L’emotrasfusione è una procedura medica che consiste nel trapianto di un tessuto, ovvero di sangue intero o di alcuni suoi componenti, prelevato da un donatore e somministrato in un ricevente. La trasfusione è considerata una procedura salvavita che, se non eseguita nel rispetto delle norme di sicurezza, presenta un rischio di errore elevato con danno alla persona. Inoltre la fase della trasfusione è il momento considerato più critico di tutto il processo trasfusionale, in quanto è l’attimo che presenta più probabilità di errori.
Un po’ di storia
Di emotrasfusione si inizia a parlarne già nel XVII secolo, dato che la conoscenza anatomica si è dimostrata fondamentale per la comprensione della circolazione del sangue scoperta da William Harvey nel 1616. Infatti, già verso la seconda metà del 1600, iniziano a eseguirsi i primi esperimenti trasfusionali da un animale all’altro e, in seguito, da un animale a un uomo. Ma visti gli innumerevoli insuccessi, nel 1675 questa pratica viene proibita in tutta Europa per 150 anni.
Bisognerà aspettare il 1818 per la prima trasfusione di sangue da uomo a uomo, con James Blundell a Londra. Nel Novecento la pratica trasfusionale diventa sempre più comune e affidabile grazie alle scoperte del secolo. Come nel 1901, anno in cui vengono scoperti i gruppi A, B e 0, e successivamente il gruppo AB. Nel 1915 si scopre l’utilizzo del citrato di sodio come anticoagulante. Nel 1937 viene fondata la prima Banca del sangue in un ospedale di Chicago. Nel 1940 vengono identificati gli antigeni Rhesus e nel 1945 viene ideato il test dell’antiglobulina.
Non è un caso che questi avvenimenti siano concentrati nell’epoca delle grandi guerre, in quanto si dimostrò fondamentale conservare e trasportare sangue direttamente al fronte. L’ultima data importante che va considerata è il 1951, anno in cui si sviluppò il primo separatore di cellule del sangue.
La legislazione
Data la peculiarità del sangue e la necessità di promulgare leggi che ne garantissero la sicurezza e il buon uso, la legislazione in campo trasfusionale nasce nel 1967 con la Legge n. 592, che fornisce le basi per quello che è il sistema trasfusionale. Le innovazioni in materia sanitaria hanno imposto però una revisione del modello complessivo del servizio trasfusionale, che ha avuto due precisi espansioni in due momenti più specifici: prima nel 1990 con la Legge n. 107, e poi nel 2005 con la legge n. 219, tuttora in vigore, che è la nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale di emoderivati.
Grazie al processo in campo legislativo e al progresso scientifico e tecnologico si è potuto iniziare a parlare di sicurezza trasfusionale, che è nettamente migliorata nell’ultimo secolo, portando alla luce due categorie principali di errore, ovvero l’errore umano. Tali sono considerati l’errore di etichettatura, una scorretta identificazione del paziente, un campione errato e una trasfusione di sangue incompatibile, nonché l’errore di sistema, che è una cattiva organizzazione aziendale, fino ad arrivare a un’insufficiente sensibilità dei metodi di screening.
Per risolvere questi problemi nel corso degli anni si sono adottate tecniche di screening sempre più sensibili e specifiche. Inoltre sono state introdotte linee guida per migliorare la sicurezza di tutto il processo trasfusionale: da chi può essere considerato donatore idoneo fino a protocolli messi a disposizione dei dipendenti direttamente nelle unità operative.
L’obiettivo della revisione della letteratura è stato quello di ricercare le differenze di errore durante le emotrasfusioni tra gli ultimi vent’anni del Novecento rispetto ai primi vent’anni degli anni Duemila, per analizzarne similitudini e differenze e portare alla luce cosa è stato fatto per migliorare e cosa deve essere ancora fatto.
Per raggiungere questo obiettivo si sono poste le seguenti domande di ricerca:
- Quali errori sono stati principalmente commessi durante la trasfusione di sangue?
- Ci sono differenze di errore durante le trasfusioni riscontrati nei due periodi a confronto?
- L’introduzione e l’utilizzo di linee guida trasfusionali ha portato ad una riduzione degli errori durante le trasfusioni di sangue?
- Ci sono differenze tra linee guida guida trasfusionali dei due periodi presi a confronto?
- Qual è il ruolo dell’infermiere durante la trasfusione di sangue e quale relazione c’è tra infermiere ed errore trasfusionale?
Le parole chiave sono state caratterizzate da “transfusion”, aggiungendo termini liberi e operatori booleani per ridurre la ricerca come ‘’blood transfusion’’, AND ‘’right patient’’, ‘’blood transfusion’’ AND ‘’fatal reaction’’, ‘’error blood transfusion’’ AND patient identification’’, ‘’error blood transfusion’’ AND ‘’infection’’ nei motori di ricerca Medline (Pubmed) e Cochrane Database of Systematic Review.
Sono stati aggiunti criteri di inclusione quali: articoli compresi negli anni 1980-1999 e articoli compresi fra il 2020 e il 2021 (includendo gli studi fatti dal 1975 al 1980 e pubblicati dopo il 1980); articoli comprendenti almeno la parola chiave transfusion; articoli frutto di studi osservazionali, revisioni tradizionali e revisioni sistematiche; articoli presenti sia in full text sia in abstract.
Tra i criteri di esclusione vi sono stati: articoli con studi antecedenti il 1980 e pubblicati prima del 1980; articoli non completi in quanto ancora in fase di studio e revisione; articoli con tematica non pertinente seppur contenendo le parole chiave nel titolo.
I risultati della revisione
Nei risultati si è evidenziato come in entrambi i periodi storici l’errore umano sia la principale causa di morte associata alla trasfusione. Per quanto riguarda l’arco temporale tra il 1980 e il 1999 vengono identificati rischi trasfusionali correlati alla complessità della catena trasfusionale, agli errori umani e ai limiti delle tecniche di screening. Più specificamente si evidenzia come reazioni fatali fossero dovute a problemi di etichettatura, errori di registrazione, di identificazione, stato del componente, il mancato rispetto dei protocolli. In altri articoli sono stati evidenziati errori d’ufficio, mortalità dovuta a epatiti e Hiv, trasmissione di infezioni, patologie polmonari ed emolisi acuta da incompatibilità AB0.
Nel secondo periodo si sono identificati rischi trasfusionali correlati sia alla complessità della catena trasfusionale sia a errori umani, mentre i limiti delle tecniche di screening non sono più presi in considerazione, in quanto si è giunti ad un rischio di infezione quasi pari a zero. Le reazioni fatali sono dovute a scorretta identificazione del paziente, trasfusione errata, errori di etichettatura, errori di trasmissione di informazioni, errori di scambio di gruppo sanguigno.
I risultati ottenuti hanno dato risposta ai quesiti: in entrambi i periodi analizzati sono stati riscontrati gli stessi errori nella catena trasfusionale, anche se in rapporti diversi. Nel primo periodo si è visto come l’insorgere di Hiv ed epatiti abbiano spostato l’attenzione rispetto all’evitare l’errore d’ufficio e ridurre l’errore umano.
Ciò ha fatto sì che oggigiorno la trasfusione di sangue sia molto più sicura rispetto alla trasmissione di patologie virali, mentre nel secondo ventennio si sono ridotti i rischi di errori creando linee guida e protocolli adeguati e innovativi rispetto a protocolli precedenti carenti e superficiali. Permane, tuttavia, l’errore umano, che è visto come un evento difficilmente prevedibile, non eliminabile, ma contenibile.
E l’infermiere che ruolo ha?
All’interno della catena trasfusionale risulta centrale il ruolo dell’infermiere per quanto riguarda l’errore umano. Egli, infatti, ricopre un ruolo fondamentale, avendo una grande responsabilità nell’individuare e nell’evitare il verificarsi di errori di sua competenza. L’infermiere è il responsabile del prelievo pretrasfusionale, del controllo dell’identità del paziente e del suo monitoraggio, della somministrazione delle terapie emotrasfusionali.
Di conseguenza molti errori d’ufficio e umani sono riconducibili alla figura dell’infermiere. Ci sono molteplici attori che possono concorrere a creare l’errore, come molteplici figure che concorrono ad escluderlo, in quanto il lavoro d’equipe è sempre più presente all’interno delle prestazioni che si erogano, nel doveroso equilibrio dei ruoli, senza oltrepassare i limiti della professione infermieristica.
Anna Arnone
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