Riportiamo l’appassionato racconto di un infermiere che delinea perfettamente sentimenti, professionalità e paure di chi ce la mette tutta per cercare di salvare una vita
Dopo un pò che fai questo lavoro, la divisa si indurisce diventa la tua armatura, ma non lucente come quella dei cavalieri della tavola rotonda, ma macchiata, lesa in alcuni punti, uno strappo qua e la. Ma ti protegge. Ti aiuta a diventare freddo e calcolatore durante le emergenze urgenze.
E si, quando vieni chiamato in sala rossa o nei reparti, scatta l’interruttore rosso che hai nel cervello (l’immagine che mi viene in mente è sempre quella di Sly Stallone in over the top, quando mette il berretto al contrario durante una sfida) e attivi mentalmente i passaggi.
Prendi la borsa dei farmaci e il borsone d’emergenza (rianimazione portatile) pesantissimo, con dentro il possibile e l’impossibile. Durante il breve percorso verso la destinazione, dici a te stesso “controlla che abbia una buona vena, e che l’aspiratore sia operativo, il resto ce l’ho io”. E inizia la lotta con l’Oscura Signora. A volte riesci a vederla con la coda dell’occhio, che aspetta. Ma tu le dici no, e ti attivi. ABC a volte senza parlare.
Aprire borsone, prepara unità respiratoria, montare maschera passarla al medico, montare laringoscopio passarlo al medico, prendere tubo, lubrificare tubi, mandrinare, passarlo al medico, prendi filtro e mount, prendi siringa da 10, sfila mandrino, cuffia.
Si così senza respirare. Poi fissi il tubo e aspira. Posso respirare.
Ora vai con il massaggio e l’adrenalina, somministri l’adrenalina e guardi l’orologio (una fiala ogni tre minuti).
E nel frattempo devi anche valutare se nell’equipe c’è qualche operatore che si fa prendere dalle emozioni soprattutto se il paziente è un ragazzo o peggio un neonato di pochi mesi.
E poi finisce. A volte vinci tu. A volte vince Lei.
E quando vince Lei (l’Oscura Signora) mi avvicino, guardo in faccia quella persona di cui non conosco neanche il nome, gli chiudo gli occhi, gli chiedo scusa per non averlo salvato e….gli chiedo di portare i miei saluti alle persone che ho perso Marianna, Stefano, Paolo, Antonio, Domenico.
Rientro in reparto, la mia “armatura” ha qualche macchia in più, un altro strappo, lascio il borsone, bevo un sorso di caffè e vado a fumarmi una sigaretta, e tra una boccata di fumo e l’altra, ripenso ai vari passaggi e valuto se ho fatto tutto correttamente.
Ecco questo è quello che facciamo noi infermieri di area critica. Non puoi perdere un secondo. Non puoi farti prendere dal panico. Non puoi sbagliare. Ecco perchè ci costruiamo le armature.
Giuseppe Cutrignelli
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