Si chiama Cinzia Pescara, ha 39 anni, è molisana, mamma di due figli ed è infermiera in un reparto di lungodegenza, presso l’ospedale Giuseppe Vietri di Larino (Campobasso).
Cos’ha di speciale? Non ha perso la voglia di emozionarsi per la propria vita e per il proprio lavoro, a differenza dei tantissimi colleghi infermieri bruciati e abbrutiti dalla crisi, dal precariato e da uno stallo professionale imbarazzante.
Ma, soprattutto, ha deciso di trasmettere al mondo le proprie sensazioni attraverso la poesia.
I suoi scritti nascono di continuo, sotto forma di versi liberi, in qualsiasi momento della giornata. E Cinzia li legge anche ai suoi pazienti, tra cui riscuotono molto successo.
Da qualche anno, partecipa anche ad alcuni concorsi letterari che le hanno regalato, oltre ad alcune vittorie, anche la possibilità di incontrare personaggi importanti del mondo della scrittura come Giulio Rapetti, ovvero il paroliere Mogol e Alessandro Quasimodo, figlio del più noto Salvatore, premio Nobel per la letteratura nel 1959.
Noi di Nurse Times, incuriositi dal suo percorso e dalla sua passione, l’abbiamo intervistata.
Chi è Cinzia, dove vive e dove lavora?
Mi sono diplomata nel 2001 a Vasto. Sono una persona caratterialmente molto solare, altruista, votata alla comunicazione e all’interazione. E con la scelta di questa che poi è diventata la mia professione, questa mia caratteristica si è accentuata. Ora vivo a Campomarino e lavoro da 12 anni all’ospedale di Larino, in un reparto di lungodegenza; ma ho avuto anche delle esperienze lavorative ‘fuori’: al San Raffaele di Milano, al Salesi di Ancona e al 118 (durante il terremoto di San Giuliano).
Cosa significa per te essere infermiera?
Significa dare. Che non è solo dare la terapia, come una compressa o un’iniezione intramuscolare, ma riuscire a regalare anche un sorriso quando non c’è una compressa. Anche solo una pacca sulla spalla, anche solo una parola di conforto… mi piace molto dialogare coi miei pazienti, anche se nella sanità di oggi non c’è più il tempo materiale per farlo, si va sempre troppo di fretta; e spesso, se lo fai vieni anche guardato male. Eppure è così bello quando vedi i risultati di una relazione d’aiuto instaurata e curata come Dio comanda…
Quando ho iniziato a lavorare, 12 anni fa, si sentiva ancora il peso della divisa bianca addosso, come qualcosa che ti dava forza, importanza, che ti identificava chiaramente come colui che aiuta; oggi, invece, sembra quasi che questa addirittura ci penalizzi. Tutto è dovuto. E anche di più.
E cosa significa per te scrivere poesie?
La poesia ha il potere di farmi rivivere e trasmettere ciò che sento. Ciò che ho vissuto e provato. Anche se si tratta di momenti lontani nel tempo. Scrivo a seconda delle emozioni che provo, quando le provo. E come ogni ispirazione che si rispetti, anche la mia… non da preavvisi. Racconto della mia famiglia, della mia infanzia, ma anche del mare e della mia terra.
Ho sempre scritto, ma ho tenuto nascosta questa mia passione fino a poco tempo fa, quando mi ritrovai un giorno in una situazione molto particolare: entrai in una stanza di degenza e domandai ad un paziente tracheostomizzato come si sentisse. Lui mi fece cenno che andava tutto bene e continuava a seguirmi con lo sguardo, come se volesse continuare in qualche modo a dialogare. Avevo del tempo così dopo avergli stazionato un po’ accanto, gli domandai: “Vorrei leggerle una cosa. Le va di ascoltarla?” Lui fece cenno di sì. Gli piacque molto. Tanto che mi chiese di continuare a leggere. Non gli dissi che erano mie poesie, ma lui lo capì. E per mezzo di una tavola Etran, con l’aiuto del figlio mi domandò: “Ha mai pensato di partecipare ad un concorso di poesia?” Tutto è nato da lì… quando uscii da quella stanza lui aveva cambiato espressione del viso. C’era gioia, in lui.
Hai in mente un progetto per portare la lettura in corsia… parlacene.
Sì, vorrei portare qualcosa di diverso in corsia, per regalare delle emozioni e dei momenti di leggerezza ai pazienti. E non intendo solo tramite le mie poesie o gente che vaga con dei libri e che si mette a leggerli davanti alle unità di degenza. Vorrei che le letture abbiano lo scopo di stimolare, in qualche modo, anche i racconti dei pazienti; così da creare un’interazione grazie a cui delle storie generano altre storie. Dei pensieri ne generano degli altri. E soprattutto grazie a cui i pazienti si sentano veri e propri protagonisti di questi che devono essere dei momenti importanti del loro processo di cura. Per tutto questo, a dire la verità, non mi viene in mente la stanza di degenza, ma delle vere e proprie aree dedicate dove poter stare in gruppo. Per gli utenti sarebbe un momento bellissimo e diverso dal solito silenzio, importante per distrarsi dai dolori e dalle malattie e per svagarsi.
Partecipi a vari concorsi di poesia…
Sì, ho partecipato a diversi concorsi e vengo spesso invitata a diverse manifestazioni, a cui vado molto volentieri… lo faccio in quanto ho deciso di voler condividere con più gente possibile le mie emozioni, senza pensare di dover vincere o di volermi mettere in mostra. In realtà io vinco un premio ogni volta che la lettura di una mia poesia viene contraccambiata con un applauso, con un complimento, con della commozione o con degli sguardi nella platea pregni delle emozioni che voglio trasmettere…
Il primo premio che ho vinto, come seconda classificata, a seguito del primissimo concorso a cui ho partecipato presso Rocca Imperiale, è stato per me il più emozionante. Leggere le tue poesie lì, davanti a tutti, mettendosi totalmente in gioco, è stato per me meraviglioso. E pensare che tutto è nato grazie ai commenti di alcuni miei pazienti…
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