Essere pienamente convinti e fortemente motivati è sempre stato considerato un fattore fondamentale per portare a termine con successo una esperienza lavorativa
In campo manageriale è noto da tempo che la motivazione alla professione sia un fattore imprescindibile per la buona riuscita dell’operato in questione; nonché per la “salute” lavorativa del professionista.
In campo infermieristico l’esplicazione di questo concetto è giunta in tempi relativamente recenti; promossa sia dalle modifiche legislative che rendono l’infermiere un professionista a tutto tondo, sia dal cercare di risolvere e quindi primariamente di riflettere sulle sempre più numerose situazioni di disagio sotto il profilo lavorativo.
Se partiamo da questo presupposto, pensiamo che saremo tutti concordi nell’affermare che una forte motivazione sia un fattore fondamentale perché il professionista infermiere abbia il coraggio, la forza e la passione di donare se stesso e le proprie abilità, in maniera totale e costante, a chi chiede il suo aiuto.
Le nuove tecniche di management definiscono la partecipazione del personale alle decisioni come un fattore molto importante riguardo la motivazione lavorativa.
Il personale si deve sentire parte del tutto e deve essere incoraggiato a stabilire i propri obiettivi e le proprie modalità di raggiungimento degli stessi.
Un ulteriore fattore significativo nel mantenere la motivazione professionale sembra essere la coerenza fra gli obiettivi del personale e gli obiettivi dell’organizzazione: è fondamentale che la persona si “riconosca” nell’organizzazione.
L’insoddisfazione lavorativa porta con sé un impatto negativo a livello di produttività; spesso è uno dei fattori determinanti l’abbandono del lavoro o comunque di un frequente turnover di personale, incide notevolmente sui costi, sui tempi e sulla qualità del servizio offerto; è necessario reclutare un nuovo dipendente, che avrà bisogno di tempo per ambientarsi e per poter svolgere autonomamente il proprio lavoro; potrebbe accadere che al restante personale venga chiesto di svolgere più lavoro, scatenando in loro una sensazione di insoddisfazione e, di conseguenza, un circolo vizioso.
LA MOTIVAZIONE E LA PROFESSIONE
Perché una persona lavora?
Perché sceglie un certo tipo di lavoro piuttosto che un altro?
Perché alcune persone sono più produttive di altre sul lavoro?
O ancora, perché alcune persone sono alla continua ricerca del miglioramento professionale mentre altre semplicemente si accontentano?
Queste sono solo alcune delle domande che ci si può porre riflettendo sul concetto di motivazione e di professione.
1.1 La teoria di Taylor
Frederick W. Taylor (1856 – 1915) condusse degli studi finalizzati alla scoperta del metodo più efficiente per svolgere un determinato compito.
Tra i punti cardine delle sua teoria ci sono la retribuzione proporzionale allo sforzo effettuato e al lavoro prodotto; infatti se un lavoratore estremamente valido dal punto di vista produttivo fosse a conoscenza di ottenere la stessa retribuzione di un lavoratore non altrettanto produttivo sicuramente perderebbe la motivazione a mantenere elevata la sua produttività.
Taylor sosteneva che fosse necessario un incentivo che lui riconosceva nel salario proporzionale alla produttività.
Altri esempi di metodi incentivanti sono i riconoscimenti formali, il pagamento a cottimo, i sistemi premianti.
Dalla teoria di Taylor sono stati estrapolati concetti che avranno poi influenzato i moderni modelli aziendali come la selezione professionale, un diverso sistema di remunerazione, l’analisi metodica del lavoro e il cronometraggio dei tempi di lavoro.
1.2 Il movimento delle Human Relations
Nasce negli anni ’40 come reazione alla “teoria classica dell’organizzazione”.
Il focus di questa teoria è l’individuo stesso, le sue relazioni interpersonali, la comunicazione; viene attribuita una grande importanza all’ambiente sociale e allo sviluppo del potenziale del lavoratore.
Capostipite di questa teoria è Elton Mayo (1880 – 1949); egli condusse degli studi per valutare quanto l’ambiente fisico di lavoro potesse influenzare la produttività ma i risultati non portarono verso l’affermazione di questa ipotesi bensì verso la teoria che il fattore maggiormente motivante a livello produttivo fosse il rapporto interpersonale che si sviluppa sul luogo di lavoro insieme alla partecipazione alle decisioni aziendali e al “riconoscersi” negli obiettivi aziendali.
1.3 Le scienze comportamentali
Durante gli anni ’50 emersero le scienze comportamentali che si proponevano di studiare attraverso metodi scientifici gli aspetti psicologici del comportamento umano all’interno delle organizzazioni.
Il focus di questa teoria rimane l’individuo, la sua realizzazione, i suoi bisogni, il suo coinvolgimento nelle decisioni.
I comportamentisti sostengono che le persone non si differenziano solo per le loro attitudini ma anche per le loro motivazioni. La motivazione esplica il perché di un dato comportamento umano ed è strettamente legata con il concetto di bisogno.
Capostipite dei comportamentisti è Abraham Maslow (1908 – 1970).
1.4 Teoria della motivazione – igiene di Herzberg
Frederick Herzberg fu considerato il padre della teoria sulla motivazione al lavoro.
Condusse uno studio intervistando dei lavoratori e chiedendo loro cosa li facesse sentire soddisfatti nel lavoro e cosa invece li facesse sentire insoddisfatti.
Analizzando le risposte Herzberg scoprì che quando il lavoratore si sentiva insoddisfatto generalmente attribuiva ciò all’ambiente lavorativo; mentre quando si sentiva soddisfatto attribuiva il merito al lavoro stesso.
A questo punto Herzberg definì due categorie di bisogni (totalmente indipendenti l’una dall’altra):
- i FATTORI IGIENICI o di mantenimento;
- i FATTORI MOTIVANTI.
I primi sono stati definiti tali perché non provocano nessun miglioramento nell’individuo, al contrario i fattori motivanti stimolano costantemente alla crescita professionale e al raggiungimento dei propri obiettivi.
1.5 La motivazione e la professione infermieristica
La professione infermieristica è inclusa nelle cosiddette “professioni d’aiuto”; le capacità comunicative e l’instaurare una relazione d’aiuto con l’altro sono i punti chiave di questo genere di professione.
Molto spesso, sia per il contesto costante di sofferenza, sia per le caratteristiche proprie della professione sopra citate, questo implica un coinvolgimento emotivo importante da parte dell’operatore stesso.
In ambito assistenziale “la soddisfazione lavorativa rappresenta uno dei determinanti della performance infermieristica, della qualità dell’assistenza e del contenimento dei costi”.
Massimizzare la soddisfazione lavorativa e la motivazione vuol dire influire positivamente sulle risorse e sul raggiungimento degli obiettivi; ormai anche in ambito assistenziale è chiaro che la motivazione dell’infermiere sia fondamentale per la qualità dell’assistenza erogata, infatti l’insoddisfazione lavorativa è spesso collegata ad una compromissione nella relazione con la persona assistita.
Tra i fattori di soddisfazione e di insoddisfazione nel campione indagato, tra i primi ritroviamo:
- Lo stimolo allo sviluppo di nuove capacità;
- la libertà di scelta nel metodo di lavoro;
- gli orari di lavoro;
- il concetto di professione in generale;
…tra i secondi invece abbiamo:
- il rapporto stipendio/responsabilità;
- l’opportunità di fare carriera.
Ma la fonte primaria di soddisfazione lavorativa è stata riconosciuta dagli infermieri nella relazione con la persona assistita e il suo nucleo familiare.
Per cui le relazioni umane e d’aiuto che si sviluppano e che sono il fulcro della professione infermieristica risultano essere proprio gli aspetti di maggior soddisfazione lavorativa.
Da ciò si evince che la risorsa principale, nel sistema organizzativo sanitario, deve essere riconosciuta nell’individuo: è lui il motore ed è necessario che egli si senta tale, è necessario che riceva feedback positivi dall’organizzazione e che si trovi il giusto mix fra gli obiettivi dell’individuo e dell’azienda; in questo modo l’operatore potrà compiere il proprio lavoro con la giusta motivazione e soddisfazione attuando un’assistenza infermieristica di qualità.
Il progresso del management sta portando sempre più verso la maggiore considerazione per lo stato di benessere del personale piuttosto che per l’organizzazione aziendale.
Le buone condizioni lavorative sono certamente un presupposto indispensabile per la qualità del servizio fornito.
Le relazioni umane insoddisfacenti deteriorano la migliore organizzazione, e spesso provocano negli operatori un malessere avvertito come individuale, percepito come una caduta della propria motivazione, come distanza ed estraneità dell’organizzazione dalle proprie aspirazioni professionali, o di quella parte della personalità che si realizza nel mondo del lavoro.
Conclusioni
Crediamo che da queste osservazioni fuoriesca in modo prepotente una visione dell’infermiere nettamente positiva; un professionista decisamente motivato, che crede in ciò che fa, che riconosce l’importanza del paziente e della sua sofferenza, che crede nella formazione continua e permanente, che lavora in autonomia professionale e che risiede di diritto in un’equipe multidisciplinare.
Dott.ssa Troia Patrizia
Dott. Lorusso Nicola
Dott.ssa Sgarra Nicoletta
Bibliografia
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Manuale di Psicologia, RENZO CANESTRARI-ANTONIO GODINO, Gio Editing, Bologna; Prima edizione: 1994, Ristampa: 2000 Psicologia Generale, LUIGI ANOLLI-PAOLA LEGRENZI, Ed. Il Mulino, Bologna; 2006
Psicologia, PETER GRAY, II edizione italiana condotta sulla IV edizione americana, Zanichelli, Bologna; Prima edizione: 1997, Seconda edizione: 2004; Titolo originale: Psychology, P. GRAY, Fourth edition, First published in the United States by Worth Publishers New York and Basingstoke, I edition: 1991, II edition: 2002
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