Ogni anno circa 400 persone in Italia perdono la vita per annegamento. Di queste, circa 40 (il 10%) sono minori. Negli ultimi dieci anni sono arrivati al Pronto soccorso dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma circa 80 bambini e ragazzi vittime di incidenti di balneazione. In vista della Giornata mondiale per la prevenzione dell’annegamento del 25 luglio gli esperti dell’Ospedale forniscono indicazioni per ridurre al minimo i rischi.
“Sorveglianza, prevenzione e rispetto delle regole i tre fattori più importanti per evitare pericolosi incidenti”, spiega Sebastian Cristaldi, responsabile Dea II Livello del Bambino Gesù. Anzitutto prevenzione, eliminando gli accessi in acqua non controllati attraverso barriere fisiche come porte e cancelli che portano direttamente al mare o in piscina. Laddove non siano presenti, vanno installate.
Bisogna sempre coprire la piscina con l’apposito telo nei periodi in cui non viene utilizzata. Occorre inoltre controllare la temperatura dell’acqua: se è troppo fredda può causare episodi di vasocostrizione e aumentare il rischio di malori o mancamenti. Importante l’uso di braccioli e ciambelle che aiutino i bambini a restare a galla. Ancora più importante far prendere familiarità con l’acqua ai bambini fin dai sei mesi di vita, in modo che possano iniziare corsi di nuoto già a partire dai due-tre anni.
“La forma di prevenzione più efficace quando si parla di bambini resta comunque la sorveglianza – spiega Cristaldi -, ossia stare loro vicino per poter intervenire tempestivamente in caso di imprevisti. Basta un minuto di distrazione, come una breve telefonata al cellulare, per perdere di vista il bambino che, immergendosi, non riesce a chiedere aiuto”.
Almeno fino a cinque-sei anni di vita, al mare o in piscina, deve esserci sempre la presenza del genitore in acqua. Anche i bambini più grandi non debbono comunque essere persi di vista perché possono essere trascinati sott’acqua da un’onda o da una risacca.
“In caso di annegamento – spiega ancora il medico – è fondamentale intervenire con prontezza, lanciando in acqua qualsiasi oggetto galleggiante cui il bambino possa aggrapparsi. Il soccorso in acqua va fatto da abili nuotatori, perché diversamente si metterebbe in pericolo anche la stessa vita del soccorritore”. Una volta portato il bambino a riva, se le condizioni generali sono buone può essere messo in posizione seduta e invitato a tossire.
“Se invece ha segni di asfissia, bisogna chiedere aiuto a qualcuno in grado di liberargli prontamente le vie respiratorie da qualunque cosa possa ostruirle (vomito, sabbia o alghe), effettuando anche, se necessario, la respirazione bocca a bocca”, spiega ancora Cristaldi. Se non si riprende, è privo di coscienza, non respira o non si riesce a sentirne il polso, bisogna immediatamente chiedere l’intervento di persone professionalmente qualificate e in grado di praticare le necessarie manovre di rianimazione cardiopolmonare.
Redazione Nurse Times
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