La Legge di Stabilità, poichè argomenta su voci di bilancio rappresenta per sua natura la cartina tornasole delle attività di governo, nazionale o locale che sia.
Ogni qualvolta si discute politicamente “di soldi” si è facilitati nell’interpretare la volontà e le strategie di una forza politica in merito alla tutela dei cittadini che vuole rappresentare.
Quella licenziata per il 2016, a mio avviso, è una Legge di Stabilità indefinita per la Sanità, per gli effetti che provoca ai cittadini, agli operatori e in particolare alla professione infermieristica la cui consistenza numerica nelle dotazioni organiche è insufficiente. Tanto ad evidenziare lo scarso peso politico dell’IPASVI in ambito al sistema ordinistico delle maggiori Professioni Sanitarie (ancora non ho sentito nessuno parlare della necessità di ridurre il numero delle stesse per poterle aggregare, il dividi et impera nessuno lo ha preso in considerazione?)
Ieri il Presidente IPASVI Mangiacavalli ha dichiarato in un comunicato stampa “…dalla Stabilità poche certezza per le assunzioni ed ora attenti al contratto…”.
Le fanfare a festa per le dichiarazioni roboanti durante la discussione della Legge, quando si lanciavano tweet e post su facebook in cui si inneggiava finalmente alle assunzioni, lascia spazio alle campane che annunciano “trilli a morte”.
Considerando lo stato in cui versano le Regioni, tutte al lavoro per trovare i soldi con cui garantire i LEA e soprattutto gli stipendi a quanti lavorano nel settore pubblico, considerando lo stato economico di molte grandi Aziende Sanitarie (in Toscana per esempio non c’è un Azienda con i conti i ordine), prendiamo atto che siamo stati presi in giro dopodiché rimbocchiamoci le maniche per trovare delle soluzioni.
Bisogna dirlo con maggiore chiarezza: non abbiamo alcun peso politico perché non abbiamo alcuna strategia riformatrice il sistema, tuttalpiù solo annunci.
Ci sono, a mio avviso, degli errori di fondo anche dal punto di vista della comunicazione, che all’occhio esperto appaiono ingenui seppure in una mal celata buonafede.
Intanto prendo atto che la Senatrice Silvestro rimasta inopportunamente nel del Comitato Centrale della FNC Ipasvi sembra del tutto inutile “alla causa”, se Lei non è stata in grado di avvisare tempestivamente l’IPASVI affinché si potessero mettere in atto azioni di protesta verso il depotenziamento degli annunci sulle assunzioni, i casi sono due: o è incompetente politicamente o in malafede perché Senatore della Maggioranza di Governo.
Se qualcuno pensa che io sia duro nel giudizio allora non comprende la portata del comunicato che evidenzia, semmai ve ne fosse la necessità, che IPASVI è la stampella politica della Silvestro e ostaggio del sistema di Governo e che il Presidente non può avere una propria linea politica perché questa è influenzata dalla presenza impropria di una rappresentante proprio della Maggioranza che sostiene chi ha licenziato la Legge di Stabilità.
E’ ora di dire basta a questa situazione e bisogna che i Presidenti IPASVI Provinciali comincino seriamente a chiedere alla Senatrice un passo indietro!
Il secondo errore è semantico: Presidente basta parlare di SSN! Lo dico perché se siamo i primi noi a commettere l’errore politico di non riconoscere che il Sistema cosiddetto Nazionale non esiste più allora come possiamo difenderlo? Come si può parlare di Sistema Nazionale quando tra la Toscana e la Lombardia esiste un abisso di scelte diverse, se tra Veneto e Calabria c’è un divario di risposta ai bisogni della popolazione?
Prendo atto che nel comunicato finalmente si apre al fatto che vengono utilizzate impropriamente norme deontologiche per colmare emergenze e disservizi. Fino a ieri l’art. 49 non era la causa di nessun demansionamento ed oggi invece si scopre che probabilmente quella regola deontologica è un arma a doppio taglio che colpisce gli Infermieri e la loro professionalità e che non aggiunge nulla alla tutela del cittadino (SENTENZA), però Presidente si ricordi che ad utilizzare quell’articolo non sono le aziende in quanto tali ma solerti dirigenti.
Il comunicato, sul quale nutro dubbi di efficacia perché generalista e non sottintende alcuna proposta come invece si dovrebbe fare, mi riporta alla mente un quesito posto tempo fa: ma chi scrive i comunicati dell’IPASVI?
Al netto della risposta, si contraggono in poche righe questioni fondamentali per la professione che non possono essere trattate con questa superficialità, soprattutto quando lo scopo è “comunicare” la propria presenza.
Quanto viene denunciato nel comunicato è chiaro negli infermieri da molto tempo, stupisce che l’organo di rappresentanza per eccellenza del mondo infermieristico non riesca mai ad anticipare i tempi: i contratti sono bloccati dal 2009, benvenuti nel mondo reale!!
Cosa si sta aspettando? Cosa aspetta Presidente a creare una sinergia tra gli Infermieri, a rendere questo gruppo sociale di 400mila persone un blocco organizzato e composito che sappia parlare una lingua sola in difesa del Sistema Pubblico?
Non bastano più i comunicato stampa, servono azioni sinergiche tra IPASVI e Sindacato, servono strategie di rinnovamento del mondo del lavoro, serve un chiaro attacco alle diseconomie che stanno massacrando la Sanità. Come sia possibile ancora non aver compreso che siamo di fronte ad un attacco al welfare state come lo avevamo conosciuto, che esistono forti rischi di privatizzazione dei servizi, che esistono trattati internazionali che insisteranno sulla Sanità: serve il coraggio di dire basta alla privatizzazione, serve una maggiore attenzione verso le disuguaglianze, verso quei cittadini che non accedono per motivi economici alle cure, serve quella che io chiamo un pensiero riformatore della Sanità.
Dal momento che non mi considero ne paranoico ne complottista, le offro delle chiavi di lettura perché IPASVI possa provare ad anticipare quanto sta avvenendo.
Dobbiamo avere la capacità di guardare a 360° ed uscire dalla miopia in cui siamo caduti, la questione infermieristica esiste perché esiste un problema più grande che si chiama Sanità, se non si risolve la seconda attraverso una riforma che riporti oltre l’art. 32 della Costituzione, perché il suo enunciato di principio non basta per salvaguardare quel concetto di universalismo, saremo non solo ridimensionati ma complici.
Qualcuno ha deciso di barattare l’universalismo con qualche avanzamento di competenze, come se le due cose non potessero coesistere e questo non è avvenuto oggi ne venti giorni fa, ma direi nemmeno un anno fa con il comma 566.
Fino a quando non utilizzeremo le parole giuste nessuno sarà in grado capirle, perché io non ho studiato economia ma riesco a comprendere la differenza tra taglio ed efficientamento, riesco a comprendere quando pensano di farmi passare come competenza delle attività a basso costo, riesco a comprendere la differenza tra accentramento dei servizi e riorganizzazione.
Noi che siamo, o vorremmo essere una professione sanitaria, dovremmo essere i più vigili e più sensibili di fronte al fatto che la privatizzazione di porti o compagnie petrolifere e in un futuro prossimo anche di quello che resta della sanità pubblica, portano un bel pò di soldi alle casse dello Stato: la morte è l’unica certezza che abbiamo, e nella stragrande maggioranza dei casi essa giunge accompagnata dalla malattia.
Ne consegue che quello della sanità è un business dove la materia prima non mancherà mai, e dove il dolore è forte elemento di persuasione affinché il cliente paghi, paghi molto, e paghi con solerzia. Il giorno che abbiamo cominciato a chiamare “clienti” i nostri pazienti avremmo dovuto sollevare più di un dubbio invece che partecipare alla scrittura di “carte di servizio”.
Dunque oggi non stupiamoci con roboanti dichiarazioni che sono solo un “velo di Maya” per nascondere le nostre colpe per aver continuato a guardare il dito mentre alcuni provavano ad indicarci la luna: per chiarezza il dito è la nostra evoluzione mentre la luna è un Sistema Sanitario capace di dare risposte universali e gratuite attraverso una nuova definizione delle competenze professionali.
Non facciamo finta di non aver capito che la storiella della “spesa pubblica” altro non era che la rivoluzione culturale nella quale ci hanno spinto per farci credere che per uscire dalla crisi economica serviva una ristrutturazione del debito: qualcuno dei nostri dirigenti si è mai preso la briga di andarsi a vedere i dati ISTAT della spesa pubblica?
Se qualcuno non comprende questo esempio, ricordo che la spesa pubblica è rappresentata anche dalla Sanità (9,1% del PIL contro il 10,3 media europea, ogni punto di PIL vale quasi 10 miliardi) dunque quale cosa migliore che definanziare la risposta sanitaria a beneficio dei privati!!
E’ chiaro che se la sanità vale 110 miliardi di spesa, se la “vendiamo” ai privati, la spesa si riduce e con essa tutta la favoletta della spesa pubblica è risolta.
Peccato che l’ISTAT possa dimostrare che quanto sostengono le forze di governo, che rispondono allo slogan “c’è lo chiede l’Europa”, smentisca tutto questo e rilevi che un aumento della spesa pubblica, di conseguenza un aumento degli investimenti anche nel Sistema Sanitario Pubblico, siano un volano per la ripresa economica, in parole povere il famoso PIL non aumenta con la privatizzazione dei servizi, con la precarizzazione del lavoro, ma con l’investimento!
Per questo occorre aprire la lente con cui si osservano i fenomeni, che non sono più sufficienti azioni conservatrici, autoreferenziali o peggio ancora contro-riformatrici.
Se lavoriamo nell’ottica di preservare il Sistema Sanitario, oltre che a lavorare nella direzione della revisione dell’art. 117 della Costituzione, dovremmo imparare a leggere il problema nella sua complessità. Come si diceva poc’anzi non è sufficiente comunicare il disappunto ma chiederci come le politiche sul lavoro stiano incidendo sul Sistema, job’s act compreso, ma soprattutto come incideranno di fronte alla trattativa sui rinnovi contrattuali. Cosa significano le manovre per (contro)riformare il Contratto Collettivo Nazionale, quali saranno le ripercussioni?
Questa visione consente di anticipare, di proporre e di preparare risposte coerenti ed efficaci.
Quando sollevavo la questione su “quale parte stare” non intendevo solo la difesa ideologica del Sistema Pubblico ma intendevo la capacità di elaborare una proposta politica in tale senso.
Questo ci porta diritti alla crisi della classe medica che è figlia di una abitudine a “leggere” la sanità come cosa propria, senza contradditorio e con una forza contrattuale senza pari. Questo atteggiamento ha consentito loro di mantenere vivo il conservatorismo con la quale hanno di fatto gestito la sanità italiana in questo scorcio di Repubblica, oggi che le forza della scienza medica ha lasciato il passo a quella economica, il loro impatto sul sistema appare indebolito, non pensiate che rimarrà tale ancora a lungo.
Abbiamo l’occasione di tornare ad essere garanti del Servizio Sanitario, possiamo farlo se sapremo avere una capacità di lettura a largo spettro e per farlo dovremo tornare ad avere un respiro sociale che abbiamo perso negli ultimi 15 anni.
Piero Caramello
Giuseppe Papagni
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