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Acufene: nuove speranze dalla doppia stimolazione cerebrale

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Acufene: nuove speranze dalla doppia stimolazione cerebrale
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Le cause di questo disturbo non sono state ancora chiarite, ma la comunità scientifica indaga da tempo sul probabile malfunzionamento dei neuroni coinvolti nell’elaborazione dei suoni.

Un fischio, un ronzio, un tintinnio costante. Sono questi i sintomi con cui si manifesta l’acufene, un disturbo uditivo che può incidere molto sulla qualità della vita. Al momento non vi sono terapie definitive, ma presto le cose potrebbero cambiare.

Uno studio pubblicato su Science Translational Medicine e condotto dai ricercatori Brendan Conlon e Hubert H. Lim, del Trinity College di Dublino e dell’Università del Minnesota, riporta infatti effetti benefici, mai riscontrati prima, sui sintomi dell’acufene grazie a un dispositivo medico di ultima generazione che, combinando due tipi di stimolazione cerebrale, non solo migliorerebbe il disturbo durante il trattamento, ma riuscirebbe a mantenerne il risultato a un anno dalla fine della terapia.

L’acufene è un disturbo uditivo che affligge circa il 15% della popolazione mondiale e consiste nella percezione di rumori, riconducibili a fischi e ronzii, in assenza di uno stimolo esterno o interno dell’orecchio. Lo spettro di gravità del disturbo è molto ampio, variando da un semplice fastidio a compagno perenne, così invalidante da poter intaccare, per esempio, le capacità di concentrazione o la corretta alternanza sonno-veglia. Le cause dell’acufene non sono ancora state chiarite, ma la comunità scientifica indaga da tempo sul probabile malfunzionamento dei neuroni coinvolti nell’elaborazione dei suoni.

Proprio come un televisore che non prende bene il segnale, l’acufene potrebbe essere dovuto a un’anomala sincronizzazione dei neuroni del sistema uditivo, che culminerebbe nella comparsa del fastidioso ronzio: un rumore di fondo costante che richiede una “risintonizzazione”. E’ in questi casi che si rivela utile la neurostimolazione, tecnica poco invasiva che, grazie a degli elettrodi localizzati sulla superficie del corpo, invia stimoli elettrici ai neuroni sottostanti, fino ad arrivare al cervello.

Questo approccio consentirebbe ai neuroni di tornare a trasmettere il segnale corretto. La tecnica, infatti, è da tempo usata per trattare vari tipi di disturbi oltre all’acufene, come crisi epilettiche, depressione, ansia, perdita di memoria, infiammazione e dolore localizzato. Non solo. Evidenze, prima sugli animali e poi, recentemente, in studi clinici, hanno confermato che, se alla stimolazione con elettrodi si associa una stimolazione di altro tipo che coinvolge le stesse aree del cervello, gli effetti sui neuroni sono maggiori e più duraturi. Si tratta della cosiddetta tecnica bimodale, indagata dagli scienziati nello studio in questione.

In particolare, i ricercatori avevano già dimostrato in uno studio esplorativo le potenzialità di abbinare la neurostimolazione elettrica con impulsi sonori per il trattamento dell’acufene. Con questo studio hanno indagato i parametri tecnici del protocollo e gli effetti a lungo termine, con risultati sorprendenti. I 326 pazienti arruolati, affetti da acufene di vario livello di gravità, hanno eseguito un trattamento di 12 settimane, e gli effetti sui sintomi del disturbo sono stati misurati con scale oggettive utilizzate in clinica, durante la terapia e per tutto l’anno successivo.

Per la terapia è stato utilizzato un dispositivo medico non invasivo: cuffie bluetooth in cui vengono trasmessi stimoli sonori a diverse frequenze, un elettrodo da posizionare sul dorso della lingua (la parte più innervata) e un controller wireless che collega le due parti e sincronizza i due tipi di stimoli. I pazienti si sono sottoposti alla stimolazione per un’ora, tutti i giorni.

Alla fine delle 12 settimane l’88% riportava miglioramenti significativi dei sintomi dell’acufene, addirittura più elevati di quelli che in altri studi erano stati raggiunti dall’unico trattamento attualmente raccomandato, la terapia cognitivo-comportamentale. Tali miglioramenti, inoltre, erano mantenuti per i 12 mesi successivi. Probabilmente, sostengono i ricercatori, un trattamento bimodale prolungato potrebbe incidere sull’attività dei neuroni anche a lungo termine.

Buone notizie, che fanno ben sperare in un futuro utilizzo clinico, anche riguardo l’adesione alla terapia: nessuno dei pazienti ha avuto effetti collaterali gravi e il 78% avrebbe raccomandato il trattamento a conoscenti che soffrivano di acufene. Al momento il team di ricerca sta conducendo un altro ampio studio clinico, volto a indagare gli effetti a lungo termine su questo disturbo, modificando il tempo di stimolazione del protocollo.

Redazione Nurse Times

Fonte: Galileo

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