Commento Aadi a ordinanza Cassazione Sez. III 15867/2019.
I sig.ri A. De S. e M. B., in proprio e quali legali rappresentanti dei figli minori G. ed E. De S., convenivano in giudizio, con citazione del 7/9/2005, il Comune di Venezia, il Ministero della Salute, la Gestione Liquidatoria dell’ex ULS 36 e la Regione Veneto esponendo che nel 1974 A. De S., figlio della coppia allora quattordicenne, a seguito di operazione chirurgica a un ginocchio presso il reparto Ortopedia dell’Ospedale di Mestre, venne a trovarsi in pericolo di vita, i medici per scongiurare tale evento decisero di sottoporlo alla trasfusione di quattro sacche di sangue, senza aver preventivamente acquisito né il consenso del paziente né quello dei suoi genitori. Dalle suddette trasfusioni derivò il contagio da virus, manifestatosi dopo molti anni e la degenerazione di una patologia epatica evolutasi poi in cirrosi.
A tal riguardo nel 2005 il danneggiato e i congiunti del medesimo chiesero il risarcimento dei danni, facendo valere la responsabilità contrattuale della Asl e del Comune di Venezia e quella aquiliana del Ministero della Salute. Il Comune di Venezia e gli altri convenuti si costituirono in giudizio sollevando l’eccezione di prescrizione e chiedendo ed ottenendo l’ammissione di una CTU, all’esito della quale il Tribunale di Venezia rigettò la domanda e compensò le spese.
La Corte di Appello di Venezia, adita dalla parte ricorrente fu chiamata a valutare gli esiti della CTU in ordine alle conoscenze diffuse all’epoca delle trasfusioni, rilevò che nel caso di specie la CTU percipiente, ossia, una consulenza tecnica non solo rivolta ad una valutazione dei fatti ma, all’accertamento degli stessi, ponendosi la stessa come fonte oggettiva di prova in ragione delle conoscenze specialistiche richieste.
I risultati della CTU furono indirizzati alla corretta somministrazione dei flaconi di sangue a scopo terapeutico e per le conoscenze mediche del tempo e che, sempre per la limitata conoscenza medica del tempo, il contagio da HCV subito dal figlio dei ricorrenti non sarebbe stato evitabile neppure con l’ordinaria diligenza. Fu quindi ritenuto necessario l’intervento terapeutico immediato sul ragazzo, infatti la Corte di Appello ha stimato che il contagio non fosse in alcun modo evitabile e che lo stesso costituisse un male minore rispetto al pericolo di morte.
Sulla questione della violazione del consenso informato, il giudice territoriale ha ritenuto che nessuno, né il paziente e né i parenti una volta informati dei rischi avrebbero negato il proprio consenso.
Avverso la sentenza della corte territoriale ricorrono per Cassazione i genitori del ragazzo, lamentando:
- Falsa applicazione della legge e degli artt. 1218 e 1297 c.c. con riferimento alla violazione della tenuta della cartella clinica con conseguente mancata prova delle corrette indicazioni al trattamento in urgenza con sangue. I ricorrenti lamentano che la sentenza pur dando conto del nesso causale tra trasfusione e contagio da HCV, non avrebbe consentito di individuare la responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Non avrebbe infatti consentito di documentare adeguatamente la tenuta della cartella clinica per conoscere quali fossero le condizioni del paziente minore prima e dopo l’intervento. L’assenza di tali dati che è onere della parte resistente chiamata in giudizio fornire, oltre che in difetto di allegazione anche nella CTU. Il motivo non è fondato secondo la Cassazione, sulla base delle risultanze della CTU infatti, nonostante ci fosse stata la dimostrazione del nesso causale tra trasfusione contagio, è risultata però acclarata l’indifferibilità delle trasfusioni per scongiurare il pericolo della vita del paziente. La corte di merito ha ritenuto che il paziente si trovasse in condizioni talmente gravi da non poter evitare la trasfusione, sicché la presenza dello stato di necessità, ancorché il comportamento dei sanitari sia stato foriero di danno, ne scrimina la condotta. Il comportamento della struttura sanitaria poi è stato ritenuto adeguato.
- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli oneri probatori in materia di responsabilità di cui all’art. 1218 c.c. con particolare riferimento alla somm.ne di 4 unità di sangue. La corte di merito secondo i ricorrenti ha ritenuto non sanzionabili i sanitari poiché le conoscenze dell’epoca in fatto di sangue ed emoderivati erano limitate. Secondo la Cassazione anche questo motivo è inammissibile poiché non trattasi di un vizio di sussunzione e di legittimità ma nel richiamare codesta Corte ad una valutazione del merito che sia più vicina alla ricostruzione della parte ricorrente.
- Con il terzo motivo i ricorrenti contestano la violazione dell’obbligo del consenso informato del paziente e dei suoi familiari alla somm.ne delle trasfusioni. La corte di merito ha dato conto anche in questo caso delle condizioni gravi del paziente e nella scelta valida dell’indicazione della trasfusione e che quindi seppur fossero stati informati dei possibili rischi di contagio, i genitori avrebbero comunque dato il loro consenso. La pronuncia da continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, per poter configurare la lesione del diritto ad essere informato, occorre raggiungere la prova anche per presunzioni, che ove fossero stati opportunamente informati, questi, avrebbero certamente accettato la scelta terapeutica.
- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge per aver la Corte di merito non valutato le sentenze prodotte dalla parte ricorrente ai fini della loro valutazione, che la stessa Corte ha ritenuto inconferenti e non pertinenti al caso.
Per tali motivi il ricorso va rigettato e per le stesse ragioni vanno compensate le spese del presente giudizio.
Dott. Carlo Pisaniello
Lascia un commento