Al CNEL stipendio d’oro da 310mila euro per Brunetta, mentre il rinnovo del CCNL Sanità lascia agli infermieri aumenti simbolici e nessuna giustizia salariale
Da una parte Renato Brunetta, presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), che si aumenta lo stipendio da 250mila a 310mila euro annui.
Dall’altra, gli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale, che dopo tre anni di attesa per il rinnovo del CCNL 2022–2024, si vedono riconoscere un incremento medio di appena 150 euro lordi al mese.
Due Italie nella stessa manovra economica, due destini opposti che raccontano una politica dei privilegi dove i vertici si allineano agli “organi costituzionali” mentre chi lavora nei reparti continua a sopravvivere con stipendi stagnanti.
Brunetta e il CNEL: da 250mila a 310mila euro in un anno e mezzo
Secondo quanto riportato dalle principali testate di attualità e cronaca italiana, Renato Brunetta ha visto crescere il proprio compenso di 60mila euro in appena diciotto mesi.
Dal CNEL spiegano che si tratta semplicemente di un “allineamento ai parametri di altri organi costituzionali”.
Un adeguamento che però avrà un effetto domino: a beneficiarne saranno anche vicepresidenti, consiglieri e staff, con un aumento della spesa complessiva da 850mila a quasi 1,5 milioni di euroin soli dodici mesi.
E non basta: per il prossimo anno le consulenze esterne saliranno da 320mila a 420mila euro.
Gli infermieri e il rinnovo del CCNL 2022–2024: aumenti da fame
Il confronto con il comparto Sanità è impietoso.
Il nuovo contratto collettivo nazionale (CCNL), siglato il 27 ottobre 2025 presso l’ARAN, prevede un aumento medio di 172 euro lordi mensili per il personale del SSN.
Ma per gli infermieri, la cifra reale si ferma intorno ai 150 euro lordi al mese, tra incremento tabellare e indennità di specificità.
Una somma che, al netto delle trattenute, equivale a meno di 100 euro netti in busta paga.
Una cifra che stride con le responsabilità, i turni usuranti e la carenza di personale che affligge ospedali e servizi territoriali.
Come ricordano i sindacati del comparto, “gli infermieri continuano a garantire la sanità pubblica, ma restano tra i professionisti meno pagati d’Europa”.
Istat e Bankitalia: la manovra favorisce i redditi alti
Mentre ai vertici crescono gli stipendi, l’Istat denuncia che l’attuale impostazione economica favorisce l’85% delle risorse verso le fasce più ricche della popolazione.
Lo ha dichiarato Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istituto, specificando che «per tutte le classi di reddito il beneficio comporta una variazione inferiore all’1% sul reddito familiare».
Anche la Banca d’Italia, per voce di Fabrizio Balassone, conferma che «la manovra non riduce le disuguaglianze» e che le famiglie italiane «hanno perso il 10% di potere d’acquisto dal 2019, recuperando appena 3 punti».
Insomma, mentre il Paese arranca, i vertici pubblici si “riallineano” con stipendi a sei cifre.
Due mondi lontani: Palazzo e corsia
In corsia, infermieri e operatori sanitari si dividono tra turni notturni, straordinari obbligati e reparti al limite.
Molti scelgono di emigrare all’estero, dove le retribuzioni sono più dignitose e le condizioni di lavoro sostenibili.
Al contrario, nei Palazzi del potere, stipendi e indennità continuano a crescere, giustificati da “parametri costituzionali” o “adeguamenti normativi”.
Una forbice salariale che diventa ogni anno più ampia e mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Conclusioni: il messaggio sbagliato
L’aumento a Renato Brunetta e al vertice del CNEL è un segnale che stride con la realtà quotidiana di chi lavora per la salute pubblica.
In un Paese dove un infermiere guadagna in media 1.800 euro al mese, un presidente di ente pubblico può arrivare a oltre 25.000 euro mensili.
Mentre le famiglie faticano e il personale sanitario attende ancora il riconoscimento del proprio valore, la politica continua a privilegiare chi sta in alto.
Una scelta che alimenta sfiducia, rabbia e la sensazione che in Italia chi cura guadagna meno di chi comanda.
Redazione NurseTimes
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