La ricerca è stata condotta dal Centro nazionale per la ricerca su Hiv/Aids (Cnaids) dell’Istituto Superiore di Sanità.
Lo studio osservazionale pubblicato su The Lancet EBioMedicine, condotto in pazienti Hiv+ in terapia antiretrovirale (cART) da vari anni, ha indicato il ruolo fondamentale della risposta immune contro la proteina Tat di Hiv nell’indurre un continuo recupero dei linfociti CD4+ e nel ridurre la viremia residua che cART non riesce ad azzerare. Lo studio, condotto dal Centro nazionale per la ricerca su Hiv/Aids (Cnaids) dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), conferma il razionale scientifico alla base degli studi già pubblicati dall’Iss sull’importanza di un vaccino anti-Tat per potenziare la ricostituzione del sistema immune che la cART da sola, benché molto efficace nel bloccare la replicazione virale, riesce a ottenere solo parzialmente, anche dopo anni di terapia.
“La soppressione della replicazione virale determinata dall’inizio della cART porta a un forte e veloce recupero dei linfociti CD4+, le cellule immunitarie che orchestrano la risposta immunitaria e che vengono aggredite dal virus Hiv – spiega Barbara Ensoli, direttore del Cnaids e coordinatrice dello studio –. Tuttavia, dopo alcuni anni di terapia, l’aumento dei linfociti CD4+ rallenta ed eventualmente si arresta, anche se non ha raggiunto i livelli ottimali, soprattutto nei pazienti che iniziano tardi la terapia. Inoltre anche nei pazienti in trattamento efficace permangono bassi livelli di viremia intermittente, denominata viremia residua, che è causa di progressione e co-morbilità. Il nostro studio, condotto in pazienti in terapia cronica e seguiti per tre anni, ha identificato nella risposta immune a Tat il fattore determinante per il perdurare dell’aumento delle cellule CD4 e per il controllo della viremia residua”.
Aggiunge la dottoressa Ensoli: “D’altra parte gli anticorpi anti-Tat sono infrequenti nei pazienti infettati (20-30%), ma quando presenti si associano a un maggiore controllo della viremia residua, e a livelli di cellule CD4 più elevati, con dinamiche di incremento nel tempo superiori rispetto a quanto osservato in pazienti che non hanno risposte immuni anti-Tat. In questi pazienti si ha anche un miglioramento del funzionamento del sistema immune (immunoricostituzione) rispetto ai pazienti che non hanno questa risposta immune alla proteina Tat. Ciò conferma i risultati positivi con il vaccino Tat, che ha completato la fase II di sperimentazione nell’uomo sia in Italia che in Sudafrica, con effetti positivi che perdurano anche dopo otto anni dalla vaccinazione”.
Allo studio hanno partecipato dieci centri clinici italiani: Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, Istituto San Gallicano di Roma, Ospedale S. Maria Goretti di Latina, Ospedale S.M. Annunziata di Firenze, ASST Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi di Brescia, Azienda Ospedaliera “Ospedale Policlinico Consorziale” di Bari, Azienda Ospedaliero Universitaria – Policlinico di Modena, Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, Azienda Ospedaliera Luigi Sacco di Milano, Fondazione Centro S. Raffaele del Monte Tabor – H.S. Raffaele di Milano.
Redazione Nurse Times
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