Riprende la rubrica #InfermierInPillole curata dal dott. Pasquale Fava a beneficio dei nostri lettori
Si presenta come il fattore di rischio di maggior rilievo in una vasta gamma di contesti patologici ed è una condizione clinica-patologica silente ma potenzialmente pericolosa ed è soggetta costanti rivalutazioni, a causa dei cambiamenti e degli aggiornamenti dei parametri di riferimento (PA), l’ipertensione arteriosa principale fattore di rischio per eventi cardio- e cerebrovascolari nel mondo occidentale.
Dati epidemiologici indicano che solo il 17.4% dei pazienti ipertesi raggiunge un adeguato controllo pressorio. Si stima, inoltre, che la maggior parte dei pazienti che si presentano in Pronto Soccorso con crisi ipertensive abbia avuto uno scarso controllo della pressione arteriosa (PA) nei mesi precedenti. Circa il 20-30% degli adulti nei paesi più sviluppati è affetto da ipertensione arteriosa essenziale. Il controllo ottimale dei valori pressori rappresenta un’importante arma preventiva nei confronti dell’insorgenza di crisi ipertensive. Le crisi ipertensive rappresentano lo 0.5% di tutti i casi di emergenza.
La definizione di Ipertensione Arteriosa (IA) e arbitraria, in quanto la pressione arteriosa (PA) è una variabile continua normalmente distribuita nella popolazione generale. Può essere espressa come “quell’arco di valori pressori per i quali è dimostrato che l’abbassamento ottenuto con la terapia produce benefici in termini di riduzione del rischio di eventi cardiovascolari”. Per la conferma della diagnosi di IA, le principali linee guida stabiliscono che i pazienti con valori di pressione clinica uguale o superiore a 140/90 mmHg in almeno due differenti occasioni, e i pazienti con sospetto clinico-anamnestico di IA, debbano essere sottoposti ad auto-misurazione domiciliare della PA (HBPM) e/o a monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore (ABPM). Questo soprattutto per riconoscere quelle particolari condizioni cliniche quali “l’ipertensione da camice bianco” e “l’ipertensione mascherata”, per le quali il solo utilizzo corretto delle tre metodiche permette di formulare una diagnosi di certezza.
Tenendo in considerazione questo comune, e allo stesso tempo particolare, quadro patologico, bisogna approfondire tutte le varie tipologie di farmaci per il trattamento dell’ipertensione, ognuno dei quali prevede una terapia singolare e particolare, anche perché il più delle volte l’ipertensione è associata a malattie concomitanti che necessitano un analogo trattamento (l’eventuale uso combinato di più farmaci).
Alcuni dei farmaci antipertensivi agiscono su tutti i meccanismi d’azione e di regolazione della pressione arteriosa, altri invece agiscono su tutto ciò che può potenzialmente influenzare il flusso circolatorio, e di conseguenza la pressione.
- Si parte dai farmaci simpaticolitici, che presentano una triplice differenziazione: agonisti dei recettori α2-adrenergici (agonisti α centrali), antagonisti dei recettori α1-adrenergici (α bloccanti), e antagonisti dei recettori β-adrenergici (β bloccanti).
- Gli agonisti α centrali sono utilizzati oltre al trattamento dell’ipertensione arteriosa e per le emergenze ipertensive, vengono usati anche per i loro effetti a livello del SNC. Sono farmaci che generano un abbassamento della frequenza cardiaca, della gittata cardiaca, della resistenza periferica totale, e dell’attività della renina plasmatica, ma mantenendo un flusso ematico e un volume plasmatico invariato. Come effetti indesiderati, abbiamo secchezza delle fauci e degli occhi, sonnolenza, sedazione, cefalea, rash cutanei, ipotensione ortostatica, e sindrome da sospensione improvvisa (ipertensione da rimbalzo).I principali farmaci di questa categoria sono la clonidina e il metildopa: mentre il primo può comportare l’insorgenza di effetti collaterali in casi di somministrazione e d’interruzione rapida ed ha un largo uso nei trattamenti delle sindromi d’astinenza e nelle preanestesie; il secondo, vede un ottimo impiego per il trattamento dell’ipertensione in gravidanza.
- Gli α bloccanti sono farmaci antagonisti competitivi reversibili dei recettori α1-adrenergici post sinaptici; provocano vasodilatazione sia a livello delle arterie che delle vene, diminuendo così anche il precarico cardiaco con conseguente riduzione del lavoro e del consumo di ossigeno da parte del cuore. Sono meglio tollerati rispetto agli altri vasodilatatori poiché comportano minor effetti indesiderati e uno scarso effetto sui livelli di renina circolanti. I più comuni di questa categoria sono il doxazosina, prazosina, indoramina e
- I β bloccanti, invece, hanno come meccanismo d’azione quello di garantire una riduzione della contrattilità cardiaca e della gittata cardiaca, come pure una riduzione delle secrezioni di renina e calo dell’angiotensina II e dei suoi effetti sul controllo della circolazione sull’aldosterone. I beta-bloccanti antagonizzano le risposte mediate dai recettori beta-adrenergici in risposta all’attivazione del sistema simpatico e si distinguono principalmente in selettivi e non selettivi. Come effetti collaterali può comportare crisi ipotensive, blocco AV, asma, innalzamento dei trigligeridi, sintomi di ipoglicemia, affaticamento e disturbi del sonno. Tra i β bloccanti selettivi abbiamo acebutolo, atenololo e bisoprololo; mentre tra i non selettivi abbiamo propanololo e pindololo (casi eccezionali sono il carvedilol e il labetalol, che sono definiti come bloccanti alfa e beta)
- Abbiamo poi i farmaci diuretici, e per questa categoria, si rimanda ad uno degli articoli della rubrica #InfermieriInPillole di questa rivista, che li approfondisce in maniera appropriata (www.nursetimes.org)
- I farmaci vasodilatatori sono considerati farmaci d’elezione per contesti d’emergenza e si annoverano il minoxidil e l’idralazina (nel primo sono stati riportati casi d’irsutismo, mentre nel secondo sono riportati casi di sindrome lupoide). Entrambi i farmaci generano come azione una maggior permeabilità e sensibilità dei canali di potassio ATP dipendenti. In questa categoria rientrano i vasodilatatori arteriosi e venosi, cioè i nitroderivati (nitroglicerina, isosorbite dinitrato, isosorbite mononitrato), che generano una dilatazione di arterie/vene/coronarie, generando una riduzione del precarico e una riduzione della richiesta metabolica di O2 (possono comportare però una tachicardia riflessa)
- I calcio antagonisti, sono farmaci che hanno effetti antipertensivi, antianginosi, ed effetti antiaritmici. Come meccanismo d’azione garantiscono un blocco dei canali di calcio di tipo L delle miocellule vasali, contribuendo ad una riduzione delle resistenze periferiche (dilatazione arteriole > arterie > vene). Oltre ad avere utilità per l’ipertensione, vengono usati anche per disturbi vascolari periferici, emicrania, deficit neurologici da ischemia ed epilessie. sono farmaci versatili e di comprovata efficacia in tutti i tipi di pazienti e in special modo nell’ipertensione con bassi livelli di renina. L’efficacia dei calcio antagonisti è potenziata dall’impiego contemporaneo di ACE-inibitori, metil-dopa o beta-bloccanti. La nifedipina non è ottimale come farmaco di prima scelta nel trattamento dell’edema polmonare ipertensivo dove il nitroprussiato produce una maggiore riduzione della pressione diastolica. I più comuni di questa categoria sono il verapamile (molto efficace nel sopprimere le aritmie sopraventricolare e riduce la frequenza cardiaca in pazienti con flutter o fibrillazione atriale), amlodipina, felodipina, nicardipina e il diltiazem.
- Ultimi, ma non per importanza, vi sono gli ACE inibitori. Quest’ultimi hanno tutti la medesima efficacia nel bloccare la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II. Possono essere somministrati sia in forma attiva che in forma di profarmaco da cui si originano metaboliti attivi. Provoca costrizione delle arteriole precapillari attivando i recettori AT1 localizzati sulle cellule muscolari lisce vasali Facilita la trasmissione noradrenergica periferica stimolando il rilascio e inibendo la ricattura di NA. Stimola il rilascio di catecolamine dalla midollare del surrene mediante la depolarizzazione delle cellule cromaffini. Riduce l’escrezione urinaria di Na+ e acqua mentre provoca un aumento dell’escrezione di K+. Provoca vasocostrizione diretta a livello renale ma non nel distretto splancnico e in quello polmonare. Gli effetti collaterali di questa tipologia di farmaci sono: rash cutanei, ipotensione, febbre, iperpotassiemia, sincope, rischio di angioedema ed effetti tossi per il feto. I farmaci più noti di questa categoria sono captopril, enalapril, fosinopril, benazepril, ramipril, quinapril, valsartan.
Spero di essere stato il più esaustivo ed esplicativo possibile.
Alla prossima colleghi!
Pasquale Fava
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