Uscire dal comparto per entrare in una specifica area contrattuale. A questo dovrebbero puntare gli infermieri e le altre professioni sanitarie non mediche dopo l’approvazione del Ddl Lorenzin.
«L’evoluzione da collegio a ordine ha riconosciuto che le professioni di infermiere, infermiere pediatrico, assistente sanitario, ostetrica e tecnico sanitario di radiologia medica, per effetto dell’avvenuto passaggio della titolarità della loro formazione agli atenei, hanno compiuto il processo di piena integrazione nell’ordinamento delle altre professioni intellettuali. È questo il valore vero del passaggio dal collegio all’ordine. È solo una parola, ma una parola che racchiude tutta una formidabile e straordinaria evoluzione. Una parola può mobilitare le persone, può intimorire chi teme la rottura di desueti equilibri professionali. Una parola è un enorme valore in sé a prescindere.
Con questa parola si conclude positivamente il processo legislativo di riforma delle professioni sanitarie, iniziato col terzo comma dell’articolo 6 del d.lgs. 502/99, cioè col passaggio all’università della loro formazione e il varo dei decreti dei profili professionali, sostanziatosi nella legge 42/99, che le affrancò dall’ausiliarietà e dal mansionario. Un processo proseguito poi con la legge 251/00, che ne legiferò gli ambiti professionali, che istituì la laurea magistrale e che, stabilendo gli specifici servizi gestiti direttamente da queste professioni, realizzò la loro nuova qualifica di dirigente sanitario (modello esteso successivamente anche alla professione di assistente sociale). Infine con la legge 43/06, che, ridisegnando la carriera, reintrodusse la posizione di coordinatore e di specialista con un’ulteriore formazione di master universitario e delegò (all’epoca senza risultato) il Governo a realizzare la loro riforma ordinistica, ora finalmente attuata dopo undici anni dal Parlamento sovrano». (Saverio Proia, Quotidiano Sanità del 27/12/17).
Ho voluto citare le parole del dottor Proia, illustre esperto di materia sanitaria, perché in poche frasi descrive esattamente la condizione “giuridica” in cui si trovano al momento tutte le professioni sanitarie soggette al riordino ordinistico, in attesa del decreto attuativo del ministero della Salute. Il periodo è molto “caldo” per la compagine infermieristica, data l’imminente sottoscrizione del contratto del comparto sanità. Contratto che, ahimè, visto quanto già sottoscritto per (ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici), vedrà una “calza della Befana” al di sotto delle aspettative dei professionisti (a differenza della dirigenza).
Per valorizzare la presenza nelle strutture del Ssn del personale della dirigenza, con riferimento alla Ria, il Fondo sanitario nazionale sarà incrementato di 30 milioni nel 2019, di 35 milioni nel 2020, di 40 milioni nel 2021, di 43 milioni nel 2022, di 55 milioni nel 2023, di 68 milioni nel 2024, di 80 milioni nel 2025 e di 86 milioni a decorrere dal 2026. Queste risorse saranno destinate a incrementare il Fondo per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria (legge finanziaria 2018), con uno scarso riconoscimento economico a fronte delle migliaia di euro persi per via del blocco contrattuale.
Sulla base della normativa vigente, cosa manca agli infermieri e alle altre professioni sanitarie non mediche per uscire dal comparto ed entrare in una specifica area contrattuale? Chi ha timore che ciò possa avvenire? La dirigenza? Certamente, dato che i finanziamenti stanziati per il Ssn e legati ai rinnovi contrattuali andrebbero rimodulati in virtù proprio di questa nuova area contrattuale. Le organizzazioni sindacali confederali (che non hanno fatto salti di gioia per l’approvazione del Ddl Lorenzin)? Certamente, dato che intravedono una diaspora di tessere verso le sigle sindacali infermieristiche già rappresentative nel comparto sanità.
Come sempre noi infermieri siamo soli, ma dobbiamo combattere per ottenere quanto ci spetta. L’appello va dunque a tutte le associazioni professionali, ai sindacati di categoria, ai Collegi-Ordini Ipasvi-Fnopi: forse è veramente ora di scendere in piazza uniti, così come successe nel 1994. Per sbloccare la situazione, ovvero passare dal “mansionario” al riconoscimento della responsabilità e dell’autonomia professionale, si impose la scelta di una grande manifestazione degli infermieri, che il 1° luglio 1994 scesero in piazza a migliaia per sostenere l’emanazione del profilo professionale. Allora la pressione risultò vincente. Che sia il caso di ripercorrere la stessa strada?
Gianluca Gridelli (Responsabile segreteria Nursing Up – Area Vasta Romagna)
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