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Infermieri: il sabato è un giorno feriale o festivo? Intervento della Cassazione

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Confermata la posizione di garanzia dell'infermiere, non più "ausiliario del medico" ma "professionista sanitario"
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Questa la domanda di alcuni infermieri di Torino, che si sono interrogati sulla qualificazione (e quindi retribuzione) del sabato, ai fini della liquidazione del c.d riposo compensativo

Si discute sulla qualificazione della giornata del sabato. Infatti, nell’ambito di una distribuzione dell’orario settimanale su cinque giorni lavorativi, al fine di stabilire se spetti ai lavoratori turnisti del comparto sanità, l’erogazione dell’indennità di turno prevista dall’art. 44 comma 3 del c.c.n.l. 1994-1997 nel caso in cui la giornata del sabato non sia lavorata, con il conseguente spostamento della giornata di riposo non lavorativa ad un giorno della settimana.

In questi casi, l’infermiere ha diritto all’indennità di turno?

La Corte d’Appello di Torino aveva rigettato l’appello proposto dall’Azienda Ospedaliera “Città della Salute e della scienza di Torino” e, confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, con la quale era stata ritenuta corretta l’attribuzione dell’indennità giornaliera di cui all’art. 44 del c.c.n.l. di settore in relazione al sesto giorno non lavorato.

Il caso

Un gruppo di infermieri di Torino, turnisti presso la ASL, ha adito il giudice di merito per chiedere che la giornata di sabato (cioè di riposo compensativo non lavorato) gli fosse retribuita con l’inclusione dell’indennità giornaliera prevista per tutti i lavoratori turnisti.

Infatti, l’indennità giornaliera spetta per effetto dell’articolazione dei turni di lavoro sui 5 giorni della settimana. Gli infermieri ricorrenti in giudizio avevano un orario di lavoro spalmato su 3 turni di 8 ore ciascuno, per 5 giorni alla settimana.

Il tribunale di Torino aveva accolto la richiesta degli infermieri, ritenendo opportuna l’indennità giornaliera ex articolo 44 del CCNL del settore, in relazione al sesto giorno della settimana non lavorato.

Tuttavia, l’Azienda Ospedaliera soccombente in giudizio, si era opposta alla decisione rivolgendosi alla Corte d’Appello di Torino, la quale, però, aveva dato conferma alla decisione presa in primo grado.

La decisione della Cassazione

Prima di pronunciarsi sulla materia oggetto della contesa, i giudici della  Cassazione richiamano il quadro normativo di riferimento, con particolare riguardo alla specifica disciplina delle aziende sanitarie locali.

In primo luogo l’art. 22 della L. n. 724 del 1994 dispone che:

“1. L’orario di servigio nelle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, (n.d.r. e tra queste rientrano le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale) si articola su cinque giorni settimanali, anche nelle ore pomeridiane, in attuazione dei principi generali di cui al titolo I del predetto decreto legislativo. Sono fatte salve in ogni caso le particolari esigenze dei servizi pubblici da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana (…) nonché quelle derivanti dalla necessità di assicurare comunque la funzionalità delle strutture di altri uffici pubblici con un ampliamento dell’orario di servizio anche nei giorni non lavorativi.
2. Nelle amministrazioni pubbliche indicate nel comma 1 (n.d.r. e dunque anche per le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale) l’orario settimanale di lavoro ordinario, nell’ambito dell’orario d’obbligo contrattuale, è funzionale all’orario di servizio e si articola su cinque giorni, anche nelle ore pomeridiane, fatte salve le particolari esigenze dei servizi pubblici indicati nel comma 1. (…)”.

In sostanza l’orario normale di lavoro è dalla legge fissato in quaranta ore settimanali ed una eventuale riduzione della durata della prestazione lavorativa settimanale può essere stabilita in sede di contrattazione collettiva nazionale.

Detto in altri termini e sulla base della disciplina legislativa vigente, l’orario di servizio, che normalmente è di 40 ore settimanali, si articola di regola su cinque giorni settimanali di tal che il sesto giorno è in via generale una giornata non lavorativa (v. al riguardo l’art. 22 comma 1 in fine della L. n. 724 del 1994), mentre il settimo giorno è il giorno di riposo settimanale.

In questo quadro normativo generale va esaminata la disciplina collettiva nazionale ed aziendale del comparto della Sanità che ha inciso sull’orario di lavoro.

In base al contratto collettivo della sanità, infatti, l’orario di lavoro settimanale è di regola di 36 ore articolate su cinque giornate lavorative, fatte salve le esigenze di continuità servizio (è il caso del lavoro in turni).

Sia l’art. 18 del c.c.n.l. del comparto sanità degli anni 1994-1997 che l’art. 26 dello stesso c.c.n.l. per gli anni 1998-2001 prevedono infatti che “L‘orario di lavoro è di 36 ore settimanali ed è funzionale all’orario di servizio e di apertura al pubblico“.

Anche il contratto integrativo aziendale 1999-2001 per il personale dell’Azienda Ospedaliera citata, all’art. 30 comma 1, prevede un orario settimanale di 36 ore ripartito su 5 giorni lavorativi e con una durata massima della prestazione giornaliera di non più di 9 ore (fatte salve le eccezioni concordate per specifiche situazioni).

Ne deriva che tanto nel comparto della Sanità, quanto nell’azienda ospedaliera ove sono impiegati i ricorrenti l’orario di lavoro settimanale è di regola ridotto a 36 ore, salvo il caso del lavoro in turni.

Al riguardo, si osserva che i tre turni necessari per la copertura delle 24 ore giornaliere sono di otto ore ciascuno. Ne consegue, evidentemente, che in questo caso, l’orario settimanale diviene di 40 ore (8 ore per 5 giorni lavorativi), pur restando fermo l’orario teorico contrattualmente previsto di 36 ore.

Ciò significa che i lavoratori turnisti maturano il diritto a recuperare le ore settimanalmente prestate in più.

Da tale ricostruzione dell’organizzazione del lavoro nel comparto della Sanità deriva che la giornata del sabato costituisce, di regola, una giornata “di non lavoro”. Tuttavia, se il lavoro è prestato per turni per coprire l’intero arco giornaliero nonché tutti i giorni della settimana, ben può accadere che la giornata del sabato divenga una normale giornata lavorativa feriale con conseguente spostamento della giornata “non lavorativa” ad un altro giorno della settimana.

Ai lavoratori turnisti, impegnati nella copertura delle ventiquattro ore giornaliere per tutti i giorni della settimana, deve essere accordato un giorno di riposo compensativo del maggior orario prestato che, sulla base della disciplina collettiva aziendale richiamata, ha cadenza mensile.

Questa giornata è, senza dubbio, una giornata di riposo compensativo che, tuttavia, solo occasionalmente coinciderà con il sabato.

Tanto premesso, e venendo quindi, alla pretesa azionata nel giudizio in esame, i giudici della Cassazione, osservano che l’art. 44 del contratto collettivo nazionale del comparto sanità degli anni 1994-1997, al comma 3, prevede che al personale del ruolo sanitario appartenente alle posizioni funzionali corrispondenti al V, VI e VII livello retributivo ed operante in servizi articolati su tre turni, debba essere corrisposta una indennità giornaliera, pari a Euro 4,39.

La condizione per l’erogazione dell’indennità è, in primo luogo, l’effettività della rotazione del personale nei tre turni, tale che nell’arco del mese si evidenzi un numero sostanzialmente equilibrato dei turni svolti di mattina, pomeriggio e notte, in relazione al modello di turni adottato nell’azienda/ente.

La norma collettiva precisa, tuttavia, che tale indennità non può essere corrisposta nei giorni di assenza dal servizio a qualsiasi titolo effettuata.

Unica eccezione è quella in cui l’assenza dal servizio coincida con il godimento di un riposo compensativo.

Nella sostanza quindi si tratta di un compenso strettamente connesso alla penosità del lavoro prestato in turni ed agganciato alla effettiva prestazione del servizio, con la sola deroga delle assenze che sono casualmente collegate a tale organizzazione del lavoro e funzionali al recupero della maggior durata della prestazione lavorativa, rispetto all’orario normale contrattualmente convenuto di 36 ore, per effetto della necessità di copertura dei turni stessi.

Per tali ragioni, non si può condividere la ricostruzione operata dai giudici della Corte territoriale nell’aver qualificato come giornata di riposo compensativo quella del sabato non lavorato.

Inquadramento del riposo compensativo

Alla luce di quanto esposto, appare necessario fare chiarezza sulla natura e sulla disciplina normativa del c.d. riposo compensativo. Si tratta, per definizione, di una “prestazione eccedente quella contrattualmente prevista”. In poche parole, esso è un riposo utile a “compensare” una prestazione lavorativa superiore a quella ordinaria (in termini di ore) ed è retribuita secondo le modalità del CCNL.

Il riposo compensativo matura quando il dipendente non ha usufruito della giornata di riposo settimanale, cioè di uno stacco di 24 ore consecutive, dopo un periodo di lavoro di 6 giorni continuativi.

 

Redazione NurseTimes

 

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