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Aadi: “Il timido approccio di Opi Roma al demansionamento”

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La tesi AADI sul pagamento della tassa all’ordine (OPI) a carico dell'azienda era giusta
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Il direttivo dell’Associazione avvocatura di diritto infermieristico commenta quanto scritto da Opi Roma sulla sua rivista ufficiale.

Sul numero 3/2019 della rivista “Infermiere Oggi”, rivista ufficiale dell’Ordine degli infermieri di Roma, alla pagina 62, dedicata alle risposte dell’avvocato, si legge: “L’infermiere non può svolgere in via ordinaria le mansioni del personale di supporto”. Eureka! Se ne sono accorti anche all’OPI Roma.

Peccato che l’articolo, a firma dell’Avv. Barbara Pisa, ha dei contenuti che non rispecchiano per nulla le deduzioni del giudice di prime cure, per altro Presidente della sez. lavoro del tribunale di Roma, infatti il tenore dell’articolo, timido nell’approccio al demansionamento e distante dalle considerazioni fatte dal giudice nella sentenza, soprattutto in diritto, non è per nulla in linea con le risultanze della sentenza ed anzi, tende a far sembrare il fenomeno del demansionamento come una pratica residuale, quasi un scelta del professionista, ma vediamo nello specifico.

L’avvocato scrive che il giudice ha condannato l’azienda resistente perché aveva adibito il professionista infermiere ad attività demansionanti in violazione dell’art. 2103 c.c. per più del 90% dell’orario di lavoro e, che quindi, se fosse stato impiegato ad esempio per il solo 70% il demansionamento non si sarebbe accertato, orbene, non è quello che dice la sentenza, anzi, il giudice fa una disamina molto ampia sulle attività svolte dal ricorrente elencandole una ad una, proprio per evitare di dare spazio ad interpretazioni che avrebbero potuto permettere alla parte resistente di opporre eccezioni, infatti il giudice dice che, una serie di attività sono del tutto avulse dal contesto professionale del professionista infermiere e lo fa attraverso l’esegesi del mansionario dell’OSS e del mansionario dell’infermiere generico che ricordiamo essere ancora in vigore, anche se solo al titolo V che tratta appunto dell’infermiere generico.

In effetti il D.P.R. n. 225 del 1974 definito “DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 14 marzo 1974, n. 225 Modifiche al regio decreto 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali e infermieri generici” è ad oggi ancora vigente, sebbene la parte relativa all’infermiere professionale si stata abrogata ed è verificabile a questo link: https://www.normattiva.it/ricerca/semplice?erroreSessione=si

Ora, senza entrare in tecnicismi giuridici particolarmente complessi, è evidente che il giudice per ricostruire le mansioni attuali dell’infermiere professionale, oggi laureato, a seguito dell’abrogazione ad opera della Legge n. 42/99, ricorre non solo alla verifica delle mansioni di altre figure sanitarie come l’infermiere generico e l’OTA/OSS,  presenti, le une, nel D.P.R. succitato e le altre nel D.P.R. n. 384/90, ma anche attraverso quella che in diritto viene definita riviviscenza della norma, ossia, il giudice fa rivivere la norma abrogata o l’articolo abrogato se è utile ai fini della ricostruzione del diritto vivente del caso di specie, un po’ come avviene ad esempio con la riviviscenza dell’art. 3 della Legge 8 novembre 2012, n. 189, c.d. “Decreto Balduzzi” sulla responsabilità degli esercenti le professioni Sanitarie che sappiamo essere stato abrogato dalla successiva normativa, la legge n. 24 dell’8 marzo 2017 cd. legge “Gelli-Bianco” e che rivive per il principio di diritto del favor rei, che presuppone appunto che in caso di una norma successiva che riformi in pejus uno specifico reato rispetto alla previsione della previgente normativa, ancorché abrogata, questa, non debba essere applicata perché più sfavorevole al reo.

E’ appunto il caso della colpa lieve per negligenza e imprudenza dell’esercente la professione sanitaria, aspetti della colpa non coperti dalla novella Gelli-Bianco che scrimina invece solo la colpa lieve per imperizia e non sempre. Detto ciò, assodato quindi che il mansionario è tuttora vigente e che la L. n. 42/99 che ha abrogato la parte relativa all’infermiere professionale non ha di fatto determinato o implementato nuove mansioni o funzioni, come piace chiamarle ad alcuni e, che quindi, per sapere quali attività fossero di pertinenza dell’infermiere e quali no, è stata necessaria da parte del giudice una ricostruzione ex post di tutta la normativa infermieristica degli ultimi 40 anni, lo stesso, ha quindi stabilito che, in ogni caso, all’infermiere non spettassero tutte le attività di natura domestico-alberghiera e le attività che sono prive di rilevanza tecnico-scientifica come aprire le finestre, versare un bicchier d’acqua, passare il cellulare al malato, accendere il televisore, ecc…

Prosegue il giudice: “Dalla definizione normativa dunque emerge che quella dell’infermiere è, al pari di altre professioni intellettuali ed anche specificamente sanitarie e non dissimilmente da quella medica, attività essenzialmente fondata su un sapere scientifico ed anche se si estrinseca in atti di carattere pratico-manuale, presuppone necessariamente non un comune saper fare in forza di esperienza ed imitazione, ma un insieme di conoscenze complesse ed articolate, tanto che, ex lege, non può essere esercitata se non da persone che abbiano acquisito titolo di laurea ad hoc”.

Ma l’OPI attraverso la risposta del suo avvocato ci vuole far credere che l’infermiere può svolgere le attività tipiche del personale di supporto quando ritenga che queste non siano delegabili a tale figura, perché le condizioni del paziente richiedono particolare cautela…

Ma il giudice, nella sentenza de qua non ha scritto in questi termini, ma ha voluto solo evidenziare come in ogni caso il professionista infermiere, essendo quindi considerato a tutti gli effetti un professionista intellettuale, è il soggetto che deve svolgere la propria opera professionale direttamente, mentre può e deve delegare le attività non di sua pertinenza ad altri soggetti avendone comunque la responsabilità intesa come governance o direzione che dir si voglia, un po’ come l’ingegnere fa con il geometra, ma ciò non significa che l’ingegnere fa il geometra o impasta la calce perché assente il manovale.

Infatti, la menzione che fa il giudice dell’art. 2232 c.c. va proprio in questo senso, ossia nel senso di dire che la «collaborazione», là ove contempla la possibilità che il prestatore d’opera professionale si avvalga, nella esecuzione dell’incarico, «sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari» – dovendo avvenire e svolgersi sotto la direzione del professionista incaricato, non può riguardare la esecuzione di una prestazione professionale che ecceda l’abilitazione del professionista incaricato (il quale non può certamente dirigere l’esecuzione, da parte di altri, di una prestazione per la quale egli non sia abilitato) e richieda, invece, quella di un professionista più qualificato, come è nel caso dell’ingegnere rispetto al geometra (Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 3108 del 17 marzo 1995).

Il che significa che le attività tecnico scientifiche dell’infermiere non possono essere delegate all’OSS perché non ne avrebbe la competenza e le capacità, parallelamente il medico non può delegare delle attività all’infermiere perché non ne ha la competenza tecnica, altrimenti tutto sarebbe delegabile e non ci sarebbero distinzioni di profili professionali e di mansioni che ricordiamo essere ancora esistenti sia nel codice civile all’art. 2103 c.c. e nel D.lgs. n. 165/2001 all’art. 52 “disciplina delle mansioni”.

Ancora, in tema di prestazione d’opera intellettuale, la facoltà per il professionista di servirsi, ai sensi dell’art. 2232 c.c., della collaborazione di sostituti od ausiliari non comporta mai che costoro diventino parti del rapporto di clientela, restando invece la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente. Il sostituto, pertanto, non è legittimato ad agire contro il cliente medesimo per la corresponsione del compenso, il cui obbligo resta a carico del professionista che si sia avvalso della sua collaborazione (Cassazione civile Sez. II sentenza n. 5248 del 27 agosto 1986).

Nell’articolo dell’OPI si asserisce quindi che: “…. secondo il Tribunale, l’Infermiere può svolgere le mansioni proprie del personale di supporto ogni qualvolta egli, nell’esercizio della propria responsabilità e discrezionalità operativa, ritenga necessario o quanto meno opportuno il proprio personale intervento, ad esempio in ragione delle gravi condizioni del paziente, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui si tratta di mansioni marginali e accessorie rispetto a quelle sue proprie che devono, chiaramente, essere svolte con prevalenza” una cosa del tutto errata, è chiaro che la richiesta una tantum, che ricordiamo significare una volta nella vita e non ogni tanto, di attività non di pertinenza infermieristica non possono ledere la professionalità dell’infermiere, ma è proprio qui il punto che la sentenza chiarisce in modo inequivocabile e, cioè che, se l’organizzazione è strutturata in modo coerente e vi è come da legge, la presenza delle varie professionalità, l’evento eccezionale non deve o almeno non dovrebbe mai verificarsi e semmai ciò avvenisse, a nessuno verrebbe mai in mente di portare in giudizio il proprio datore di lavoro per un singolo episodio, il medico potrà quindi fare alcune attività infermieristiche es. la terapia endovenosa o i prelievi ematici e l’infermiere potrà servire il bicchiere d’acqua o aiutare l’OSS a fare il giro letti, ma sempre e solo in casi del tutto eccezionali. E’ infatti l’ordinario utilizzo come tuttofare che fa si che il professionista infermiere sia svilito nella sua professionalità e nel non riconoscimento della sua dignità professionale e che tutto ciò porti poi a chiedere i danni per demansionamento, l’infermiere così non può esercitare a tempo pieno esclusivamente le mansioni proprie della categoria di appartenenza, dovendo sopperire direttamente e personalmente alla mancanza o carenza di personale ausiliario.

La mala gestio organizzativa è la prima responsabile di tale situazione e scaturisce sempre e comunque dalla Dirigenza infermieristica aziendale che supinamente si adagia al volere datoriale senza pretendere il giusto riconoscimento e il giusto ruolo per l’infermiere.

Il direttivo Aadi

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