Quando una relazione crea difficoltà all’equipe in terapia intensiva: analisi di un caso etico secondo il modello di Fry e Johnstone
Abstract
L’infermiere, durante la sua attività professionale, sovente si trova a dover affrontare situazioni emotivamente ed eticamente complicate e delicate.
Soprattutto negli ultimi anni, quando il dibattito è divenuto più acceso a tutti i livelli della società, affrontare il tema dell’omosessualità porta spesso a confronti e discussioni anche in ambito lavorativo.
E’ questo il caso dell’equipe di una terapia intensiva in cui le opinioni dei professionisti, dei familiari del ricoverato e del compagno erano contrastanti.
Il ruolo dell’infermiere ha raggiunto livelli elevati nelle strutture di terapia intensiva, dal punto di vista tecnico-assistenziale ma anche e soprattutto nell’ambito relazionale con i ricoverati e con l’entourage familiare.
E’ da ricordare che la maggior parte dei ricoverati in terapia intensiva non è in grado di esprimere le proprie opinioni e di conseguenza tutto risulta più complesso. Ecco quindi che il professionista non può trovarsi impreparato nella gestione di situazioni critiche come quella analizzata: il confronto in equipe è fondamentale al fine di giungere pronti ed uniti alla presa di decisioni.
Il dilemma etico di cui si parla, tratta di una relazione omosessuale non gradita dalla famiglia del ricoverato e delle conseguenti decisioni assunte dai professionisti operanti all’interno della terapia intensiva per quanto concerne le visite del compagno del ricoverato.
Il caso è stato analizzato secondo il modello decisionale etico di Fry e Johnstone.
Introduzione
Questo elaborato è stato scritto sulla base di un’esperienza realmente accaduta. Lo scopo di questa analisi è riflettere su quanto avvenuto nell’episodio ma anche e soprattutto delineare una strada da percorrere se in futuro si dovessero presentare situazioni di questo tipo.
Si è deciso di analizzare questo caso poiché è inerente la pratica del laureato in infermieristica, ovvero del professionista infermiere che può operare in una terapia intensiva.
Pensare a quanto accaduto porta necessariamente a porsi numerose domande ma una in particolare: è corretto e/o lecito, durante l’assistenza intensiva ad un malato sedato ed intubato, permettere al suo compagno di vederlo nonostante i genitori abbiano espressamente indicato di non permettergli l’ingresso?
Per l’analisi dell’accaduto si è deciso di seguire il modello decisionale etico di Fry e Johnstone (2004). Inizialmente è stato descritto il caso. A seguire è stato preso in considerazione il significato del conflitto dei valori implicati, il significato del conflitto tra le parti interessate ed infine è stata avanzata una possibile vie da seguire per la soluzione del dilemma a fronte dei principi e dei valori implicati.
Quali sono i retroscena dei conflitti di valori?
Nell’estate 2009 veniva ricoverato presso l’U.O. di Malattie Infettive il signor Paolo con diagnosi di ammissione “polmonite severa da Chlamydia Pneumoniae”. Paolo era un geometra di 26 anni, era omosessuale e conviveva con un uomo di nome Andrea.
Paolo, per paura di venire a conoscenza di particolari problemi di salute, non aveva mai operato accertamenti sanitari e non si era mai sottoposto a test diagnostici quali la ricerca del virus dell’HIV. Dopo vari accertamenti diagnostici presso la struttura di Malattie Infettive si scopriva che Paolo era un soggetto HIV positivo ed affetto da AIDS ormai conclamato. Andrea era ignaro delle condizioni cliniche reali di Paolo.
Nel giro di pochi giorni le condizioni cliniche di Paolo peggiorarono e venne trasferito presso la struttura di Anestesia e Rianimazione per una grave insufficienza respiratoria tale da richiederne l’intubazione, la sedazione e l’isolamento infettivo.
All’interno della struttura di Anestesia e Rianimazione Paolo era in una camera singola con circuito di areazione a pressione negativa in isolamento respiratorio. Il ragazzo era sedato e intubato con sostegno ventilatorio meccanico. L’accesso nella stanza era consentito, per operatori e parenti, solo attraverso l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale quali camice monouso, guanti e mascherina (FFP2 o FFP3 in base alle manovre da attuare).
Per le regole della Terapia Intensiva veniva permesso ai parenti di vedere l’assistito due volte al giorno, dalle 12.00 alle 13.00 e dalle 18.00 alle 18.30. Per decisione dell’equipe presente il giorno del ricovero e dei genitori di Paolo, lo stesso accesso veniva negato ad Andrea in quanto non riconosciuto come parte del nucleo familiare. Quindi il convivente dell’assistito non poteva vedere la persona e neppure venire a conoscenza delle sue reali condizioni cliniche.
Tuttavia, a partire dal secondo giorno di degenza in Rianimazione durante alcuni turni, il personale operante, prevalentemente infermieristico, in disaccordo con le decisioni prese dai responsabili della struttura e dai parenti, permetteva ad Andrea di vedere Paolo all’insaputa dei genitori e quindi fuori dall’orario ufficiale di visita.
In settima giornata di degenza in Rianimazione, a seguito di un improvviso peggioramento delle condizioni cliniche generali e di un aggravamento della stasi polmonare, Paolo morì.
E’ corretto e/o lecito, durante l’assistenza intensiva ad un malato sedato ed intubato, permettere al suo compagno di vederlo nonostante i genitori abbiano espressamente indicato di non permettergli l’ingresso?
Quale significato hanno i valori implicati?
Nell’analizzare il caso etico, il principio di autonomia spicca evidentemente: Paolo, essendo in una condizione di sedazione profonda ed essendo intubato, non ha modo di esprimere il suo pensiero e le sue volontà.
Infatti, secondo le indicazioni derivanti dalla bioetica e dal principialismo, l’autonomia si configura con il diritto dell’individuo di esprimere i propri valori e le proprie convinzioni, non solo per i trattamenti terapeutici ma anche per i comportamenti legati alla salute. Ciò che caratterizza il principio di autonomia è il diritto di scelta della persona, libera e responsabile.
La situazione affrontata evidenzia una impossibilità da parte della persona di comunicare le proprie volontà e le proprie scelte.
E’ necessaria quindi di una presa di posizione e, conseguentemente, l’equipe medica ed infermieristica coinvolgono i parenti più vicini a Paolo per la gestione delle visite in terapia intensiva. I genitori quindi trasferiscono su sé stessi la presa di decisione ed impongono che solo loro e gli zii possano far visita al ricoverato.
Nel caso analizzato è coinvolto anche il principio di giustizia poiché lo stesso prevede che, tra le altre indicazioni, il professionista tuteli la privacy e la riservatezza dell’assistito non solo per le disposizioni dettate dal Legislatore ma anche per intima convinzione sulla base della fiducia infermiere-assistito (Codice Deontologico dell’Infermiere, 2009 art. 28).
Garantire la privacy e la riservatezza di Paolo per i genitori significa escludere che Andrea possa fargli visita. Lo stesso vale per il gruppo dei medici e per alcuni infermieri. Per altri infermieri invece il problema di garantire la riservatezza del paziente in senso lato non sussiste poiché, essendo Andrea il convivente, non dovrebbero esserci disquisizioni di sorta.
Anche l’advocacy è un concetto etico che deve essere citato trattando di questo caso. L’advocacy implica, secondo il modello del rispetto delle persone, l’interpretazione del paziente come appartenente alla comunità umana e perciò degno di rispetto. Nel caso in cui il paziente non fosse in grado di operare delle scelte, l’infermiere ne difende (advocates) il benessere in modo coerente con quanto il paziente aveva deciso prima di essere malato oppure in accordo con il volere dei familiari o di chi ne fa le veci (Fry, Johnstone, 2004).
Salvaguardare la dignità umana sembrerebbe per tutti gli attori coinvolti un valore importante ma viene espresso in maniera differente.
Vi sono poi valori personali e religiosi inevitabilmente coinvolti in questa faccenda: i genitori non hanno mai accettato l’omosessualità del figlio e di conseguenza hanno sempre rifiutato la sua relazione con Andrea.
I valori religiosi, derivanti ed emersi dalla professione della religione cattolica di alcuni medici ed infermieri, hanno influito sulla propensione al rispetto della decisione presa dai genitori di Paolo.
I valori personali hanno giocato un ruolo fondamentale per tutti gli attori ed hanno costituito lo sfondo dell’intera vicenda.
Qual è il significato dei conflitti per le parti implicate?
Come si è potuto notare dalla lettura del caso, si è venuta a creare una situazione che Fry e Johnstone (2004) definiscono come conflitto per le parti implicate. Il tentativo di ogni persona coinvolta nella vicenda -genitori, infermieri e medici- sembra essere quello di promuovere il benessere di Paolo.
Il conflitto emerso porrebbe in primo piano il principio di autonomia della persona assistita che però non ha la possibilità di esprimere il suo pensiero e le sue volontà.
Ecco quindi che i genitori credono che la cosa migliore sia non permettere ad Andrea di vedere Paolo, nonostante egli sia il suo convivente. La scelta presa dai genitori è certamente di natura personale e religiosa e deriva da un vissuto che si è evoluto prima della situazione di malattia di Paolo.
La Chiesa Cattolica si dichiara contraria ai rapporti omosessuali, ma non alle persone omosessuali in quanto tali, affermando che devono essere trattate con dignità e rispetto. Sulla base di tale affermazione i sanitari cattolici sarebbero stati disponibili a colloquiare con Andrea e a rispondere ai suoi dubbi e domande ma non avrebbero concordato per un suo ingresso, viste le decisioni assunte in precedenza. Andrea non ha mai accettato questo compromesso.
Gli infermieri operanti in Rianimazione, a differenza di quelli assegnati alla struttura di Malattie Infettive, non hanno avuto modo di stabilire una relazione di fiducia diretta con Paolo poiché egli fin dal primo istante di permanenza in Terapia Intensiva era sedato ed intubato con sostegno ventilatorio. Questo fatto ha creato non pochi problemi poiché nessuno dei professionisti aveva avuto modo di conoscere realmente i pensieri del ricoverato.
Per alcuni medici ed infermieri, il pensiero più importante era quello di salvaguardare e rispettare quanto avanzato dai parenti più prossimi a Paolo. Molto probabilmente questo trovava origine sì da una convinzione personale volta a rispettare quanto previsto dalla normativa, ma anche dal credo cattolico di questi operatori. Quindi questi operatori fungevano da “advocates” (Fry, Johnstone, 2004) dei familiari del ricoverato, come concordato dall’equipe.
Per l’altro gruppo di professionisti, far entrare Andrea di nascosto dai parenti e fuori dall’orario di visita significava -a detta loro- portare avanti quanto voluto da Paolo nella sua quotidianità. Questi professionisti, all’opposto degli altri, ostentavano il loro essere “advocates” dello stesso Paolo, senza però aver mai sentito il suo parere.
Presumibilmente i professionisti di entrambe le opinioni, erano mossi dal proprio pensiero che si potrebbe tradurre nell’articolo 21 del Codice Deontologico degli infermieri (2009) che afferma: l’infermiere, rispettando quanto espresso dall’assistito, ne favorisce i rapporti con la comunità e le presone per lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza.
A seguito della presa di decisione iniziale, chiaramente, per alcuni il coinvolgimento reale nel piano di assistenza era solo ed esclusivamente in riferimento ai genitori di Paolo mentre per gli altri, tra i coinvolti, doveva esserci anche Andrea e si adoperavano di nascosto affinché questo avvenisse.
Cosa si dovrebbe fare?
Per i genitori di Paolo la relazione di fiducia è sembrata instaurarsi in maniera lineare con l’equipe infermieristiche, nonostante alcuni operatori, a loro insaputa, tale fiducia l’abbiano tradita.
Lavorare nell’ambito dell’assistenza intensiva alla persona non è certamente facile ma ciò non può giustificare il non rispetto delle regole o la falsità nei confronti dei colleghi e dell’entourage familiare.
La via più pura e sensata sarebbe stata quella di evidenziare la situazione di difficoltà e di promuovere momenti di confronto intra ed inter professionali e, a seguire, con i genitori di Paolo.
E’ infatti il Codice Deontologico dell’infermiere (2009) che enuncia all’articolo 8 e all’articolo 16 “l’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo […]. Si attiva per l’analisi dei dilemmi etici vissuti in operatività quotidiana…”.
Anche il Codice Deontologico dell’I.C.N. (2006) propone, nella sezione relativa ai rapporti tra colleghi, che si sviluppino nei luoghi di lavoro sistemi che supportino valori etici e comportamenti professionali. L’argomento sarebbe dovuto essere affrontato con delicatezza e tatto con i genitori di Paolo, magari durante un colloquio in cui avrebbero partecipato un rappresentante dei medici, un rappresentante degli infermieri, la psicologa referente per la Terapia Intensiva e, perché no, un sacerdote che poteva sostenere la coppia se ne avesse avuto bisogno.
Essere trasparenti avrebbe certamente giovato alla relazione di fiducia degli operatori con l’entourage familiare e con Andrea. Certo, perché non dobbiamo dimenticare che ciò che Andrea ha assimilato dell’equipe è che le decisioni vengono prese dal gruppo all’inizio ma poi, mettendosi d’accordo con le persone “giuste”, è possibile fare quel che si desidera senza che nessuno si accorga.
Ecco quindi che l’immagine sociale che traspare in queste situazioni non è certamente quella che giova alla professione infermieristica; professione che si trova nel pieno periodo di affermazione nei confronti della società.
In ogni caso il rispetto di tutte le regole e di tutte le decisioni prese in equipe deve essere un comportamento insito nell’agire dei professionisti, anche per un senso di rispetto e collaborazione con i colleghi.
Conclusioni
Questo caso etico permette di riflettere su una tematica molto attuale.
Essendo l’ambito ospedaliero, e nello specifico l’ambito della terapia intensiva, una realtà di importante lavoro di gruppo, tale metodo di lavoro deve essere messo in atto e rispettato dal punto di vista tecnico ma anche per quanto riguarda la presa di decisioni.
Gli infermieri, in quanto appartenenti ad una professione, devono agire prevalentemente sulla base del Profilo Professionale e del Codice Deontologico. E soprattutto devono far sì che si crei realmente un gruppo unito da legami professionali indissolubili e non abbattibili da una divergenza di opinioni.
In conclusione viene a confermarsi che la professione infermieristica ha senso e scopo solo se spinta anche verso la prospettiva etica, deontologica e dei diritti umani. Tale obiettivo di evoluzione professionale può essere raggiunto solo se l’intero gruppo professionale si sente coinvolto e chiamato in causa nel sostegno dell’assistenza alla persona considerandola in maniera olistica.
CHIARA FRIGERIO, Laurea in Infermieristica, Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, Master in Management e Coordinamento delle Professioni Sanitarie
DANIELE MATTANA, Laurea in Infermieristica, Master in Management e Coordinamento delle Professioni Sanitarie
Bibliografia
LIBRI DI TESTO
Benci L. (2008) Aspetti giuridici della professione infermieristica. Milano: Mc Graw Hill
Benci L. (2009) Elementi di legislazione sanitaria e di biodiritto. Milano: Mc Graw Hill
Fry T. S., Johnstone M. (2004) Etica per la pratica infermieristica. Milano: Casa Editrice Ambrosiana
Papa Benedetto XVI (2005) Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana
Sgreccia E. (2003) Manuale di bioetica (Vol. 1 Fondamenti ed etica biomedica). Milano: Vita e Pensiero
ARTICOLI
Ahrens T., Yancey V., Kollef M. (2003) Improving family communications at the end of life: implications for length of stay in the intensive care unit and resource use. Critical Care 12 (4) : 317-23
Azoulay E., Sprung CL. (2004) Family-physician interactions in the intensive care unit. Critical Care 32 (11) : 23
BANCA DATI CONSULTATA
Pub Med https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/
PUBBLICAZIONI DI ENTI, ORGANIZZAZIONI
Federazione Nazionale IPASVI (2009) Il Codice Deontologico dell’infermiere. Disponibile da: https://www.ipasvi.it/professione/content.asp?ID=19
ICN (2006) Codice deontologico del Consiglio internazionale degli infermieri. Disponibile da: https://www.cnai.info/index.php?option=com_content&task=view&id=38&Itemid=52
RIFERIMENTI NORMATIVI
Decreto Ministeriale n° 739 (1994) Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere.
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