidarietà delle nostre madri”.
Redazione Nurse Times
Fonte: la Repubblica
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