Una sentenza del Tribunale di Novara introduce e riconosce l’esistenza e la risarcibilità del danno da “mancato commiato” per “avere negato quel momento essenziale per l’elaborazione del lutto, che è il passaggio, per certi versi formale, di addio”. Il contesto è quello del periodo pandemico, quando molte persone non riuscirono a dire addio a un parente anziano per via delle restrizioni nell’accesso alle case di riposo.
Alla signora Rosa Anna Z., nel gennaio 2021, fu negato di incontrare per l’ultima volta il marito Pietro, ospitato in una Rsa a Novara. Quest’ultima è stata condannata a pagarle un risarcimento di 5.000 euro “per averle discrezionalmente impedito, o comunque di fatto non consentito l’accesso, impedendole di prestare l’ultimo saluto al coniuge morente”.
Il 20 gennaio 2021, come ricostruito dalla lettura della sentenza a opera dell’agenzia Agi, la donna seppe dal direttore sanitario che le condizioni del marito erano peggiorate in modo drastico e che la sua fine sarebbe stata questione di pochissimo tempo. La signora implorò di poter entrare nella Rsa, come già le era stato concesso per due volte nelle settimane precedenti, ma dalla direzione non arrivò alcuna risposta alle sue mail.
Alle ore 14:12 fu avvisata dalla caposala del prossimo decesso del marito e invitata a raggiungere al più presto la struttura, dove arrivò alle 14,30 circa. “Veniva quindi invitata a salire per prestare un ultimo saluto alla salma del coniuge, ma si rifiutava, ritenendolo tragicamente vano – si legge nella sentenza -. Ciò perché, come a conoscenza di tutto il personale della struttura con il quale sono venuti a contatto, i coniugi erano entrambi non credenti, senza figli, nè parenti prossimi, o comunque legati da un rapporto affettivo significativo: erano convinti che non vi sia una vita ultraterrena dopo la morte, e che con quest’ultima cessi ogni rapporto umano e spirituale fra le persone”.
E ancora: “Tali circostanze hanno reso ancor più doloroso per la signora Rosa Anna non poter essere vicina al marito, con il quale aveva condiviso cinquant’anni di vita familiare e lavorativa, negli ultimi momenti della sua vita. Conseguentemente al divieto di poter accedere alla struttura non ha potuto stare accanto al marito durante gli ultimi momenti della sua esistenza in vita. Questo ha causato un dolore ancor maggiore di quello determinato dalla scomparsa del compagno di una vita”.
Nelle motivazioni della sentenza il giudice civile Giuseppe Siciliano spiega perchè in casi come questo esista un “danno da commiato”. La sua premessa è che il ruolo del magistrato non è controllare “la stretta applicazione delle norme”, bensì controllare, come in questo caso, come viene declinato nel caso concreto un “potere discrezionale”. Il magistrato individua un “eccesso di potere” da parte dei responsabili della Rsa.
“In conclusione e in estrema sintesi, un comportamento, in generale plausibile in forza di un potere conferitole dalle norme allora vigenti, ma esercitato in modo non del tutto corretto (con tutta probabilità, un eccesso di prudenza ma comunque un eccesso; un avviso della imminente morte, con tutta probabilità, dato con troppo ritardo; insomma, un ‘eccesso di potere’ non assoluto-arbitrario, e generalmente animato da una volontà di cautelare i ricoverati o anche di cautelarsi, ma comunque un eccesso di potere”.
E per individuare il “diritto al commiato” e la sua importanza il giudice ne chiama in causa altri: “Se, per esempiol è risarcibile il danno da vacanza rovinata, non vi è motivo per non risarcire il danno da sofferenza per non avere potuto stare vicino al proprio coniuge al momento della morte di quest’ultimo”.
Redazione Nurse Times
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