Introduzione di Anna Di Martino: Storia di un’Infermiera che si credeva Ingegnere
Durante la mia carriera di Infermiera Strumentista in sala operatoria mi è capitato di seguire moltissimi studenti, quasi sempre del 3 anno, quindi laureandi. Alla fine del percorso universitario l’inclinazione di ognuno di loro è ampiamente visibile e si riesce a percepire quale sia il livello di professionalità che ci si aspetta da ognuno di loro.
La più recente esperienza vissuta è quella che state per leggere con la neo-laureata Dr.ssa Marta Di Giovanni.
L’ho tutorata durante il suo periodo di Tirocinio clinico guidato, presso la nostra u.o. Gruppo Operatorio di Cardiochirurgia dell’Ospedale “Mazzini” di Teramo ed ho avuto subito modo di constatare il suo approccio alla professione infermieristica ed, in particolare, nell’ambito della nostra realtà.
Mi ha subito ispirata a seguirla con attenzione, sia per la preparazione scientifica che traspariva dal suo operato, sia per l’inclinazione caratteriale tipica di un’ottima professionista. Abbiamo costruito insieme (io come tutor) l’elaborato finale che ha contribuito, oltre al suo curriculum studiorum, a farle ottenere la votazione finale di 110 con lode e la vincita del “premio Biasini” che l’Università dell’Aquila assegna ogni anno ai due migliori studenti.
Di seguito la sua presentazione. Io non posso far altro che augurarle il meglio ed augurare alla Professione Infermieristica, di essere sempre più appannaggio di queste personalità qualificanti. Buona vita Dr.ssa!
PERCORSO
Mi sono iscritta al Corso di laurea triennale in Infermieristica presso l’Università degli studi dell’Aquila nell’ a.a. 2013-2014, dopo aver frequentato per ben cinque anni il Corso di laurea a ciclo unico di Ingegneria edile-architettura senza conseguimento titolo. Nonostante il mio rendimento fosse buono durante gli studi di ingegneria mi resi conto che non poteva essere la mia strada, per cui dopo un lungo periodo di “crisi” con coraggio e determinazione decisi di dare una svolta alla mia carriera universitaria. Volevo diventare un’infermiera a tutti i costi, studiai tutta l’estate e nel mese di Settembre del 2013 superai il test di ammissione al Corso di laurea triennale in Infermieristica.
Studiare mi è sempre piaciuto e sin dall’inizio ho mostrato grande interesse verso la maggiorparte delle materie del mio corso di laurea.
Il mio tirocinio formativo si è svolto presso l’Ospedale “G.Mazzini” di Teramo nei seguenti reparti: Chirurgia generale e Medicina uomini (I anno); Cardiologia e Allergologia ed Immunologia (II anno); Neurochirurgia e Sala operatoria cardiochirurgica (III anno).
Lo svolgimento del tirocinio è stato di fondamentale importanza per l’acquisizione di ulteriori conoscenze, per la messa in pratica della teoria e per la messa alla prova delle mie capacità comunicative ed empatiche. Certo, non è stato semplice passare da un reparto all’altro, lavorare ogni volta con una nuova equipe, trovarsi dinanzi a varie tipologie di paziente, ma ciascuna di queste esperienze mi ha arricchito e permesso di ampliare le mie conoscenze sia sul piano pratico che sul piano teorico. Mi sono laureata il 26 Novembre di quest’ anno e la votazione attribuitami è stata 110 con lode. Inoltre, con mia grande gioia, sono stata una dei due vincitori del premio “Massimo Biasini” conferito (sulla base della media ponderata degli esami) al “Miglior laureato in Infermieristica dell’a.a. 2015-2016” .
PREMESSA TESI
La passione è l’elemento essenziale che deve scorrere nelle vene di chiunque scelga di svolgere una particolare professione rispetto ad un’altra; la professione dell’infermiere è una scelta che presuppone passione.
Oggi la figura dell’infermiere viene ampiamente deformata e sottovalutata; da una parte a causa di un’ignoranza stagnante della società e dall’altra a causa degli stessi infermieri che non muovono passi in avanti verso il cambiamento e sostano beati nel “si è fatto sempre così”. Questi, per primi, offrono al mondo una visione distorta del loro mestiere.
Chi è l’infermiere? Quali sono le conoscenze che deve avere?
Non siamo degli aiutanti, non siamo volontari, non siamo soccorritori né moralisti che si sono svegliati una mattina e hanno deciso di amare il prossimo.
Certo, queste possono essere propensioni che qualsiasi persona può avere, sicuramente propensioni che anche un infermiere può avere, ma non sono queste le caratteristiche definenti della nostra professione.
Essere infermieri vuol dire studiare tanto, mettere in pratica e avere un enorme slancio mentale nel leggere tra le righe, nell’individuare cosa c’è davvero dietro un dato restituito da un monitor o da un esame di laboratorio.
Occorre prevenire, occorre prevedere, occorre “arrivare prima” là dove gli automatismi non servono. Efficacia, efficienza, qualità: sono la meta che ciascun infermiere deve preporsi; una prestazione di qualità consiste nell’insieme di conoscenze documentate ed accettate dalla comunità scientifica che il professionista infermiere ricerca, valuta criticamente ed applica nella pratica assistenziale.
Si parla di “Evidence Based Nursing” come quel “processo per mezzo del quale gli infermieri assumono le decisioni cliniche utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza clinica e le preferenze del paziente, in un contesto di risorse disponibili”. L’infermiere non può concedersi una sosta accontentandosi degli insegnamenti di “ieri”, bensì deve aggiornare le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica sull’esperienza e la ricerca.
Un infermiere deve fondare il proprio operato su conoscenze validate e aggiornate, così da garantire alla persona le cure e l’assistenza più efficaci.
La persona: ecco l’oggetto, il Soggetto della mia professione.
Questo è il motivo per cui ogni mattina, già da semplice tirocinante, varcata la soglia del reparto mi dimentico della mia vita fuori e metto insieme tutte le mie conoscenze e tutte le sfumature del mio essere per portare “in campo” il meglio di me, come professionista e come persona. Ci sono sì delle procedure da eseguire, ci sono sì delle valutazioni da fare, ma non bisogna mai dimenticarsi di chi si ha dinanzi: la persona, un’unità multidimensionale di corpo, mente e spirito unificata dal centro luminoso della coscienza.
Il tirocinio in S.O. è stato il riassunto dei miei tre anni di studi universitari, un insieme di teoria, pratica, lavoro di equipe, rigore nell’esecuzione delle procedure e sguardo ampio verso una tipologia di paziente del tutto diversa da quella che si riscontra in reparto. Ci troviamo dinanzi ad un paziente fisicamente, mentalmente e psicologicamente appesantito da ciò che lo attende dietro le porte della S.O. e noi infermieri oltre a svolgere bene le procedure non possiamo non aver imparato comunicazione ed empatia.
La comunicazione richiede partecipazione attiva da entrambe le parti e l’empatia significa “sentire dentro”, avere la capacità di percepire gli schemi di riferimento interiori della persona che abbiamo davanti, con accuratezza e con tutte le componenti emozionali e di significato di cui sono corredati.
Marta Di Giovanni
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