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La grande strategia per salvare la sanità italiana è arrivata: non migliorare il contratto, o rendere le condizioni di lavoro più umane, magari costruire percorsi di carriera dignitosi.
No, troppo complicato.
La soluzione è un’altra, molto più semplice: prendere gli infermieri dall’estero, perché quelli italiani – tra demansionamento cronico, stipendi da fame e turni massacranti – ormai scappano via, verso nazioni che valorizzano la professione.
Così FNOPI e Randstad hanno firmato un protocollo d’intesa che promette di inserire nel SSN nuovi professionisti provenienti da altri Paesi, con grande cura e attenzione: formazione linguistica, accompagnamento culturale, tutoraggio, integrazione progressiva.
Bellissimo. Davvero. Solo un dubbio: non si poteva applicare la stessa cura per rendere attraente la professione… agli italiani?
Il principio non dichiarato: se i giovani italiani non scelgono Infermieristica, scegliamo i giovani degli altri Paesi
Il paradosso è evidente: si parla di “inserimento etico”, “programmi di integrazione”, “valorizzazione dei talenti globali”. Concetti nobili, nulla da dire.
Ma intanto, gli open day dei Corsi di Laurea in Infermieristica sembrano funerali. La metà dei posti rimane vacante. Le università fanno fatica a riempire le aule.
I giovani, quando sentono la parola “infermiere”, immaginano turni senza orario, stipendi bloccati e nessuna prospettiva di crescita.
Non che “i giovani non volessero lavorare”: non vogliono essere trattati come oggi vengono trattati gli infermieri.
E mentre in Italia il numero degli iscritti crolla, abbiamo deciso che la soluzione è… importarli da fuori.
È un po’ come dire: “Non riusciamo a convincere i nostri ragazzi a diventare infermieri? Nessun problema. Ne prendiamo altri.” E la questione finisce lì, con un elegante timbro ministeriale.
Un’attenzione straordinaria… ma non per gli infermieri italiani
Il protocollo descrive un percorso impeccabile: accompagnamento, tutoraggio, valutazione delle competenze, supporto nell’iscrizione all’albo, integrazione progressiva nella realtà sanitaria italiana.
Tutto ciò che, per anni, non è stato fatto per rendere la professione appetibile ai nostri giovani.
Chi ha 18 anni oggi, quando valuta il proprio futuro, apre i social e trova infermieri italiani che raccontano:
- retribuzioni insufficienti,
- turni infiniti,
- burnout normalizzato,
- aggressioni in aumento,
- zero carriera,
- zero specializzazioni riconosciute fino a ieri,
- zero tutele.
E mentre migliaia di professionisti italiani hanno lasciato il lavoro o il Paese, si investe – giustamente – per accogliere colleghi dall’estero. Ma nel frattempo nessuno investe nel rendere la professione desiderabile per i giovani italiani. È come ristrutturare la casa per gli ospiti, mentre i figli dormono sul divano.
Il Crossboarding: quando imparare l’inglese è più facile che risolvere la crisi infermieristica italiana
Il progetto si chiama “Crossboarding”. Suona moderno, ambizioso, internazionale. Una parola che dà l’impressione che tutto sia sotto controllo.
Peccato che nel frattempo il vero lavoro da fare sarebbe “Backboarding”.
Tornare indietro e chiedersi:
- perché abbiamo perso così tanti infermieri italiani?
- perché migliaia neolaureati se ne vanno all’estero il giorno dopo la proclamazione?
- perché le nuove generazioni guardano alla professione come a una scelta ad alto rischio di sopravvivenza?
Invece di investire sull’immagine dell’infermiere italiano, sulle carriere, sulla sicurezza sul lavoro, su stipendi in linea con l’Europa, su condizioni che permettano di vivere – non sopravvivere –
si è scelto di prendere una scorciatoia.
Funziona nell’immediato, certo. Ma è una strategia che non risponde alla domanda più ovvia:
perché i giovani italiani non vogliono più diventare infermieri?
La verità semplice: non stiamo colmando la carenza. Stiamo importando la speranza.
Accogliere colleghi dall’estero è utile, arricchente, importante. E nessuno discute il valore professionale e umano dei nuovi infermieri che arriveranno nel SSN.
La questione è un’altra: questo progetto non affronta le cause, ma solo i sintomi.
Se non rendiamo la professione dignitosa e attrattiva per i nostri giovani, continueremo a reclutare dall’estero per sostituire:
- gli infermieri italiani che se ne sono andati,
- e gli infermieri stranieri che, dopo aver conosciuto le nostre condizioni, potrebbero andarsene a loro volta.
E allora, mentre celebriamo l’arrivo dei nuovi colleghi, rimane una domanda che nessun protocollo può oscurare: quante nazioni dobbiamo coinvolgere prima di capire che la vera emergenza è rendere la professione infermieristica degna dei nostri giovani?
Guido Gabriele Antonio
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