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Sanità: contratto di governo Lega – M5S e i grandi assenti

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Sanità: contratto di governo Lega - M5S e i grandi assenti
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Sono ore calde, anzi avremo un week-end caldissimo sul web e nelle piazze – dipende dal partito in questione – per decidere e far decidere se il contratto di governo tra Movimento 5 Stelle e Lega potrà meritare la consultazione decisiva al Colle per la formazione del nuovo Governo

Il tema Sanità diviso dalle norme e competenze tra Stato e Regioni è rappresentato attraverso l’informazione generale solo ed esclusivamente a colpi di scandali propriamente sanitari o amministrativi.

Per il resto l’informazione più tecnica vale solo per gli addetti ai lavori.

Invece la politica della salute, sì proprio la politica, ha bisogno di visioni ed anche di un’informazione all’altezza della questione che porta con sé sin dal dettato costituzionale.

Molti addetti ai lavori, o persone interessate in questi giorni si chiedevano come mai nell’agenda del probabile nuovo governo la questione “Sanità” non fosse affrontata.

Invece esiste, l’hanno scritta ma al mainstream non interessa. Sul perché fatevi un’idea.

Quindi esiste ed è in generale un insieme di buone intenzioni, da un certo punto di vista; ed un mantenimento del SSN come dal 1978 e successive modifiche lo hanno plasmato.

Ma anche passi indietro, questioni nemmeno sfiorate e la mancanza di una terminologia adeguata alle questioni di enorme interesse come sui vaccini.

È chiaro che non è una riforma e nemmeno un DDL ma rappresenta una sorta di linea guida sul quale far veicolare un sistema salute pubblico negli anni sotto attacco; attacco alle sue fondamenta di diritto universale e principio di gratuità.

Infatti nel testo pubblicato dal Corriere della Sera, il SSN e la sua finanza, deriverà dalle entrate fiscali generali.

Qui il primo dubbio rinviene dal fatto che il sistema fiscale generale nel contratto di governo possa essere modificato potenzialmente in nome delle tasse da abbassare o da una Flat-tax morbida che potrebbe ridurre addirittura l’attuale gettito e conseguentemente un ulteriore definanziamento del sistema.

Ci sono proposte, le solite, che parlano di recupero attraverso gli sprechi o recuperi da altri settori su quali non è dato sapere.

Oltre alla rivalutazione del sistema di nomina della dirigenza sanitaria – non più politica scrivono – vi è l’informatizzazione sanitaria e il FSE (Fascicolo sanitario elettronico); l’aumento delle risorse umane mediche e delle professioni sanitarie derivanti per lo più dalle direttive europee sull’orario di lavoro in un’ottica di potenziamento del sistema di diagnosi e cura nell’alveo dell’abbattimento delle lista d’attesa; con accenno al controllo dell’attività intramoenia, all’invecchiamento della popolazione e alla disabilità.

Per quest’ultima viene addirittura proposto un ministero ad Hoc.

Proprio sulle ultime due situazioni come un mantra da ripetere allo specchio da un ventennio esce fuori l’integrazione dei servizi socio-sanitari; ovvero lo spostamento dell’assistenza sanitaria – in tutte le sue fasi e specificità – dall’ospedale al territorio.

Lungo lo stivale, precisamente al nord, questo cambiamento esiste da anni, funziona ed è pubblico.

Questo fotografa in maniera impietosa le differenze strutturali ed economiche che garantiscono il servizio alla salute tra Nord e Mezzogiorno, sintomo di un torcicollo politico di analisi da parte dei protagonisti del probabile governo nascente sulla situazione assai eterogenea della sanità nel nostro paese.

Infatti, a gran voce e con richiamo del consenso dalle urne del Nord del paese, nel quadro di maggiore autonomia di Regioni che lo hanno richiesto – Veneto, Lombardia ed Emilia – questa forbice potrebbe aumentare visto che tra i possibili scenari derivanti da questo neo-regionalismo vi sarà la possibilità di rimuovere i vincoli di spesa con particolare riguardo alle politiche di gestione del personale; con altre regioni del sud che questo vincolo continuano ad averlo ma che dovrebbe essere eliminato non oggi, né domani, ma ieri.

Basta dire “non più sanità ospedale-centrica”, ovvero superarla, che il gioco a parole è fatto.

Ma in realtà non è così se lo Stato non dà l’imprinting alle Regioni – che annaspano in tutti i sensi – sui nuovi modelli organizzativi che prevedono una continuità assistenziale dalla fase acuta sino al recupero o alla prevenzione delle acuzie nella cronicità. Senza buchi neri.

Certo che superare il sistema ospedaliero e i pronto soccorso affogati di bisogni di salute come unica fonte di risposta per i cittadini, probabilmente, nelle linee guida previste dal documento dei due leader Di Maio-Salvini manca di sicuro il superamento di un assistenza medico-centrico, modello assolutamente passato e non più ricevibile in termini di costi – benefici e superata dall’assente per eccellenza in quelle righe programmatiche: i professionisti della salute, gli infermieri.

Sono gli infermieri che negli anni, a colpi di norme ed avanzamenti di tipo clinico-assistenziali e manageriali, a morsi, ha distribuito le sue competenze nei rivoli del sistema, migliorandolo ed umanizzandolo verso una frontiera che prevede una sanità “non di attesa” ma di cura e prevenzione attiva che va verso i cittadini.

Nico Tortora

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