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Coronavirus, l’invito di un infermiere ai colleghi: “Celebrate i vostri successi”

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Coroinavirus, l'invito di un infermiere ai colleghi: "Celebrate i vostri successi"
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Riceviamo e pubblichiamo la lettera del dott. Andrea Mainardi, infermiere di Area critica – Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda.

Buongiorno,
sono un infermiere della Terapia intensiva Covid dell’Ospedale Fiera Milano. Forse a pochi interesserà, ma sabato 29 gennaio, per la prima volta dall’apertura della Fiera, abbiamo rimosso il tubo, dopo 11 giorni, a un nostro paziente. E non abbiamo festeggiato. Non abbiamo avuto alcun tipo di reazione. Un anno fa questa notizia avrebbe avuto grande risonanza, dato speranza di poter uscire dall’incubo in cui ci trovavamo. Oggi, invece, reagiamo aridi, indifferenti.

Ricordo che, durante la prima ondata, nella Terapia intensiva del mio ospedale avevano affisso un cartellone con scritto “Forse non ce ne siamo accorti perché troppo concentrati, ma negli ultimi 30 giorni abbiamo dimesso…”, e una serie di nomi. Nomi che per chi lavorava lì erano di casa, di cui conoscevano le storie e i famigliari attraverso una videochiamata. Nomi che ci avevano accompagnato per settimane di duro lavoro.

Questo messaggio era frutto di una abitudine improduttiva, ed è diventato un monito, un modo per dare speranza, per rendersi conto che ciò che facevano stava funzionando. Per far capire che il loro lavoro contava, nonostante tutto. E non importa se il paziente di ieri era un no vax, vaccinato con una-due o tre dosi. Ciò che davvero ci importava era che il tubo non lo aveva più, e che la luce in fondo al tunnel cominciava a vedersi, per lui e per noi.

Dedicate tempo a celebrare i successi professionali. Fermatevi per dirvi “bravi”, per darvi una pacca sulle spalle, per fare un balletto! Non sminuite il nostro duro lavoro, come se quel risultato fosse frutto della fortuna o di madre natura. Dimenticandoci di celebrare i successi, perdiamo quelle componenti della sfera umana che sono fondamentali nel nostro lavoro, che ci danno la motivazione per tornare nei giorni a seguire.

Ribadisco che il nostro lavoro non è una vocazione, ma mi piace pensarlo come una fitta nuvola, piena di piccole particelle elementari. E ognuna di queste particelle è la minima unità funzionale del sistema sanitario. Quando la nuvola è presente, la guardiamo con diffidenza, ma sappiamo che, senza questa nuvola, non apprezzeremmo mai il sole.

Dott. Andrea Mainardi
Infermiere di Area critica – Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda

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