Il giudice di primo grado ha stabilito che servono 20 minuti al giorno per indossare e togliere la divida da lavoro.
Giovedì scorso, 14 febbraio, il giudice onorario di pace del Tribunale di Ascoli ha accolto in primo grado il ricorso presentato dalla Cgil per conto di 400 infermieri dell’Area vasta 5, riconoscendo loro il diritto alla retribuzione per i 20 minuti al giorno necessari a indossare e togliere la divisa di lavoro.
Il tempo di 20 minuti è stato stabilito “in via equitativa e con prudente apprezzamento”, si legge nella sentenza, che condanna l’Area vasta alle spese legali, quantificate in circa 12 mila euro più Iva. Volendo invece quantificare l’importo complessivo in gioco, si può fare riferimento alla retribuzione oraria di un infermiere, pari a circa 11 euro lordi (la sentenza parla di retribuzione comprensiva di contributi previdenziali). In totale, si dovrebbe quindi superare, e non di poco, il milione e mezzo di euro, sempre che il pronunciamento non sia smentito in appello o in Cassazione.
Il cosiddetto tempo tuta, quindi, va considerato lavoro a tutti gli effetti, come del resto già stabilito in passato da numerose sentenze della Cassazione. Ciò è confermato dalle prescrizioni che il datore di lavoro impone di rispettare a tutela dell’igiene nelle corsie ospedaliere. Un esempio? Non si può indossare la divisa a casa e fare poi il tragitto verso il luogo di lavoro.
Il primo ricorso del genere in provincia di Ascoli era stato promosso, e vinto, dal sindacato degli infermieri Nursind per circa 160 lavoratori, che avevano visto così riconosciuto il diritto a un rimborso di circa 600mila euro da parte dell’Azienda sanitaria. I conteggi esatti, però, sono ancora in corso, e comunque si deve attendere la sentenza della Cassazione.
Un anno fa, al contrario, lo stesso Tribunale di Ascoli respinse in primo grado il ricorso che oltre 400 infermieri avevano affidato alla Cisl. Una difformità sorprendente, alla luce dell’esito opposto di altri procedimenti, ma comunque superabile nei successivi gradi di giudizio. Le casse della sanità pubblica, in ogni caso, rischiano di subire un duro colpo.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.ilrestodelcarlino.it
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