Commento a sentenza CGUE Grande Sezione.
Con le sentenze della Corte di giustizia del 6 novembre 2018, C-569/16 – C-570/16 (riunite), Stadt Wuppertal contro Elisabeth Bauer e Volker Willmeroth contro Martina BroBonn; C-619/16, Sebastian W. Kreuziger contro Land Berlin; C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften e V contro Tetsuji Shimizu, si è definitivamente chiarita la questione che verteva sulla possibilità o meno di poter remunerare le ferie annuali non godute nei casi nei quali non era stato possibile farlo per ragioni di carattere organizzativo, per licenziamento o per morte.
L’altra questione non meno importante, era invece quella della c.d. doppia pregiudizialità, ovverosia, la facoltà del giudice nazionale di poter adire direttamente la CGUE (Corte di Giustizia dell’Unione Europea) piuttosto che la propria Corte Costituzionale nazionale (Italiana o Tedesca) nei casi in cui si ponesse la questione della legittimità costituzionale della disapplicazione della normativa nazionale che osti alla normativa europea, non attraverso un regolamento dell’unione europea che, come tale, sappiamo che agisce direttamente per il tramite del giudice interno attraverso la disapplicazione della normativa nazionale contrastante, ma bensì, attraverso la disapplicazione suggerita invece da una direttiva dell’unione europea, come quella prevista dall’art. all’articolo 7 della direttiva 2003/88, che sappiamo invece non essere direttamente operante nel panorama normativo nazionale essendo la stessa soggetta a recepimento da parte del parlamento del paese in cui dovrà esplicare il proprio effetto.
Il rinvio pregiudiziale quindi, posto anche dalla nostra Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 451/2019, consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte di Giustizia in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa, ma conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione quindi vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
Il sig. Sebastian W. Kreuziger ha svolto un tirocinio retribuito di preparazione alle professioni giuridiche presso il Land di Berlino (Germania). Negli ultimi mesi di tale tirocinio, egli non ha usufruito delle ferie annuali retribuite. Dopo la fine del tirocinio, ha chiesto un’indennità finanziaria per i giorni di ferie non goduti, richiesta che il Land ha respinto. Il sig. Kreuziger ha allora contestato tale rigetto dinanzi ai giudici amministrativi tedeschi.
Il sig. Tetsuji Shimizu è stato dipendente della Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften («Max-Planck-Gesellschaft»). Circa due mesi prima della fine del rapporto di lavoro, la Max-Planck-Gesellschaft ha invitato il sig. Shimizu a fruire delle ferie restantigli (senza tuttavia costringerlo a goderne nelle date da essa fissate). Il sig. Shimizu ha preso solo due giorni di ferie e ha chiesto il pagamento di un’indennità per i giorni di ferie non goduti, richiesta respinta dalla Max-Planck-Gesellschaft. Il sig. Shimizu si è allora rivolto ai giudici del lavoro tedeschi.
L’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg, ossia, il Tribunale amministrativo superiore di Berlino Brandeburgo, Germania e il Bundesarbeitsgericht, la Corte federale del lavoro, Germania, si chiedono se il diritto dell’Unione Europea osti ad una normativa nazionale che prevede la perdita delle ferie annuali retribuite non godute e la perdita dell’indennità finanziaria per ferie non godute se il lavoratore non ha formulato una richiesta di ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. Chiedono quindi alla Corte di giustizia di interpretare, a tale riguardo, il diritto dell’Unione, secondo cui il diritto di ogni lavoratore a ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.
La quaestio iuris era quindi posta nei seguenti termini; un lavoratore non può perdere automaticamente i diritti alle ferie annuali retribuite maturati a seguito di licenziamento ancorché non li abbia chiesti. Se, invece, il datore di lavoro dimostra che il lavoratore, deliberatamente e con piena consapevolezza, si è astenuto dal fruire delle proprie ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, il diritto dell’Unione non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennità finanziaria.
Con le due sentenze, la Corte di giustizia dichiara che il diritto dell’Unione osta a che un lavoratore perda automaticamente i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell’Unione nonché, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per tali ferie non godute, per il solo fatto di non aver chiesto ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro (o nel corso del periodo di riferimento). Tali diritti possono estinguersi solo se il lavoratore è stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di fruire dei giorni di ferie in questione in tempo utile, circostanza che il datore di lavoro deve provare.
Il lavoratore dev’essere infatti considerato la parte debole nel rapporto di lavoro. Egli potrebbe quindi essere dissuaso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento, in particolare, che la loro rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore.
Se, invece, il datore di lavoro è in grado di fornire la prova, il cui onere grava sul medesimo, che il lavoratore, deliberatamente e con piena consapevolezza, si è astenuto dal fruire delle proprie ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle stesse, il diritto dell’Unione non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute.
Infatti, qualunque interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione in questione che sia tale da incentivare il lavoratore ad astenersi deliberatamente dal fruire delle proprie ferie annuali retribuite durante i periodi di riferimento o di riporto autorizzato applicabili, al fine di incrementare la propria retribuzione all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, sarebbe incompatibile con gli obiettivi perseguiti con l’istituzione del diritto alle ferie annuali retribuite. Tali obiettivi sono legati segnatamente alla necessità di garantire al lavoratore il beneficio di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute. La Corte precisa, ancora, che i principi sopra esposti valgono indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro sia pubblico (come il Land di Berlino) o privato (come la Max-Planck-Gesellschaft.
Per questi motivi la Corte (Grande Sezione)
L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e l’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella discussa nel procedimento principale, in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo – automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di esercitare questo diritto –, i giorni di ferie annuali retribuite maturati per tale periodo ai sensi delle suddette disposizioni, e, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per dette ferie annuali non godute in caso di cessazione del rapporto di lavoro. Il giudice del rinvio è, a tale riguardo, tenuto a verificare, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, se gli sia possibile pervenire a un’interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell’Unione.
Per la questione pregiudiziale
Qualora sia impossibile interpretare una normativa nazionale come quella discussa nel procedimento principale in modo da garantirne la conformità all’articolo 7 della direttiva 2003/88 e all’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, il giudice nazionale, investito di una controversia tra un lavoratore e il suo ex datore di lavoro avente qualità di privato, deve disapplicare tale normativa nazionale e assicurarsi che, il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto ai sensi del diritto dell’Unione. Il lavoratore non può essere privato dei diritti da lui maturati a dette ferie annuali retribuite, né, correlativamente, e in caso di cessazione del rapporto di lavoro, essere privato dell’indennità finanziaria per le ferie non godute, il cui pagamento è direttamente a carico, in tal caso, del datore di lavoro interessato.
Dott. Carlo Pisaniello
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