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Sanificazione dei mezzi di soccorso durante l’emergenza covid-19. Protocollo SIIET

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Ambulanza saccheggiata di materiale e attrezzature sanitarie mentre il personle del 118 rianima un paziente
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Protocollo a cura del Comitato Scientifico “Gruppo di lavoro COVID-19” Società Italiana degli Infermieri di Emergenza Territoriale

Questo documento che vi proponiamo vuole essere un supporto ai processi decisionali circa la creazione e l’attuazione di istruzioni operative aventi come obiettivo la sanificazione delle ambulanze in relazione all’emergenza COVID-19.

È bene sottolineare che le informazioni presenti in questo documento si basano sulla revisione degli articoli attualmente disponibili in letteratura e sul parere di esperti. Il Comitato Scientifico di SIIET è costantemente in aggiornamento sulle nuove raccomandazioni suggerite dal Ministero della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità e dai principali organi scientifici mondiali.

Il contenuto di questo documento potrebbe cambiare sulla base delle successive e progressive conoscenze acquisite. Sebbene in questo documento si faccia spesso riferimento all’ambiente “ambulanza”, le raccomandazioni che esso contiene sono valide per tutti i mezzi di soccorso caratterizzati dal trasporto di pazienti ed equipaggi sanitari.

INTRODUZIONE

Il vano sanitario dell’ambulanza è un ambiente dove non si può escludere la presenza di agenti patogeni, anche in grado di proliferare, in virtù della funzione dell’ambiente stesso cioè quello di fornire trattamento e trasporto a pazienti la cui anamnesi non sempre è di facile raccolta, considerando l’esecuzione di manovre invasive (e non) tempo dipendenti. Inoltre gli spazi ristretti facilmente saturabili, la limitata possibilità di aerazione rispetto ad altri ambienti di pari cubatura e la presenza di suppellettili, cassetti, vani portaoggetti, zaini a breve distanza dal paziente trasportato, definiscono l’ambiente ambulanza particolarmente incline alla contaminazione microbica. Così come negli ultimi anni c’è stata una continua crescita in termini di funzionalità e sicurezza delle ambulanze così si rende necessario affrontare tematiche riguardanti la gestione del rischio biologico, considerando anche l’aumento delle specie microbiche multiresistenti.

Una recente revisione della letteratura ha avuto come obiettivo di riassumere le informazioni disponibili circa la persistenza di tutti i Coronavirus, inclusi SARS-CoV e MERS-CoV, su diversi tipi di superfici inanimate e sull’efficacia degli agenti biocidi comunemente usati nei disinfettanti di superficie contro i Coronavirus stessi.

La conclusione di tale revisione è che i Coronavirus umani possono rimanere infettivi su superfici inanimate per un massimo di 9 giorni e questa informazione rende centrale la tematica della sanificazione delle ambulanze (1) (Allegato 1). Diverse sono le pubblicazioni che hanno affrontato la tematica riguardante la contaminazione microbica delle ambulanze. Uno studio condotto in Danimarca nel 2018 ha dimostrato la presenza di agenti patogeni sulle superfici HTS (hand touch sites), quelle superfici che vengono abitualmente toccate del personale di ambulanza e che pertanto esso stesso può rappresentare una fonte di infezione per i pazienti successivamente ospedalizzati.

Le superfici prese in esame sono state: l’imbracatura del paziente, la maniglia del borsone, la parte anteriore del monitor defibrillatore, l’interno del bracciale dello sfigmomanometro, il volante dell’ambulanza, il soffitto del vano sanitario e la parete laterale accanto alla barella.

Su un totale di 480 HTS campionati ed esaminati, 129 (27%) hanno presentato una crescita di patogeni (Stafilococchi, Enterococchi, Enterobatteri).

È emerso inoltre che l’adesione alle linee guida non era ottimale e che molti siti HTS non erano pienamente conformi agli standard proposti per la pulizia. L’adesione alle linee guida riguardanti la pulizia accurata era del 35%, ma rispetto alla pulizia moderata era del 100%.

Per pulizia accurata in questo studio s’intende il riordino nel compartimento del paziente, la pulizia generale delle superfici, la pulizia ed il lavaggio del pavimento che deve avvenire una volta al giorno; acqua e sapone sono la prima scelta ma dovrebbero essere integrati con salviette disinfettanti imbevute di etanolo al 70% se esiste il rischio di contaminazione con fluidi corporei.

La pulizia moderata invece deve essere effettuata dopo ogni trasporto e la procedura include il riordino del vano sanitario e la pulizia delle zone HTS, utilizzando salviette imbevute con etanolo al 70% o candeggina (1000-1200 ppm) a seconda dei rischi correlati al trasporto del paziente precedente (2).

Un secondo studio Danese del 2016 ha avuto come obiettivo determinare il livello di contaminazione con Stafilococco Aureo ed Enterococchi dei bracciali per la rilevazione della pressione arteriosa nelle ambulanze, dopo l’avvenuta pulizia degli stessi secondo le procedure locali. Nei risultati emerge che entrambi i patogeni sono stati individuati, sebbene in modo limitato. La presenza di Stafilococchi ed Enterococchi dopo la pulizia dei bracciali può essere dovuta alla contaminazione incrociata, alla pulizia impropria e all’effetto limitato delle procedure di pulizia all’ora in uso. Entrambi gli studi auspicano ulteriori ricerche sul tema dell’igiene nell’ambiente ambulanza (3).

Un recente studio condotto in Italia (4) ha avuto lo scopo di rilevare la carica microbica pre e post sanificazione con diversi prodotti e metodiche. In particolare è stata messa a confronto la sanificazione standard effettuata con gli agenti chimici consigliati dalle linee guida e la fumigazione.

I campionamenti sono stati effettuati su 3 superfici dell’ambulanza che riflettono la maggior quantità di manipolazioni (schienale della barella, manopola di una delle bombole di O2, maniglia interna di apertura del portellone posteriore).

Una delle due metodiche testate è stata la soluzione di Sodio Ipoclorito che viene considerato un agente disinfettante di alto livello efficace contro Gram+, Gram-, Miceti, Micobatteri, Virus Lipofili, Virus Idrofili e Spore.

Le seconda metodica testata era mediante fumigazione grazie ad un dispositivo a rilascio di Ozono. Le conclusioni di questo studio sono che il livello di contaminazione dei mezzi di soccorso analizzato è alto (in linea con gli studi sopracitati), tuttavia le tecniche di sanificazione utilizzate risultano essere efficaci.

La sanificazione manuale con Ipoclorito di Sodio è una procedura che deve essere effettuata al termine di ogni trasporto, specialmente sulle superfici e sui dispositivi che entrano in contatto col paziente. Anche l’utilizzo della fumigazione può essere utile poiché diminuisce sensibilmente i livelli di contaminazione delle superfici e dell’aria.

Da valutare il rapporto costi/benefici da parte di ogni azienda, nonché da considerare il tempo necessario per la sua attuazione che costringe il mezzo interessato ad una sospensione del servizio non sempre possibile.

Una Survey condotta in Italia nel 2018 (con un tasso di risposta del 26%) avente come tema l’indagine circa le procedure di sanificazione delle ambulanze, ha fatto emergere alcune importanti considerazioni.

Nel 65% dei casi gli intervistati hanno affermato di essere a conoscenza dell’esistenza del “manuale” per il controllo, la verifica e le procedure per la pulizia e la disinfezione dei veicoli di emergenza. Il 73% dei casi risulta disponibile una procedura per la sanificazione delle ambulanze, elaborata a livello aziendale (67%), coinvolgendo diverse figure professionali.

Mentre nel 21% dei casi il documento è stato redatto in previsione di un’epidemia e, nel 5% dei casi, a seguito di un evento epidemico. È previsto un monitoraggio circa l’effettiva applicazione (88% dei casi). È stato segnalato che non esiste una sezione dedicata alla sanificazione nel capitolato di gara d’appalto per le ambulanze (67%) e che, in assenza di procedura, solo nel 51% dei casi questa viene fornita da parte della struttura ospedaliera (5). Anche la qualità dell’aria che circola in ambulanza può presentare delle criticità (6).

È stata dimostrata un’elevata contaminazione microbica (batterica e fungina) nell’aria delle ambulanze (durante lo svolgimento dei servizi) e una maggiore contaminazione batterica sulle superfici delle strumentazioni. La conta batterica e fungina nell’aria delle ambulanze ha mostrato una correlazione significativamente positiva con la contaminazione batterica delle superfici della strumentazione presa in esame (7). Nelle ambulanze vengono isolate sia specie microbiche classificate come benefiche sia specie associate a infezioni nosocomiali con marcatori di resistenza antimicrobica (8).

In uno studio pubblicato sull’American Journal of Infection Control, almeno un ceppo di Staphylococcus Aureus è stato isolato nel 69% delle ambulanze testate. Nel 77% dei casi è stata dimostrata una resistenza ad almeno un antibiotico e nel 34% dei casi a due o più antibiotici (9). Uno studio tedesco ha rilevato una contaminazione di MRSA (Methicillin Resistant Staphylococcus Aureus) nel 7% sul totale dei mezzi analizzati giudicati pronti per il servizio (10).

E’ bene ricordare che un ambiente contaminato può rendere le divise del personale un veicolo d’infezioni. Batteri potenzialmente patogeni sono stati rilevati sulle divise del personale delle ambulanze a fine turno; la prevenzione ottimale può essere raggiunta cambiando quotidianamente le divise, lavandole ad almeno 60°C ed utilizzando un detergente contenente perossido acetico (11).

INDICAZIONI PER LA SANIFICAZIONE DEI MEZZI DI SOCCORSO

Alla luce di quanto emerso dalla letteratura, considerando il periodo attuale legato all’emergenza COVID-19, è fondamentale trattare la tematica riguardante la sanificazione delle ambulanze, definita come l’intervento mirato ad eliminare qualsiasi batterio od agente contaminante, che non è possibile rimuovere con la comune pulizia, mediante l’attività di pulizia e/o di disinfezione e/o di disinfestazione (13).

Una recentissima indagine esplorativa condotta da SIIET ha coinvolto 17 enti localizzati nelle 5 regioni d’Italia più colpite dall’emergenza COVID-19 al momento della raccolta dati (Lombardia, Piemonte, EmiliaRomagna, Veneto, Toscana – fonte Ministero della Salute aggiornata al 12 Maggio 2020).

L’area di sanificazione dedicata è risultata essere presente nel 76% delle realtà indagate; in alcune situazioni però non è garantita l’operatività H 24. La sanificazione avviene al termine di ogni servizio nel 64% dei casi, la restante percentuale riguarda invece le realtà che sanificano i mezzi solo dopo il trasporto di casi sospetti o certi di COVID-19.

Per quanto riguarda i prodotti utilizzati c’è un’ampia varietà: quelli principalmente utilizzati sono i prodotti a base di cloro (64%), prodotti a base di alcol (29%), ozono (23%) e perossido di idrogeno (23%). Un primo dato importante emerso dall’analisi della letteratura è che la disinfezione delle superfici con ipoclorito di sodio allo 0,1% o etanolo al 62–71% riduce significativamente l’infettività del Coronavirus sulle superfici entro 1 minuto di esposizione e pertanto che ci si possa ragionevolmente aspettare un effetto simile contro il SARS-CoV-2 (1).

Le due formulazioni raccomandate dall’OMS (etanolo al 70% o 2-propanolo al 75%) sono state valutate nei test di sospensione contro SARS-CoV e MERS- CoV, ed entrambe sono state descritte come essere molto efficaci (12). Tra i prodotti a base di ipoclorito di sodio c’è la comune candeggina, che in commercio si trova al 5-10% di contenuto di cloro. È bene ricordare che l’efficacia dei disinfettanti è influenzata dalla presenza di materiale organico ed è per questo che è essenziale pulire le superfici con acqua e detergente prima dell’applicazione del disinfettante.

Se si utilizza un prodotto con cloro al 5%, per ottenere la giusta percentuale di 0,1% di cloro attivo si potrà diluirlo in questi due modi (13):

  • 100 ml di prodotto (al 5%) in 4900 millilitri (circa 5 litri) di acqua;
  • 50 ml di prodotto (al 5%) in 2450 millilitri (circa 2,5 litri) di acqua.

Per una diluizione allo 0,5% in cloro attivo, invece, si potrà procedere in questi modi:

  • 1 litro di prodotto in 9 litri di acqua;
  • 1/2 litro di prodotto in 4,5 litri di acqua.

Anche l’Istituto Superiore di Sanità, in accordo alle Linee guide ECDC e OMS, raccomanda una pulizia preliminare con acqua e detergente neutro, prima di procedere alla disinfezione (14):

  • per le superfici dure con ipoclorito di sodio allo 0,1%;
  • per le superfici che potrebbero essere danneggiate dall’ipoclorito di sodio, in alternativa, con etanolo (alcol etilico) al 70%.

La pulizia di superfici visibilmente sporche seguita dalla disinfezione è una fra le migliori misure adottabili per la prevenzione di COVID-19 e di altre malattie respiratorie virali nelle comunità. Durante la pulizia del veicolo, gli operatori devono indossare maschera chirurgica, camice monouso e guanti. Se si prevedono schizzi o spruzzi di residui di materiale infetto, è necessario indossare anche una maschera filtrate (FFP2/FFP3) e occhiali.

Le porte dell’automezzo devono rimanere aperte durante tutta la procedura di pulizia, favorendo un ricambio d’aria.

Le procedure di pulizia e disinfezione dell’ambulanza di “routine”, con detergenti e acqua per pulire le superfici o oggetti toccati più frequentemente durante il trasporto, devono precedere l’applicazione di un disinfettante specifico per Coronavirus. Nel caso di trasporto di paziente infetto o sospetto, al termine del servizio si dovrà procedere alla sanificazione del vano posteriore, con particolare attenzione a tutte le superfici che potrebbero essere venute a contatto con il paziente o materiali contaminati (ad es. barelle, binari, pannelli di controllo, pavimenti, pareti, superfici di lavoro).

Rimuovere lo sporco evidente con acqua e detergente, quindi, usare l’apposito erogatore e il liquido alcolico in dotazione. Il liquido andrà applicato uniformemente su tutta la superficie avendo cura di procedere ad una idonea aerazione del mezzo prima di un suo riutilizzo. In caso di necessità si potrà procedere ad un successivo risciacquo con acqua e detergente neutro. Prima del loro riuso gli automezzi devono essere ben aerati e non devono avere residui odorosi della sostanza usata per il lavaggio e sanificazione (13, 14).

Negli ultimi anni sono state introdotte sul mercato nuove tecnologie, tra cui il gas di ozono, il vapore di perossido di idrogeno e l’irradiazione ultravioletta che possono essere usati per la disinfezione di veicoli di emergenza (sia aerei che su gomma) anche se vi sono alcune prove che queste tecniche possono essere meno efficaci se applicate a superfici verticali piuttosto che orizzontali.

L’uso di questo tipo di tecnologia di disinfezione deve comunque essere considerata unitamente ad un’accurata pulizia manuale e quando si verifichino le condizioni seguenti (15):

  • contaminazione di apparecchiature elettriche complesse o arredi morbidi/ complessi contaminati e difficili da pulire/disinfettare con metodi tradizionali;
  • eliminazione delle spore di antrace;
  • eliminazione di Clostridium Difficile o altri agenti patogeni implicati in situazioni di epidemia in cui la trasmissione è epidemiologicamente legata all’ambiente.

Considerando l’utilizzo, previa detersione delle superfici, dell’ipoclorito di sodio e dell’etanolo come prima tecnica esaminata, questo documento prenderà ora in considerazione le restanti tecniche di decontaminazione: ozono, perossido di idrogeno e raggi ultravioletti.

L’ozono (O3) è caratterizzato da un’elevata reattività, da un elevato potere ossidante e dal fatto di essere instabile a temperatura ambiente. Proprio per la sua considerevole capacità ossidante, è in grado, danneggiando membrane e pareti cellulari, di ripulire aria e acqua da muffe, lieviti, batteri, spore e virus. Per quanto riguarda i virus, nello specifico, parliamo di inattivazione.

Questo significa che l’azione dell’ozono consisterebbe in un’ossidazione e conseguente inattivazione, dei recettori virali specifici utilizzati per la creazione del legame con la parete della cellula da invadere. In questo modo viene bloccato il meccanismo di riproduzione virale a livello della sua prima fase: l’invasione cellulare. Il virus non viene distrutto, ma reso inerme.

La caratteristica predominante dell’ozono è che in condizioni atmosferiche standard è in fase gassosa, cosa che già ne favorisce l’utilizzo in numerose applicazioni in campo igienico-alimentare.

A differenza dei disinfettanti classici (ad esempio il cloro) che rilasciano residui inquinanti, l’ozono si decompone ad ossigeno e ciò potrebbe rappresentare un vantaggio sia per l’ambiente che per la salute evitando effetti collaterali. Per poter ottenere dei riferimenti in termini di valori soglia sui punti di prelievo per la ricerca di agenti patogeni, si può ricorrere al documento predisposto dalla Commissione ISPESL “Definizione degli standard di sicurezza e di igiene ambientale dei reparti operatori – Predisposizione di Linee Guida per i settori dell’attività ospedaliera”(16).

Il volume di un’ambulanza potrebbe essere equiparato ad un’area di degenza (nel caso della tabella viene presa in considerazione una zona adiacente alla sala operatoria che avrà requisiti minimi sicuramente più stretti rispetto ad un reparto di degenza ordinaria per il quale però non esistono precisi valori di riferimento).

Viene indicato come risultato accettabile un numero di UFC (Unità Formanti Colonie) ≤ 50/ piastra (senza agenti patogeni: S. Aureus, Enterobatteri, Aspergillus, Pseudomonas).

Se consideriamo il vano sanitario di un’ambulanza di volume pari a 10 m3 ed utilizzando un’apparecchiatura che impiega 75 minuti a saturare un ambiente di 25 m3 si può dedurre che il tempo necessario per la fumigazione sia di 22 minuti circa (4).

L’ozono risulta un potente antivirale: la sua percentuale di inattivazione dei virus è del 99,99% se si effettua una sanificazione di 4 minuti con un tasso residuo di gas di 0,3 ppm (particelle per milione); cosa che garantisce tra l’altro la depurazione e la sterilizzazione assoluta da tutti gli inquinanti presenti nell’aria, negli impianti di condizionamento e nei relativi canali di areazione.

Questo vale per tutti i virus, indistintamente, anche se non vale ancora in maniera ufficiale e specifica per il SARSCoV-2 sul quale non sono ancora stati compiuti studi specifici come sottolinea la International Ozone Association in un recente Statement (17).

Sono disponibili dei valori di riferimento a cura del Ministero della Salute circa l’inattivazione di batteri, virus, funghi, muffe ed insetti in seguito ad ozonizzazione (18):

  • batteri (E. Coli, Legionella, Mycobacterium, Fecal Streptococcus): concentrazione [0,23 ppm – 2,2 ppm] tempo di esposizione [< 20 minuti];
  • virus (Poliovirus Type-1, Human Rotavirus, Enteric Virus): concentrazione [0,2 ppm – 4,1 ppm] tempo di esposizione [<20 minuti];
  • muffe (Aspergiullus Niger, vari ceppi di Penicillum, Cladosporium): concentrazione [2 ppm] tempo di esposizione [60 minuti];
  • funghi (Candida Parapsilosis, Candida Tropicalis): concentrazione [0,02 ppm – 0,26 ppm] tempo di esposizione [< 1,67 minuti];
  • insetti (Acarus Siro, Tyrophagus Casei, Tyrophagus Putrescentiae): concentrazione [1,5 ppm – 2 ppm] tempo di esposizione [30 minuti?]

Il perossido di idrogeno (H2O2) è un prodotto chimico antimicrobico ampiamente utilizzato e conosciuto da tempo nella sua funzione di inattivazione virale (19). È utilizzato sia in forma liquida che gassosa per applicazioni di conservazione, disinfezione e sterilizzazione. I principali vantaggi sono la potente attività antimicrobica, la flessibilità d’uso ed il profilo di sicurezza rispetto ad altri agenti. Tuttavia, nel complesso, l’uso efficace e sicuro del perossido di idrogeno dipende dal modo stesso in cui viene utilizzato, in particolare dalla concentrazione.

Il gas, in particolar modo, è ampiamente utilizzato per la disinfezione e la sterilizzazione. La forma gassosa è particolarmente efficace in confronto a forme liquide e a concentrazioni più basse.

Esso rappresenta un’alternativa ad altri metodi antimicrobici chimici e fisici a causa della sua rapida efficacia, bassa temperatura, compatibilità con materiali di superficie e problemi limitati legati alla tossicità. Il meccanismo d’azione non è completamente compreso ed è associato alla sua attività ossidativa. Nonostante questa generalizzazione, i preparati liquidi, le formulazioni e la forma gassosa possono presentare notevoli differenze fra loro negli effetti antimicrobici (20). Uno studio del 2014 ha permesso di verificare l’effettiva funzione anti-virale del perossido di idrogeno; l’esperimento è stato condotto in-vitro e dopo esposizione alla vaporizzazione di perossido di idrogeno non è stato riscontrato nessun virus vitale in qualsiasi dei volumi vaporizzati testati.

I virus studiati erano: Calicivirus Felino (FCV, un surrogato del Norovirus), Adenovirus Umano di Tipo 1, Coronavirus dei Suini (TGEV, surrogato del SARS-CoV), Virus dell’Influenza Aviaria (AIV), e Virus dell’Influenza Suina (SwIV) (21).

Per comprendere l’efficacia del trattamento mediante l’utilizzo del perossido di idrogeno è possibile far riferimento a diversi studi effettuati sulle mascherine filtranti (N95), visto la scarsità di studi sull’ambulanza. Il primo studio ha testato la disinfezione delle mascherine N95 utilizzando una soluzione di perossido di idrogeno registrata presso la US Environmental Protection Agency; il costituente principale è una soluzione di H2O2 al 7,8%, che viene convertita in H2O2 ionizzato (iHP).

Lo studio è avvenuto in un ambiente laboratoristico: le maschere sono state appese ed inoculate di virus influenzale H1N1 a concentrazioni diverse (è stato previsto un gruppo di controllo). Questo esperimento ha dimostrato che l’iHP potrebbe uccidere il virus a livelli di inoculo da moderati a elevati. Il virus sopra citato è stato scelto per questo studio perché è un virus con caratteristiche simili ai Coronavirus. La disinfezione dei DPI monouso può essere tentata ogni volta che la fornitura è limitata durante le pandemie. Il riutilizzo dei dispositivi comporta un rischio di contaminazione e infezione.

E’ stata testata anche l’irradiazione germicida ultravioletta per la disinfezione delle maschere N95 ma ciò ha dimostrato di degradare i polimeri, portando a un aumento della penetrazione delle particelle. È necessario ricordare agli operatori sanitari di non riutilizzare le mascherine N95 immediatamente dopo la disinfezione ma è ancora più importante ricordare il potenziale rischio di esposizione ad altre sostanze chimiche o inerti che possono persistere nel materiale poroso delle maschere in questione (22).

Nel 2009 fra 5 metodi differenti di decontaminazione, il perossido di idrogeno, assieme all’irradiazione ultravioletta e all’ossido di etilene, sono risultati essere i metodi più efficaci (23).

La US Food And Drug Administration ha testato un metodo di decontaminazione delle maschere N95 mediante vaporizzazione di perossido di idrogeno. Il metodo è risultato ottimale ma non è previsto per essere utilizzato in presenza di operatori.

Piuttosto, questo approccio può essere usato come metodica di decontaminazione alla fine del turno lavorativo, ideale per trattare quantità importanti di dispositivi contemporaneamente. La US Food And Drug Administration raccomanda di caratterizzare l’impatto del ciclo di decontaminazione dell’HPV sulle prestazioni di altri marchi/modelli di mascherine.

Anche la capacità di ridurre la fase di aerazione dovrebbe essere ulteriormente esplorata. Inoltre è possibile eseguire test per dimostrare l’efficacia del ciclo di decontaminazione dell’HPV contro l’organismo di interesse all’interno dell’ambito di assistenza sanitaria. Questo progetto pilota ha rappresentato un approccio per poter successivamente dimostrare la fattibilità della decontaminazione per il riutilizzo di altri dispositivi (24).

Non è possibile quindi determinare il numero massimo possibile di riutilizzi sicuri per una mascherina N95 come numero generico da applicare in tutti i casi. Il riutilizzo sicuro dell’N95 è influenzato da una serie di variabili che influiscono nel tempo sulla funzione e sulla contaminazione del presidio stesso. E’ bene leggere la guida specifica per ogni prodotto (se non specificato nulla sul riutilizzo, non superare i 5 riutilizzi per mantenere un margine di sicurezza) (25).

Dall’analisi degli studi condotti sulle mascherine N95 (in nessun caso è stata testata l’efficacia sul virus SARS-CoV-2), possiamo affermare quindi che la metodica di sanificazione mediante perossido di idrogeno è sicuramente valida ma da valutare a seconda dei materiali sottoposti al processo di sanificazione. L’irradiazione mediante raggi ultravioletti (UV) è l’ultima tecnica che viene presa in considerazione in questo documento. Invisibile all’occhio umano, rappresenta la porzione dello spettro elettromagnetico situata tra i raggi X e la luce visibile. Il sole emette raggi ultravioletti, che tuttavia vengono per la maggior parte assorbiti dallo strato di ozono della Terra.

Una proprietà unica dei raggi UV è che un particolare intervallo delle rispettive lunghezze d’onda, quelle comprese tra 200 e 300 nanometri (miliardesimi di metro), è classificato come germicida, ovvero è in grado di inattivare microrganismi quali batteri, virus e protozoi. I raggi UV prevengono la riproduzione dei microorganismi danneggiando l’acido nucleico.

Si tratta di un processo non chimico e non lascia alcun residuo. Sono diversi i centri in Italia che stanno sperimentando tecniche innovative per la disinfezione dell’aria e l’inattivazione del virus SARS-CoV-2 (26, 27). La letteratura scientifica tuttavia non fornisce molte evidenze in merito. I sistemi a UV possono ridurre la contaminazione microbica delle superfici nei compartimenti delle ambulanze ma i sistemi devono essere rigorosamente convalidati prima del loro utilizzo.

L’ottimizzazione della posizione del dispositivo UV e l’aumento della capacità riflettente agli UV delle superfici interne possono migliorare sostanzialmente le prestazioni del sistema stesso e ridurre il tempo necessario per la disinfezione (considerando un volume di 10 m3) (28, 29). Anche in questo caso sono maggiori gli studi che testano l’efficacia del trattamento mediante raggi UV nei confronti delle mascherine N95.

L’irradiazione germicida ultravioletta è un possibile metodo per la disinfezione del presidio, tuttavia, la radiazione UV degrada i polimeri, il che genera la possibilità di diminuire la capacità protettiva del presidio stesso. I risultati dello studio suggeriscono che la metodica in esame potrebbe essere utilizzata per disinfettare efficacemente le maschere monouso per il riutilizzo, ma il numero massimo di cicli di disinfezione sarà limitato dal modello di maschera stesso e dalla dose UV richiesta per inattivare l’agente patogeno (30).

Uno studio cinese afferma come già noto che i raggi UV possono potenzialmente influire sulla resistenza del materiale e sulla successiva sigillatura dei presidi in esame. Infine, i trattamenti che coinvolgono liquidi e vapori richiedono cautela, poiché vapore, alcol e candeggina possono portare ad un peggioramento dell’efficienza di filtrazione, rendendo l’utente vulnerabile agli agenti virali (31). In alcuni studi non sono invece stati raggiunti i criteri prestabiliti per la decontaminazione (32).

Redazione Nurse Times

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