Il nuovo lungometraggio di Petra Volpe segue un turno di un’infermiera tra sovraffollamento, carenza di personale e scelte etiche; dati PwC (Price waterhouse Coopers) e FSO (Ufficio federale di statistica della Svizzera) confermano l’allarme sul futuro della sanità.
L’Ultimo Turno di Petra Biondina Volpe mette al centro infermieri, ospedale e sanità mostrando — in presa diretta — come la carenza di personale trasformi un normale turno in una corsa contro il tempo. Questo articolo riassume trama, contesto sociale e dati ufficiali, con riferimenti a studi e fonti istituzionali per inquadrare l’emergenza sanitaria che tocca la Svizzera e il pianeta.
Trama e messa in scena
Il film segue Floria, infermiera nel reparto di chirurgia, interpretata da Leonie Benesch. Ogni movimento è calibrato, la regia privilegia la prospettiva della protagonista e ricrea con precisione tecnica la routine clinica: per garantire autenticità, l’attrice ha svolto praticantato e la produzione si è avvalsa di consulenti infermieristici. Il racconto mette in luce situazioni quotidiane che diventano crisi quando il personale è insufficiente.
Il contesto: perché il film è un allarme reale
Secondo una analisi diffusa dalla stampa che riporta i dati di PwC, la Svizzera potrebbe dover reclutare circa 40.000 infermieri entro il 2040 per non compromettere l’offerta di cure. Questo dato è ormai citato nel dibattito pubblico e spiega molte delle tensioni rappresentate nel film.
A livello globale, organizzazioni internazionali segnalano proiezioni preoccupanti: analisi e report specialistici (International Council of Nurses e studi collegati) hanno stimato che lo squilibrio nella forza lavoro infermieristica potrebbe portare a esigenze aggiuntive dell’ordine di milioni di professionisti entro il 2030, a seconda degli scenari considerati. Per un confronto, anche la WHO e altri enti pubblicano stime ufficiali sul gap di personale.
In Svizzera il sistema ospedaliero è esteso: i dati ufficiali del Federal Statistical Office (BFS/swissstats) contano 278 istituzioni ospedaliere operative sul territorio (numeri utili per valutare la pressione sulla rete ospedaliera).
Problemi concreti mostrati dal film — dati e impatto
Il racconto cinematografico mette a fuoco elementi ricorrenti: sovraffollamento, turni prolungati, rischio clinico per ritardi diagnostici e carico emotivo sul personale. A questi fattori si somma il crescente ricorso all’assistenza informale non retribuita (prevalentemente femminile), tema che ha implicazioni economiche e sociali ampie; l’Ufficio federale e studi europei analizzano l’impatto del lavoro di cura non retribuito sulla partecipazione al mercato del lavoro e sulla sostenibilità dei servizi.
La mobilità internazionale degli infermieri è un altro fattore: paesi ad alto reddito spesso attingono a professionisti formati altrove, una dinamica che alcuni commentatori qualificano come “neo-colonialismo” del reclutamento sanitario, con effetti negativi sulle nazioni da cui provengono i lavoratori. Analisi giornalistiche e di settore ne descrivono le conseguenze in termini di disuguaglianza e perdita di risorse per i paesi più poveri.
Produzione e accuratezza clinica
Volpe ha costruito il film su una base documentaria: il progetto è nato dopo ricerche sul campo, il coinvolgimento dell’autrice del saggio che ha ispirato la sceneggiatura, consulenze infermieristiche e il praticantato dell’attrice protagonista. Anche la direzione della fotografia e il montaggio sono stati pensati per restituire una tensione narrativa simile a un thriller, pur restando fedeli ai dettagli clinici
Recensione di Giannantonio Silvestro, responsabile comunicazione FNOPI
Grazie a Bim Distribuzione ho avuto la possibilità di vedere in anteprima il film svizzero “L’ultimo turno”, in sala da domani.
“Il problema non è la nostra professione, sono le circostanze”.
Dal saggio-romanzo così intitolato, opera dalla giovane infermiera tedesca Madeline Calvelage, prende le mosse il film “L’ultimo turno”, di Petra Volpe, unico caso di lungometraggio autoriale interamente dedicato alla professione infermieristica, dal primo all’ultimo fotogramma.
È un film girato a Zurigo, con un cast e una produzione svizzero-tedesca. Tuttavia, si presenta come una storia universale sulla condizione (umana prima che lavorativa) di una figura cardine per una società occidentale sempre più anziana, patologica, assediata da malesseri fisici e morali.
Non si può prescindere però dall’ambientazione elvetica. Quegli ospedali pulitissimi, silenziosi, ordinati, ipertecnologici vengono spesso descritti come “La Mecca” per gli infermieri di tutta Europa, per via di una migliore organizzazione del lavoro e per gli stipendi dal valore doppio rispetto alla media, ad esempio, italiana.
Circostanze favorevoli, che non leniscono le sofferenze di una professione. E l’incedere documentaristico del film descrive benissimo le dinamiche, interne ed esterne, di un duro turno di lavoro notturno.
Per la serie: non solo è la leva economica a rendere un impiego più gradevole e attrattivo, a evitare episodi di burnout, ma tutto un insieme, appunto, di circostanze.
È un microcosmo fatto di egoismi, fisici e morali, quello rappresentato nel film. Tutti reclamano una loro “imprescindibile” esigenza, un bisogno ‘maslowiano’ da soddisfare… hanno una richiesta più o meno sensata da gridare: chi pretende un tè verde, chi una visita medica che non arriverà mai. Chi vuole fumare una sigaretta nonostante sia attaccato a una bombola di ossigeno, chi telefonare in ufficio prima di entrare in sala operatoria, chi semplicemente rivedere il marito.
Terminale di tutto e di tutti, l’infermiera Floria, interpretata dall’attrice tedesca Leonie Benesch, preparatissima e credibilissima, come lo era stata da docente nel pluripremiato “La sala professori”.
Arrivati ai titoli di coda, l’empatia del pubblico è sicuramente tutta dalla sua parte, malgrado la sua corsa continua contro il tempo le faccia commettere anche dei gravi errori.
Ma non si empatizza con gli infermieri per pietà, per compassione, per atteggiamento caritatevole.
Le frasi e i dati che la regista porta in evidenza dopo l’ultima struggente inquadratura non lasciano spazio a dubbi: il problema degli infermieri è il problema di una intera collettività.
Si parla di Svizzera, ma con il chiaro intento di suonare un campanello d’allarme per tutti i Paesi in cui il film sarà distribuito.
Una piccola storia che contiene un enorme interrogativo posto a ciascuno di noi: è giusto che le professioni di cura siano così poco raccontate e valorizzate, in un mondo che avrà sempre più bisogno di loro?
Esemplari le dichiarazioni della regista Petra Volpe dopo una delle anteprime riservate alla stampa: “Il tema della cura mi interessa da molti anni. Per un lungo periodo di tempo ho vissuto insieme a un’infermiera e ogni giorno sono stata testimone di quello che sperimentava sul lavoro, nel bene e nel male, e che in gran parte dipendeva dalle situazioni che diventavano sempre più proibitive. A mio parere è una professione che la nostra società dovrebbe tenere in grandissima considerazione e rispettare profondamente. Per questo ho voluto fare un film che li celebra, senza alcuna retorica”.
Redazione NurseTimes
Fonti:
- Sintesi stampa su PwC e proiezioni Svizzera (report citato su swissinfo).
- Analisi e stime internazionali sul gap di personale infermieristico (International Council of Nurses e studi correlati).
- Dati ufficiali sugli ospedali svizzeri (swissstats / Federal Statistical Office).
- Lavoro di cura e ore non retribuite: Federal Statistical Office e studi europei su informal care.
- Analisi sulla migrazione dei professionisti sanitari e impatti globali (Financial Times e report correlati).
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