Lo sostiene Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.
La Winter School 2018 di Motore Sanità (Como, 24-26 gennaio) ha offerto il palcoscenico a un costruttivo dibattito su un tema di estrema rilevanza sociale, etica, politica ed economica, ovvero la riorganizzazione del servizio sanitario nazionale tra centralismo e regionalismo, in un contesto caratterizzato da un cocktail potenzialmente letale per la sanità pubblica: imponente definanziamento pubblico contestuale alla revisione “al rialzo” dei nuovi LEA; boom della spesa privata complice una sanità integrativa ipotrofica e poco regolamentata; sprechi e consumismo sanitario alimentato da aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti scarsamente alfabetizzati.
«Dal punto di vista etico, sociale ed economico – ha affermato Nino Cartabellotta (foto), presidente della Fondazione Gimbe e coordinatore della sessione insieme ad Angelo Lino del Favero, direttore generale dell’Istituto superiore di Sanità – è inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute, affidato a una leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni, sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che generano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze e, soprattutto, influenzano gli esiti di salute della popolazione».
Cartabellotta ha snocciolato un inquietante elenco di variabilità regionali dimostrando che l’universalismo, pilastro fondante del nostro servizio sanitario nazionale, si sta inesorabilmente disgregando: dagli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza alle performance ospedaliere secondo il programma nazionale esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia.
«Siamo di fronte a 21 sistemi sanitari regionali – ha puntualizzato il presidente Gimbe –, liberi di declinare in maniera eterogenea l’offerta di servizi e prestazioni davanti a uno Stato che si limita ad assegnare le risorse e verifica l’adempimento dei LEA con una “griglia” capace di catturare solo macro-diseguaglianze. E i piani di rientro per le Regioni inadempienti, guidati più da esigenze finanziarie che dalla necessità di riorganizzare i servizi, hanno scaricato sui cittadini servizi sanitari peggiori con nefaste conseguenze sull’aspettativa di vita, addizionali Irpef più elevate per risanare i conti regionali e necessità di curarsi altrove».
Nel 2016 la mobilità sanitaria ha spostato oltre 4,15 miliardi di euro, prevalentemente dal Sud al Nord, ma se le spese sono a carico del Ssn. I costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il Paese sono enormemente più elevati. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei LEA territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana e non alla occasionalità di un intervento chirurgico.
Il professor Renato Balduzzi, membro del Consiglio superiore della magistratura e già ministro della Salute, nella sua lectio magistralis ha sapientemente smontato la teoria che vede le diseguaglianze regionali esclusivamente figlie della Riforma del Titolo V del 2001, dichiarando con fermezza che oggi «il servizio sanitario nazionale ha bisogno di più Stato e di più Regioni». Dopo la bocciatura del referendum costituzionale, nessun passo in avanti è stato fatto per migliorare la governance di 21 differenti sistemi sanitari. Anzi, si sono moltiplicate le richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni che, a giudizio di Balduzzi, «difficilmente potranno essere legittimate dalla Corte Costituzionale».
Dal palco, numerosi direttori generali di aziende sanitarie, rappresentanti del mondo professionale e cittadini hanno convenuto sulla necessità di soluzioni politiche e organizzative per rendere più omogenea l’esigibilità dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, valorizzando le migliori esperienze regionali, in particolare le reti per patologie e i sistemi informativi in grado di valutare in tempo reale i bisogni di salute della popolazione.
«Una rinnovata governance del servizio sanitario nazionale – ha concluso Cartabellotta – non può continuare ad avvitarsi sulla contrapposizione tra centralismo e regionalismo, scaricando sui cittadini il conflitto istituzionale tra poli sempre più indeboliti. Ecco perché il prossimo esecutivo, senza necessariamente passare attraverso riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie: dal monitoraggio più analitico degli adempimenti LEA a una riforma dei piani di rientro, dalla revisione dei criteri di riparto collegati a sistemi premianti a cascata alla diffusione virtuosa delle best practice regionali, dalla idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della “questione meridionale”».
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