Infermiere presso il 118 di Manduria e giornalista di cronaca, il collega è stato protagonista di due provvedimenti disciplinari in poco tempo… trattasi di un tentativo di bavaglio? Noi di Nurse Times l’abbiamo intervistato.
Nazareno Dinoi è un infermiere… raccontaci in breve il tuo percorso.
Sono nato come infermiere e dopo ho incontrato quest’altra passione della scrittura. Per la prima professione ho lavorato sempre nell’are acritica. La mia carriera l’ho consumata tra pronto soccorso, sino a 11 anni fa, e 118 dove lavoro tuttora. Sono stato per diversi anni un delegato Aniarti nella cui organizzazione mi pregio di aver portato il numero di iscritti nella mia regione al terzo posto in Italia (quando entrai ci contavamo su due mani).
Ho percorso tutto ciò che era percorribile nella formazione dell’emergenza. Con il mio gruppo di colleghi storici (eravamo tre) siamo stati i primi istruttori Irc della Puglia. Ora a 60 anni non mi sento più in grado di insegnare niente a nessuno. Credo però di fare ancora bene il mio lavoro di infermiere di area critica. Altro particolare: tutti i miei vecchi colleghi sono diventati “caporali” (coordinatori, dirigenti), io sono rimasto soldato semplice. Faccio ancora i miei tre turni in ambulanza, notti e festivi come capitano. E sono contento così.
Nazareno Dinoi, però, fuori dall’orario di lavoro, è anche un giornalista. Parlaci di questa tua passione.
Ho iniziato a scrivere nelle riviste del settore sanitario-infermieristico come Emergency Oggi e Scenario Aniarti. Poi mi sono appassionato di altro. Di cronaca nera soprattutto. Nel 1995 ho cominciato le mie esperienze di cronista nei quotidiani, nel 2000 ho ottenuto l’iscrizione all’Albo dei giornalisti come pubblicista. Ho scritto cinque libri, il primo sulle mie esperienze di infermiere dell’emergenza (Anime senza nome), poi uno autobiografico (Kompagno di sogni), e ancora “Sarah Scazzi, il pozzo in contrada Mosca” e “Dentro una vita”, storia vera di un detenuto di mafia del 41bis. Un quinto libro è in pubblicazione. Dal 2000 ad oggi ho sempre avuto contratti di collaborazione con i quotidiani anche nazionali e con settimanali (Di Più, Giallo). La storia continua.
Sei un infermiere che scrive, quindi. Come pochi altri, in Italia. Pensi che le due attività siano incompatibili?
La legge sul pubblico impiego regola e limita le seconde attività. Quella di giornalista, fortunatamente, è tutelata nel senso che esula dai divieti imposti. Quindi la risposta è no, non sono incompatibili. Perché lo stabilisce la legge. Al limite, come è successo al sottoscritto, occorre (io dico, conviene) farsi autorizzare.
Eppure la Asl di Taranto non è stata dello stesso avviso… tanto che a marzo sei stato sospeso per un mese senza stipendio. Raccontaci di cosa è successo.
La mia Asl non mi ha punito, lasciandomi un mese senza stipendio, perché sono giornalista e scrivo, ma perché avevo aperto una partita Iva (per regolarizzare con il fisco le mie entrate extra). Ora non ho più un profilo fiscale ma ho fatto ricorso al tribunale del lavoro il cui processo non è ancora iniziato. Ritengo sia un mio diritto dichiarare quello che guadagno dal mio lavoro di giornalista e pagare regolarmente le tasse, perciò spero di avere giustizia su questo punto. Il diritto di essere giornalista non è messo in dubbio. Ci mancherebbe.
Ti arrivata da poco un’altra contestazione… dove ti viene in qualche modo “consigliato” cosa puoi o non puoi trattare nei tuoi articoli…?
Questa volta mi contestano di aver scritto sulla Asl. Insomma, secondo la direzione generale posso scrivere di tutto tranne argomenti che riguardano l’azienda sanitaria per cui lavoro. In particolare mi contestano due articoli. Ora, secondo il mio datore di lavoro, io non avrei dovuto farlo perché «Sono stato autorizzato a svolgere solo attività di collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili (che è poi un diritto sancito dal D. Lgs. n. 165/2001 Art. 53, dico io), con esclusione di contenuti dedicati all’Asl di Taranto».
Non sfuggirà la genericità del divieto. Di cosa non potrei, quindi, scrivere, riguardo la Asl di Taranto? Ad esempio di un parto trigemellare avuto da una ottantenne? O di un intervento chirurgico riuscitissimo? O dell’inaugurazione di un nuovo reparto? E via di seguito.
Naturalmente, in tantissimi anni di questo mio doppio lavoro, mi sono ben guardato dal riportare fatti dichiaratamente faziosi e lesivi nei confronti dell’azienda per la quale lavoro. Né ho mai violato gli obblighi della riservatezza di episodi che avrei potuto apprendere nel delicato rapporto diretto con i miei pazienti. Conosco bene gli obblighi deontologici dell’infermiere e li rispetto così come rispetto quelli di giornalista.
Cosa rischi?
Dopo la sospensione di un mese potrebbe accadermi qualsiasi cosa. Vedremo.
Ti senti imbavagliato? Mobbizzato? Al centro di una poco velata opera di intimidazione?
Inutile nascondere che il conflitto è nato dopo che un politico, a cui evidentemente non piace la mia seconda professione di giornalista, ha presentato un esposto alla Asl sollevando dubbi per questo mio doppio ruolo. Da allora sono cominciati i miei guai: trasferimento ingiustificato, “osservato a vista” dai miei diretti superiori ed altre pressioni che esulano dalla professione giornalistica, tutte sollecitate dal politico di cui sopra.
L’interferenza e il nome di tale politico non è un segreto per nessuno poiché è tutto documentato e scritto nero su bianco nelle motivazioni del precedente provvedimento disciplinare che mi ha sottratto un mese di stipendio e contro cui ho presentato ricorso al giudice del lavoro che si deve ancora esprimere.
Rispondo alla domanda sull’imbavagliamento con altre domande: può una disposizione di servizio di un direttore generale superare e annullare un diritto riconosciuto dalla Costituzione italiana dove all’articolo 21 che tutti conosciamo proclama che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»?
E può, la stessa fonte, superare il precetto deontologico del giornalista (Diritti e doveri della legge professionale 69/1963) che all’articolo 2 recita «E’ diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede»?
Secondo te… in questo scenario che oscilla tra demansionamento, scarso riconoscimento e competenze avanzate… dove è diretta la professione infermieristica in Italia?
Devo essere implacabile su questo e sono sicuro che creerò malumori nella professione. Dico intanto che noi infermieri non ci sappiamo far valere e che nonostante i titoli (dott., dirigente, coordinatore) restiamo schiacciati sotto l’ombra del medico che ci sovrasta non per meriti ma istituzionalmente. I nostri colleghi “promossi” dottori? Scimmiottano anche loro dietro al titolo, dimenticando di essere infermieri o almeno sognando di non esserlo più. E quindi, oltre a quella del medico, spesso dobbiamo combattere anche contro la loro ombra.
A farci pesare questo, come lo definisci tu, “scarso riconoscimento”, è soprattutto l’utenza stessa, i nostri pazienti, la gente, la società. Un esempio? Da quando indosso la divisa, oggi come ieri, non mi hanno mai chiamato dottor Dinoi. Come giornalista, sempre.
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