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Aggressioni nei Pronto Soccorso problema locale o di politica sanitaria nazionale?

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Tempi di attesa troppo lunghi per i referti: aggredito infermiere
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Sempre più spesso ci troviamo a dover dare notizia di colleghi aggrediti nei pronto soccorso di ambulanze assaltate da folle inferocite e di situazioni al limite del tollerabile tanto che ultimamente anche alcuni collegi provinciali IPASVI (BARLETTA ANDRIA TRANI ed in questi giorni COSENZA) sono intervenuti sulla questione segnalandola a tutela dei propri iscritti.

La situazione è generalizzata e riguarda un pò tutte le regioni dal nord al sud passando per le isole forse qualche leggera differenza a seconda delle aree geografiche, ma comunque generalizzata  e naturalmente più evidente nei pronto soccorso sempre più affollati e congestionati.

Tutta questa miriade di avvenimenti sparsi per il nostro paese che vanno dalle aggressioni verbali fino a vere e proprie aggressioni fisiche nei confronti degli operatori sanitari infermieri in primis, sono talmente frequenti da non venire spesso neanche segnalati, dovrebbero invece essere trattati dalle diverse aziende con gli strumenti del risk management ed essere a seconda del caso giudicati eventi sentinella o eventi avversi e non semplicemente archiviati come inevitabili ed imprevedibili perchè poi di fatto non lo sono.

Bisogna avviare un dibattito e interrogarsi sui motivi di questa deriva e quali sono i punti di caduta dell’organizzazione che portano a reazioni violente da parte degli utenti.

Prima di iniziare una qualsivoglia disamina bisogna dire e sottolineare che attualmente nel nostro paese  non si dispone di dati certi questi episodi vengono infatti nascosti sotto i tappeti delle varie aziende e non esistono registri di tali eventi bisogna quindi avvalersi delle testimonianze dei colleghi che lavorano in questi ambiti e delle esperienze personali

Possiamo innanzi tutto cercare di capire quel è l’identikit degli aggressori, pur non essendoci dati statistici certi perché il fenomeno non è mai stato studiato seriamente sulla base della mia esperienza e di quella di altri colleghi che lavorano nel campo direi sostanzialmente tre categorie:

  1. il paziente con problemi psichiatrici è colui che per le sua patologia e per una serie di fattori concomitanti tra cui paura, delirio, ambiente e stress del trasporto in ospedale reagisce violentemente a queste situazioni stressanti per lui, normalmente la sua violenza si ferma all’aggressione verbale e molto più raramente diventa fisica in ogni caso il più delle volte questo passaggio è annunciato da una serie di segnali di allarme che andrebbero riconosciuti e quindi il più delle volte possono essere prevenuti in ogni caso questi episodi sono percentualmente davvero scarsi;
  2. il paziente con abuso di sostanze in grado di alterare la percezione dell’individuo fanno scattare l’aggressività anche per la caduta di ogni tipo di freno inibitorio. In questo caso la paura e l’ambiente circostante possono essere fattori scatenanti la reazione violenta, molto spesso si tratta di aggressioni verbali che prima di diventare fisiche vengono annunciate da una serie di segnali di allarme che andrebbero colti, essendo molto spesso soggetti conosciuti dal personale sanitario addetto perché abituali frequentatori dei pronto soccorso. In questo caso percentualmente pur essendo un numero maggiore degli psichiatrici restano comunque confinati ad un livello di esiguità almeno per quello che riguarda le aggressioni fisiche.
  3. i parenti dei pazienti o i pazienti stessi che gravitano occasionalmente nei pronto soccorso per i motivi più disparati, sono i possibili ‘aggressori’, derivanti purtroppo dal sovraffollamento, dovuta ad una oggettiva incapacità della struttura di reggere il flusso incontrollato di pazienti, generati dalle lunghe attese o dalla scarsa considerazione per l’utente da parte di un personale che oggettivamente proprio non ce la fa ad assistere adeguatamente tutti; causa anche un ambiente caotico e sovraffollato e dall’effetto domino che spesso finisce per coinvolgere più persone e che diventa un’escalation che inizia dalla protesta verbale e termina prima o poi nell’aggressione fisica rivolgendo la violenza distruttiva, forse non a caso, anche contro la struttura oltre che naturalmente verso il personale. Anche qui ci sono sempre segnali di allarme prima che l’aggressione fisica avvenga, ma è estremamente difficile coglierli; in questo caso qualcosa si potrebbe fare per prevenire, ma è sicuramente più difficile ed imprevedibile a volte basta una risposta data con sufficienza per scatenare il putiferio. Queste sono le aggressioni statisticamente più rilevanti e quelle che producono maggiori danni sia alle strutture che al personale e sono anche le più difficili da gestire perchè non sono dettate da una patologia, ma dall’esasperazione dal non soddisfacimento di un bisogno primario.

Quello che mi preme sottolineare è il problema organizzativo che è insito si nelle diverse aziende sul territorio e che molto potrebbero fare in termini di prevenzione anche semplicemente considerando questi eventi come eventi sentinella o nei casi di aggressione fisica come eventi avversi ed affrontarli con le tecniche di risk management.

Ma sopratutto è insito nell’organizzazione e nella gestione dei vari SSR. Non è infatti un caso che nelle regioni dove c’è una maggiore attenzione per l’assistenza territoriale e si offrono valide alternative all’ospedale questi eventi si verificano più di rado in questa ottica non è quindi scevro da pesanti responsabilità  l’intera organizzazione del SSN e questo naturalmente è di difficile soluzione perchè necessita di una seria revisione delle politiche sanitarie nazionali e di investimenti a breve medio e lungo termine.

Chiaramente ogni singolo caso è una storia a se e come tale andrebbe valutata e studiata a fondo per porre a livello locale i necessari interventi organizzativi capaci di impedirne il ripetersi, ma appare altrettanto chiaro che tutti questi eventi avversi o sentinella che siano, hanno alcuni denominatori comuni:

  • Il livello socio culturale degli utenti aggressori o la loro patologia;
  • il sovraffollamento delle strutture di pronto soccorso;
  • la carenza di personale sopra tutto infermieristico delle strutture stesse;
  • la carenza di una politica sanitaria rivolta al territorio e l’assenza sullo stesso di strutture alternative all’ospedale;
  • L’impossibilità materiale di accogliere ed ascoltare adeguatamente gli utenti e di cogliere i segnali di allarme per tempo con conseguente possibilità di gestirli diversamente;

Questi sono i punti di caduta che coinvolgono i problemi organizzativi relativi ai SSR e all’intero SSN non essendo possibile allo stato attuale per le varie aziende territoriali porre in essere una qualsivoglia forma organizzativa capace di fronteggiare o migliorare se non in maniera del tutto marginale questi  aspetti perchè a monte di tutto ciò c’è un modello organizzativo dell’intero sistema sanitario molto farragginoso ed ancora troppo incentrato sull’ospedale, come panacea di tutti i mali nel tempo si è aggiunta una politica di tagli trasversali selvaggia che ha ridotto il numero di ospedali, posti letto e personale.

Fino a quando non si prenderà coscienza di quanto tutto questo influisca negativamente nella coscienza collettiva e quindi nel verificarsi di questi episodi non si potrà in nessun modo mettere mano alla soluzione del problema.

Possiamo a questo punto affermare almeno che il ripetersi, ormai sistematico direi quasi giornaliero e troppo spesso sottaciuto perché non ritenuto rilevante finché non si presentano episodi particolarmente gravi, in almeno quattro dei cinque fattori scatenanti sopra citati come comuni denominatori ha delle responsabilità che vanno ricercate nella gestione della politica sanitaria di questi ultimi decenni  in un circolo vizioso in cui si è perso completamente di vista il cittadino utente ed i suoi bisogni di salute che ha nei fatti reso la salute un vero e proprio lusso.

Naturalmente anche le singole aziende hanno delle responsabilità non fosse altro quella di misconoscere e nascondere questi eventi e quindi di non affrontarli secondo i dettami del risk management quante volte si fa una RCA per questi eventi?

Quali correttivi organizzativi e strutturali si progettano?

Pur essendo vero che le risorse sono poche ciononostante qualcosina si potrebbe fare: ogni tipo di aggressore per la quasi totalità dei casi prima di agire con un’aggressione fisica manda dei segnali di allarme e saperli riconoscere, gestirli al meglio può evitare la progressione verso l’aggressione fisica.

Ma quante aziende hanno formato il loro personale a riconoscerli ed a saperli mediare in modo da prevenire?

Ed in più quante risorse umane vengono dedicate a situazioni così delicate ed emotivamente di impatto sia per i dipendenti che per gli utenti? Inoltre i locali dedicati sono sufficientemente ampi, consentono il rispetto della privacy dei pazienti, ci sono locali dedicati ai più facinorosi in modo da stemperare l’effetto domino?

Certo non è sicuramente la soluzione, ma trattare questi eventi in modo adeguato aiuta molto, inoltre riconoscerli come evento sentinella o evento avverso secondo i casi non solo sarebbe corretto ed auspicabile ma tramite gli strumenti del risk management sicuramente ci permetterebbe di studiarli e di trovare correttivi via via sempre più efficaci.

Cosa invece dovrebbe fare la politica per porre argine a questo deplorevole stato di cose?

In primissimo luogo sarebbe necessario l’istituzione di un registro regionale che a sua volta confluisca in uno nazionale al fine di studiare fino in fondo la reale entità del problema sia a livello locale che più in generale a livello nazionale e verificare le cause scatenanti avendo  cura a livello locale di segnalare ogni evento sentinella (aggressione verbale) ed ogni evento avverso (aggressione fisica) con uno studio di risk management ed una RCA allegati in modo da cercare di raccogliere dati necessari per una analisi profonda del fenomeno in quanto ad oggi il fenomeno non è affatto studiato e non ci sono dati disponibili in merito anche perché troppo spesso questi episodi non vengono riconosciuti e trattati per quello che sono vengono cosi relegati alla normale routine di pronto soccorso.

A breve termine sarebbe opportuno che scendesse in campo con una campagna informativa interna (conseguenze delle scelte politiche fatte) ed esterna (rivolta alla popolazione) capillare e puntuale che abbia il duplice scopo di:

  • avviare una seria riflessione sullo stato ormai da rianimazione in cui versa il SSN sulle mutate esigenze dettate dai cambiamenti demografici e dallo spostarsi verso la cronicità e la disabilità del focus assistenziale e progettare per il medio e lungo termine nuovi e più consoni modelli organizzativi finanziando di conseguenza capillari ed improcrastinabili interventi
  • avviare una capillare campagna informativa e di educazione all’utilizzo dei pronto soccorso, ma sopra tutto volta a dire senza se e senza ma che gli operatori sanitari che vi operano lo stanno facendo allo stremo delle forze e che il loro numero è già fin troppo limitato quindi aggredire questi operatori significa nei fatti ridurre per un periodo più o meno lungo ulteriormente il loro numero, significa minare le loro motivazioni e di conseguenza l’unico risultato che si ottiene è peggiorare la situazione.

A medio termine bisogna che dalla seria riflessione di cui sopra scaturiscano progetti e nuovi modelli organizzativi per il nostro SSN capaci di affrontare le sfide del futuro che devono necessariamente avere lo scopo di:

  • colmare in modo il più completo possibile il vuoto nelle piante organiche la federazione nazionale IPASVI in uno studio recente parla di almeno 47000 infermieri mancanti all’appello solo per coprire i vuoti nelle piante organiche e che per implementare i servizi sul territorio ne mancano altri 15000/18000
  • iniziare a spostare il focus del SSN dal curare al prendersi cura dagli ospedali ai territori; se analizziamo gli accesi ai pronto soccorso ci rendiamo conto facilmente che una grandissima fetta di questa è relativa a problematiche che potrebbero essere trattate nel territorio presso le strutture ambulatoriali e presso i medici di famiglia. Questo aspetto è di fondamentale importanza in quanto verrebbe ad evitare il congestionamento dei pronto soccorso e permetterebbe di trattare più adeguatamente e con maggiore rapidità e rispetto le patologie più gravi, ma per fare questo bisogna ripensare l’intera politica sanitaria e soprattutto la politica dei ticket (che in alcune regioni arriva all’assurdo di rendere più conveniente la prestazione in privato) e la gestione delle liste di attesa. A questo scopo appare particolarmente indicato il modello organizzativo della “CASA DELLA SALUTE” che però sia ben inteso non significa cambiare nome all’esistente, ma cambiare un modello organizzativo e portare la salute a casa dei cittadini.

A lungo termine invece bisogna realizzare tutto quanto progettato e dispiegare sul territorio i modelli organizzativi e le strutture necessarie per:

  • investire sulla salute della popolazione con la coscienza che in sanità l’unico vero risparmio in assoluto passa per la qualità quindi rendere di qualità e di efficacia i sistemi organizzativi scelti per lo scopo significa evitare accesi impropri al pronto soccorso avere una rete territoriale capace di gestire e dare risposte concrete, economicamente accettabili dalla popolazione (vedi ticket gratuità delle prestazioni 833/78 liste di attesa) e qualitativamente avanzate in modo che agli ospedali ed i pronto soccorso in particolare siano esclusivamente rivolti alle problematiche maggiori che non è proprio possibile trattare diversamente ( ad es. la sutura di una ferita o una piccola frattura o un otite o una mal di pancia parchè non possono essere trattati sul territorio? )
  • investire sul materiale umano a disposizione sulla formazione sulle motivazioni e sulla gratificazione in particolar modo delle professioni sanitarie che in un ottica del prendersi cura sono le risorse più preziose ed importanti.

Le aggressioni nei pronto soccorso sono la punta più odiosa di un iceberg e sono il termometro che ci dice come e quanto il nostro SSN sia sull’orlo di un clamoroso fallimento di quanto siamo sul baratro di una regressione del soddisfacimento di un diritto fondamentale come quello della salute le reazioni violente scaturiscono dalla negazione di questo diritto dalla incapacità di dare risposte ad un bisogno fondamentale quello della salute e quando ad uomo anche il più tranquillo viene negato un bisogno fondamentale si scatena l’aggressività questo ce lo insegnano gli psicologi.

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Sfido chiunque ad entrare per un qualsivoglia bisogno all’interno di un pronto soccorso di un ospedale e sentirsi accolto e confortato.

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Quasi sempre si trova una struttura sovraffollata con pochissimo personale per di più stanco e stremato da turni infiniti e da un lavoro di grande impatto psicologico incapace anche oltre la dedizione e la buona volontà in queste condizioni di saper accogliere e confortare aggiungiamo strutture vecchie sale di attesa troppo affollate e promiscue un ospedale dietro incapace di assorbire i flussi in entrata dei pazienti lunghe attese in condizioni precarie.

Lo scopo di questo articolo è capire come dietro a questi episodi si nascondano errori strutturali di organizzazione dei servizi sanitari che partono dalla singola azienda è vero, ma che coinvolgono l’intera gestione politica della salute e fintanto che la sanità sarà considerata non un investimento produttivo, ma il bancomat dei governi non si potrà risolvere il problema. Occorrerebbe più personale, più investimenti, più salute, ma soprattutto ci vuole più qualità implementando nuovi modelli organizzativi.

Angelo De Angelis

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