“Quando il tampone del primo paziente dall’ospedale San Matteo di Pavia fu mandato ad analizzare io ero a Pavia per un master e ho seguito in diretta quello che stava accadendo. Lì abbiamo tutti realizzato che ciò di cui per i due mesi antecedenti avevamo sentito parlare si stava concretizzando nel nostro Paese. Il giorno dopo avevamo la seconda lezione, ma abbiamo tutti iniziato a ricevere telefonate, fino alla convocazione per il sabato mattina dall’assessorato regionale”. Così Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, racconta all’Adnkronos Salute, a cinque anni di distanza dal 20 febbraio 2020, i giorni concitati dell’inizio dell’emergenza Covid-19, con il primo paziente positivo in Italia, all’ospedale di Codogno, nel Lodigiano.
“Nel giro di 48 ore, in Lombardia soprattutto, è cambiato tutto – ricorda Mangiacavalli – i numeri dei contagi sono cresciuti in maniera esponenziale in poche ore e si è aperta una parentesi che non si è più chiusa per mesi, senza soluzione di continuità. Da quel giovedì si è iniziato a ragionare su come cambiare i percorsi, i modelli organizzativi, su come mettere in sicurezza le persone ricoverate e gli operatori, su come gestire l’ondata di ricoveri e gli accessi al pronto soccorso. Tutti ci siamo rimboccati le maniche, senza sapere a cosa stessimo andando incontro”.
E ancora: “Sono iniziate le procedure aziendali, le unità di crisi, le convocazioni, anche alla mezzanotte, le verifiche sulle disponibilità d’ossigeno: sembrava uno scenario di guerra. La vita privata, in quei giorni, era completamente annichilita. Molti colleghi avevano deciso di non tornare a casa neanche a dormire, per tutelare le famiglie, ma anche perché le ore di recupero erano veramente poche. Si era entrati in un circuito in cui esisteva solo la pandemia”.
Prosegue Mangiacavalli: “Il Servizio sanitario nazionale si è trovato ad affrontare la pandemia a ranghi ridotti e consumati, e questa situazione l’abbiamo pagata tutti: personale sanitario e istituzioni. Ci siamo trovati con armi organizzative spuntate. La crisi economica del 2008 ha comportato la spending review gestita in maniera lineare per la pubblica amministrazione, sottovalutando che dentro alla Pa c’è il Servizio sanitario nazionale, che a mio avviso è da trattare come riserva di legge. Alla fine l’ospedale è diventato il primo e unico baluardo sanitario e 90 infermieri hanno dato la vita sul luogo di lavoro a causa del Covid”.
Riflette ancora Mangiacavalli: “A distanza di cinque anni la pandemia doveva essere d’insegnamento per modificare paradigma, modelli, lavoro d’equipe, competenze trasversali, integrazioni interprofessionali. Tanti buoni propositi sono stati declinati nel DM 77, ma ancora oggi faticano a decollare, perché c’è un problema di cultura organizzativa, di formazione dei professionisti sanitari e di numeri. Nel nostro caso, non si era lavorato sull’attrattività della professione e degli sviluppi di carriera”.
Conclude Mangiacavalli: “Adesso, in pochi anni, si sta cercando di recuperare tutto il terreno perduto in oltre 10-15 anni: rinnovo contratti, blocco assunzioni, sviluppo di esercizio e valorizzazione della professione. In poco tempo dobbiamo pensare a risorse strutturali che parlino al domani, ma che gestiscano la crisi e la carenza di oggi. Servono soluzioni che calmierino il disagio odierno, ma che possano dare sviluppi futuri: un delicato equilibrio tra soluzioni di breve termine e soluzioni di medio e lungo termine”.
Redazione Nurse Times
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