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Annegamento: tutto quello che c’è da sapere

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Annegamento: tutto quello che c'è da sapere
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L’annegamento si verifica quando l’immersione in un liquido causa soffocamento o interferisce con la respirazione. Può essere letale o non letale (in passato era descritto come semi-annegamento). I ricoveri per annegamento non letale sono circa il quadruplo rispetto ai decessi per annegamento.

  • La mancanza di ossigeno nell’organismo provoca danni agli organi, in particolare il cervello.
  • I medici valutano gli effetti della mancanza di ossigeno e i problemi associati all’annegamento (come le lesioni della colonna vertebrale in seguito a un tuffo).
  • Il trattamento si concentra sulla correzione della mancanza di ossigeno e su altri problemi.

L’annegamento rientra nelle prime 10 cause di morte accidentale nel mondo. Nel 2018, negli Stati Uniti l’annegamento è stato la causa principale di morte correlata a lesioni nei bambini di età compresa tra 1 e 4 anni e la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali nei bambini di età compresa tra i 5 e i 9 anni; inoltre, era incluso nelle 10 principali cause di morte accidentale in soggetti di età inferiore a 55 anni.

Gruppi specifici ad alto rischio di morte per annegamento sono:

  • Bambini che non hanno ricevuto lezioni di nuoto formali e non sono sorvegliati in prossimità dell’acqua
  • Sesso maschile (rappresenta l’80% delle vittime di età superiore a 1 anno)
  • Persone che hanno assunto alcol o altre sostanze che influiscono sulla capacità di giudizio e l’attenzione
  • Persone che soffrono di patologie che causano una temporanea incapacità, come le convulsioni, associate a una possibilità di annegamento 20 volte maggiore tra bambini e adolescenti
  • Soggetti con sindrome del QT lungo e alcuni altri disturbi che causano alcune aritmie (il nuoto può scatenare alcuni tipi di battito cardiaco irregolare (aritmie) nei soggetti con questi disturbi)
  • Persone che assumono comportamenti pericolosi in apnea subacquea (Dangerous Underwater Breath-holding Behavior, DUBB)

L’annegamento è frequente nelle piscine, nelle vasche da bagno bollenti e negli ambienti acquatici naturali. Anche i bambini che muovono i primi passi sono a rischio, persino in presenza di quantità d’acqua non eccessiva, come water, vasche da bagno e secchi d’acqua o altri liquidi, poiché potrebbero non riuscire a liberarsi una volta caduti dentro. I tuffi, specie in acque non profonde, possono provocare lesioni alla colonna vertebrale o alla testa, con maggiori possibilità di annegamento.

comportamenti pericolosi in apnea subacquea (DUBB) sono praticati soprattutto da uomini giovani sani (spesso buoni nuotatori) che cercano di aumentare la propria capacità di rimanere sott’acqua. Sono stati descritti tre tipi di DUBB:

  • Iperventilazione intenzionale: la respirazione rapida prima di un’immersione riduce i livelli di anidride carbonica, prolungando il tempo necessario affinché i livelli diventino sufficientemente alti da segnalare la necessità di tornare in superficie e respirare
  • Allenamento ipossico: apnea durante il movimento per estendere la capacità di nuotare a lungo sott’acqua; gli atleti che praticano l’allenamento ipossico dovrebbero effettuarlo soltanto sotto il rigoroso controllo di soccorritori informati sulle finalità dell’allenamento dell’atleta.
  • Apnea statica: consiste nel trattenere il respiro il più a lungo possibile mentre si è immersi e immobili, praticata anche come gioco

Durante un DUBB le persone che trattengono intenzionalmente il respiro sott’acqua per periodi prolungati possono perdere conoscenza (definita sincope da ipossia o sincope da apnea) e talvolta annegare.

Privazione di ossigeno dovuta all’annegamento

Quando una persona è immersa sott’acqua, può verificarsi uno dei seguenti due eventi:

  • L’acqua entra nei polmoni.
  • Le corde vocali possono andare incontro a grave spasmo che temporaneamente impedisce all’acqua di entrare nei polmoni, ma impedisce anche la respirazione.

In entrambi i casi i polmoni non riescono a trasferire l’ossigeno al sangue. La diminuzione del livello di ossigeno nel sangue porta a danno cerebrale e morte. La presenza di acqua nei polmoni, in grandi quantità, provoca immediatamente l’annegamento.

Quantità minori di acqua, soprattutto se contaminata da batteri, alghe, sabbia, sporcizia, sostanze chimiche o vomito, possono causare lesioni ai polmoni che non sono evidenti per ore dopo la rimozione della persona dall’acqua. Questo problema viene talvolta definito annegamento secondario. Le lesioni ai polmoni a loro volta provocano ulteriore deprivazione di ossigeno. L’acqua dolce presente nei polmoni viene assorbita nel sangue circolante

Lo spasmo delle corde vocali potrebbe manifestarsi solo dopo che la persona viene rimossa dall’acqua. In tal caso, ciò avviene solitamente in pochi minuti. Dato che l’acqua non penetra nei polmoni, questa condizione è talvolta definita annegamento secco.

Effetti dell’immersione in acqua fredda

L’immersione in acqua fredda presenta sia effetti positivi che negativi. Il raffreddamento dei muscoli rende difficile nuotare e la temperatura corporea a livelli pericolosamente bassi (ipotermia) può compromettere le capacità mentali. Il freddo, tuttavia, protegge i tessuti dagli effetti dannosi della privazione d’ossigeno.

Inoltre l’acqua fredda stimola il riflesso da immersione dei mammiferi, che può prolungare la sopravvivenza in acqua fredda. Il riflesso da immersione rallenta il battito cardiaco e devia il flusso del sangue da mani, piedi e intestino al cuore e al cervello, aiutando quindi a salvaguardare questi organi vitali. Si tratta di un riflesso più pronunciato nei bambini rispetto agli adulti; pertanto, i bambini hanno maggiori possibilità di sopravvivere a immersioni prolungate in acqua fredda rispetto agli adulti.

Sintomi dell’annegamento

Le persone che stanno annegando e lottano per respirare non riescono in genere a chiedere aiuto. I bambini che non sanno nuotare possono rimanere sommersi dall’acqua in meno di 1 minuto. Gli adulti, invece, riescono a lottare più a lungo.

In seguito a un salvataggio, si possono manifestare vari sintomi e riscontri. Alcune persone manifestano leggera ansia, altre possono essere in pericolo di vita; possono essere vigili, soporose o in stato di incoscienza, altre ancora magari non respirano. I soggetti che respirano possono avere affanno o vomito, tosse o respiro sibilante. La cute può apparire bluastra (cianosi), indicando livelli ematici di ossigeno insufficienti. In alcuni casi, i problemi respiratori si rendono evidenti solo molte ore dopo l’immersione.

Complicanze dell’annegamento

Alcune persone rianimate dopo un’immersione prolungata evidenziano danno cerebrale permanente a causa della mancanza di ossigeno. Se si inalano particelle estranee si può sviluppare un annegamento secondario, con polmonite da aspirazione o sindrome da distress respiratorio acuto, e di conseguenza respirazione difficoltosa per periodi prolungati. Tale respirazione difficoltosa può diventare grave o evidente solo dopo che sono trascorse ore dalla rimozione dall’acqua. L’annegamento in acqua fredda è spesso associato a ipotermia.

Diagnosi di annegamento

La diagnosi di annegamento si effettua con:

  • Valutazione medica dei sintomi
  • Misurazione dell’ossigeno nel sangue

I medici elaborano la diagnosi di annegamento basandosi sul racconto dell’evento e sui sintomi del soggetto. La valutazione del livello ematico di ossigeno e la radiografia del torace aiutano a valutare l’estensione del danno ai polmoni. La temperatura corporea consente di verificare la presenza di ipotermia.

Possono essere condotti altri esami, come radiografie e tomografia computerizzata (TC) per diagnosticare eventuali traumi alla testa o lesioni alla colonna vertebrale. Talvolta si procede anche con un elettrocardiogramma (ECG) e con esami del sangue per giungere alla diagnosi di disturbi che possano aver favorito l’annegamento. Ad esempio la presenza di certe aritmie cardiache non riconosciute in precedenza può provocare stati di incoscienza durante il nuoto.

Trattamento dell’annegamento

  • Respirazione artificiale e rianimazione cardiopolmonare (RCP)
  • Ossigeno

In ambiente non ospedaliero – La rianimazione immediata sul luogo dell’incidente risulta fondamentale per aumentare le possibilità di sopravvivenza senza danno cerebrale. I tentativi di rianimazione devono essere effettuati anche nel caso in cui il tempo d’immersione sotto acqua sia stato prolungato. Se necessario, bisogna provvedere alla respirazione artificiale e alla RCP. La rianimazione bocca a bocca può iniziare prima della compressione del torace, diversamente dalla maggior parte delle altre condizioni che richiedono la RCP.

Il collo deve essere mosso il meno possibile se esiste la possibilità di lesione vertebrale. Le persone rimaste sommerse involontariamente o che mostrano sintomi devono essere trasportate in ospedale, possibilmente in ambulanza. Se il soggetto semi-annegato presenta solo una lieve sintomatologia, può essere dimesso, ma solo dopo diverse ore d’osservazione al pronto soccorso. Se i sintomi persistono per alcune ore e se il livello di ossigeno nel sangue è basso, il soggetto deve essere ricoverato in ospedale.

In ospedale – La maggior parte delle persone necessita di ossigeno supplementare, a volte in concentrazioni elevate o mediante ventilazione ad alta pressione. In caso di respiro sibilante, risultano utili i farmaci broncodilatatori. L’eventuale infezione va trattata con antibiotici.

In caso di immersione in acqua fredda si può avere un raffreddamento pericoloso della temperatura corporea (ipotermia), che richiede un riscaldamento. Le lesioni della colonna vertebrale esigono un trattamento particolare.

Prognosi dell’annegamento

I fattori che incidono maggiormente sulle possibilità di sopravvivenza senza danno cerebrale o polmonare permanente sono:

  • Inizio immediato della rianimazione (il più importante)
  • Breve durata dell’immersione
  • Temperatura dell’acqua fredda
  • Giovane età

Alcuni bambini sono sopravvissuti senza danno cerebrale permanente dopo un’immersione fino a 60 minuti in acqua fredda. Anche molte persone che necessitano della rianimazione cardiopolmonare possono recuperare completamente, e quasi tutti i soggetti vigili e coscienti al loro arrivo in ospedale guariscono. Le persone che hanno assunto sostanze alcoliche prima dell’immersione vanno più frequentemente incontro a morte o allo sviluppo di danni cerebrali o polmonari.

Prevenzione dell’annegamento

Bisogna evitare l’uso di alcol e droghe prima o durante il nuoto, un giro in barca (anche come passeggeri) o mentre si sorveglia un bambino vicino all’acqua.

Sicurezza in acqua e bambini – Le piscine devono essere conformi alle normative locali in materia di sicurezza delle piscine, che includono l’adeguata recinzione, perché rappresentano uno dei luoghi più frequenti di incidenti da annegamento. Inoltre tutte le porte e i cancelli che portano all’area della piscina devono essere chiusi. I bambini che si trovano all’interno o vicino a specchi d’acqua, comprese piscine e vasche da bagno, devono essere costantemente tenuti sotto controllo, a prescindere da quale dispositivo di galleggiamento utilizzino.

Preferibilmente, la supervisione deve essere effettuata da una persona nelle immediate vicinanze. Dato che neonati e bambini piccoli possono annegare anche in pochi centimetri di acqua, possono risultare pericolosi persino dei recipienti pieni d’acqua, come secchi o casse di ghiaccio. Gli adulti devono svuotare tali contenitori immediatamente dopo l’uso.

I bambini piccoli che giocano vicino all’acqua dovrebbero indossare giubbotti salvagente o dispositivi di galleggiamento omologati. Gli ausili per il nuoto pieni d’aria e i giocattoli in schiuma espansa (braccioli, tubi galleggianti e simili) non sono progettati per la sicurezza di chi nuota e non devono sostituire l’equipaggiamento omologato.

Prendere lezioni di nuoto riduce il rischio di annegamento fatale nei bambini fra 1 e 4 anni. Il nuoto è ideale per tutti i bambini. Tuttavia, anche i bambini che hanno frequentato corsi di nuoto devono essere sorvegliati se si trovano in prossimità dell’acqua.

Sicurezza nel nuoto – I nuotatori devono usare il buon senso ed essere consapevoli delle condizioni atmosferiche e di quelle dell’acqua. Il nuoto deve essere interrotto se il soggetto sente o appare molto freddo. I soggetti affetti da convulsioni ben controllate non devono necessariamente evitare il nuoto, ma prestare attenzione in acqua, sia che si trovino in barca, sotto la doccia o nella vasca da bagno.

Per ridurre il rischio di annegamento, una persona non deve nuotare da sola e deve farlo solo in zone controllate da bagnini. Chi nuota in acque oceaniche deve imparare a sfuggire alle correnti di marea (forti correnti che allontanano dalla spiaggia) nuotando in parallelo alla spiaggia piuttosto che verso di essa. Le persone che praticano attività di apnea subacquea pericolose devono essere sorvegliate e devono conoscere i pericoli di tali attività. Non è necessario attendere un’ora dopo mangiato per nuotare. Non esiste alcuna evidenza sostanziale a supporto del mito dell’annegamento provocato da crampi quando si nuota troppo presto dopo aver mangiato.

Altre misure di sicurezza in acqua – È consigliabile per chiunque, in barca, indossare un giubbotto salvagente omologato, che è obbligatorio per chi non sa nuotare e per i bambini piccoli. Le lesioni vertebrali possono essere prevenute evitando i tuffi in acqua bassa.

Le zone di accesso al pubblico devono essere sorvegliate da bagnini addestrati alla sicurezza in acqua, alle tecniche di rianimazione e al salvataggio. Nei pressi della piscina devono essere sempre presenti salvagenti, giubbotti di salvataggio e un’asta di salvataggio (una lunga pertica che termina con un gancio), e i centri acquatici devono sempre avere accesso a defibrillatori esterni automatici, attrezzature per liberare le vie aeree e telefoni per contattare il pronto soccorso.

I programmi di prevenzione pubblica devono:

  • Individuare i gruppi ad alto rischio
  • Insegnare a quanti più adulti e adolescenti possibile le manovre di rianimazione cardiopolmonare (RCP)
  • Insegnare ai bambini a nuotare non appena il loro grado di sviluppo lo consenta

COME SOCCORRERE UNA PERSONA CHE RISCHIA L’ANNEGAMENTO

Fino al 1970 erano almeno 1.200 le persone che perdevano la vita a largo di una spiaggia, in piscina, in un fiume o in lago. Oggi i decessi da annegamento nel nostro Paese si sono ridotti di due terzi, ma sono ancora troppi, se si considera che si disquisisce di una condizione prevenibile nella quasi totalità dei casi.

Più rischi da fiumi e laghi

Il dato dimostra comunque come in alcune aree del territorio una serie di misure preventive si siano rivelate efficaci: dalla maggiore consapevolezza dei rischi, allo sviluppo delle capacità di nuotare, dall’educazione nelle scuole alla sorveglianza nelle spiagge. Ma di strada da fare ce n’è ancora abbastanza, se l’Organizzazione Mondiale della Sanità s’è rivolta a tutti gli Stati membri chiedendo di privilegiare la prevenzione degli annegamenti all’interno di politiche sanitarie nazionali.

«Per i bambini dovrebbe essere avviata una campagna a livello nazionale per una loro maggiore sorveglianza da parte dei genitori o dei tutori e per dotare le piscine private di dispositivi che impediscano il loro accesso senza il controllo degli adulti – affermano Enzo Funari e Marco Giustini, epidemiologi del dipartimento ambiente e connessa prevenzione primaria dell’Istituto Superiore di Sanità -. Mentre in tutti i punti di accesso agli arenili dovrebbero essere fornite informazioni esaurienti con un’apposita cartellonistica circa la presenza della sorveglianza e di un’organizzazione territoriale del soccorso e sugli eventuali pericoli intrinseci delle spiagge».

Sono fiumi e laghi, meno frequentati e dove l’eventuale soccorso è più spesso problematico, gli ambienti potenzialmente a rischio elevato. Prova ne è il dato che vede la Lombardia, tra il 2003 e il 2012, come la regione in cui si sono registrati più annegamenti (432): davanti al Veneto (344), all’Emilia Romagna (201) e al Piemonte (196).

Primo passo: insegnare ai bambini a nuotare

Fa quasi rabbia ammetterlo, ma la realtà dei fatti è chiara: se tutti i bambini italiani sapessero nuotare, i numeri degli annegamenti sarebbero decisamente più bassi. Invece soltanto uno su due non teme l’acqua alta e riesce a mantenersi a galla. Qualcosa che Giuseppe Mele, pediatra di famiglia e presidente della Società Italiana Medici Pediatri (Simpe), bolla come «inaccettabile», in un Paese che conta 7.500 chilometri di coste.

«Tutti i bambini devono imparare a nuotare, il prima possibile – afferma lo specialista salentino -. Il nuoto è un’attività che può essere praticata fin dalla prima infanzia: sì ai corsi di acquaticità assieme alla mamma fin dai primi mesi e a quelli in vasca con l’istruttore per i più grandi, per essere in grado di galleggiare e nuotare prima di andare alla scuola materna. Solo così i bambini saranno in grado di fare un bagno in mare, al lago o in piscina con maggior tranquillità».

Anche l’alcol tra i rischi

Sempre in termini di prevenzione, come ricordato nelle ultime raccomandazioni americane pubblicate sulla rivista Wilderness & Environmental Medicine, occorre ricordare che le persone affette da sindrome del QT lungo, malattia coronarica o disturbi convulsivi corrono un rischio di annegamento più elevato rispetto al resto della popolazione.

Nel documento si fa riferimento alla necessità di indossare il giubbotto di salvataggio durante gli sport acquatici, mentre prima si sconsiglia il consumo di bevande alcoliche. Questo aspetto è uno dei determinanti dei maggiori tassi di annegamento che si registrano tra gli uomini, più esposti al pericolo sia in età pediatrica (5-14 anni) sia da giovani adulti (15-34 anni), quando il rapporto (rispetto alle donne) arriva anche a essere di otto a uno.

Come soccorrere una persona in difficoltà

Come riportato sul New England Journal of Medicine, «il processo di annegamento inizia con l’insufficienza respiratoria, quando le vie aeree della persona si trovano sotto la superficie del liquido o quando l’acqua investe il volto con spruzzi». A determinare il soffocamento è l’ingresso di acqua nelle vie aeree e nei polmoni.

Come comportarsi se ci si trova di fronte a una persona in difficoltà? «Per prima cosa occorre condurre la persona, adulta o piccola che sia, a riva – afferma Riccardo Lubrano, direttore del reparto di nefrologia pediatrica del policlinico Umberto I di Roma e presidente della Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica -. Spogliarla non è necessario, a meno che i capi indossati non ostacolino la galleggiabilità. Occorre posizionare il paziente in orizzontale, sdraiato in posizione supina (con la pancia verso l’alto), e verificare il suo stato di coscienza. Se non respira, va intrapresa subito la respirazione bocca a bocca. Dopodiché occorre sentire il polso: se manca, bisogna avviare subito il massaggio cardiaco (120 compressioni al minuto, ndr), fino all’arrivo del defibrillatore. La rianimazione cardiopolmonare, consistente in cicli di trenta compressioni alternate a due ventilazioni, deve proseguire fino all’arrivo del 118».

Il soccorso è più complicato quando si ha a che fare con un bambino, meno collaborativo e portato ad agitarsi in acqua. Come agire in questi casi? «Occorre estrarlo quanto prima dall’acqua – chiosa Lubrano – e liberare le vie aeree da eventuale vomito o materiale estraneo che potrebbero causare ostruzione o aspirazione. Coprire il bambino è fondamentale, per combattere il raffreddamento del corpo. Se il bambino è cosciente, va tranquillizzato e messo in posizione seduta o laterale per facilitare la respirazione».

ANNEGAMENTO ADULTI

Per aiutare un adulto che rischia di annegare bisogna fare attenzione a:

  • Evitare di esporre se stessi al pericolo – E’ molto difficile soccorrere una persona in acqua senza rischiare di danneggiare noi stessi.  
  • Risolvere l’insufficienza respiratoria della vittima – Questo è  il problema più grave che può verificarsi.

Una persona che si trova in difficoltà in acqua (esaurimento delle forze, tuffo, caduta accidentale,  ecc.) tende ad agitarsi, immergendo sempre di più nell’acqua il volto e in particolare la bocca. Come riflesso spontaneo, la glottide si chiude per evitare che l’acqua entri nei polmoni: la conseguenza è che il soggetto rimane in apnea e in questa l’acqua può entrare invece nello stomaco. Se la persona non viene soccorsa in tempo, la mancanza di ossigeno può causare perdita di coscienza, arresto respiratorio e arresto cardiaco.

Cosa fare

  • Dare l’allarme
  • Se in acque interne (piscine, fiumi, laghi) o vicino alla riva del mare: chiamare il 118
  • Se in mare aperto: chiamare la Capitaneria di porto (numero 1530); lanciare il mayday via radio (canale 16)

Solo i soccorritori più esperti sono in grado di soccorrere in acqua una persona. Se possibile, non entrare in acqua per non esporsi al pericolo. Se necessario, entrare in acqua, aiutarsi con oggetti galleggianti semplici (salvagente, tavoletta o piccolo parabordo) per sostenere se stessi e la vittima.

Una volta fuori dall’acqua, valutare se la persona è cosciente e respira

  • Se respira ed è cosciente, porre il soggetto in posizione laterale di sicurezza, a meno che non abbia difficoltà a respirare e preferisca la posizione seduta.
  • Se respira ma non è cosciente, porre il soggetto in posizione laterale di sicurezza.
  • Se non respira regolarmente e non è cosciente, liberare la bocca da foglie o alghe, se impediscono la respirazione, e iniziare subito le manovre di rianimazione cardiopolmonare.  

Cosa non fare

  • Non perdere la calma.
  • Non esporre se stessi al pericolo nel tentativo di soccorrere l’infortunato: evitare di entrare in acqua se non strettamente necessario, e comunque mai senza un supporto galleggiante (salvagente, tavoletta o piccolo parabordo).
  • Non eseguire manovre di disostruzione delle vie aree, se le vie aeree non sono ostruite da un corpo estraneo: le compressioni addominali o le altre manovre per liberare le vie aeree, se non necessarie, possono favorire il vomito, con rischio di aspirazione nei polmoni (attenzione: l’acqua non deve essere considerata un corpo estraneo). 
  • Non somministrare bevande.

ANNEGAMENTO BAMBINI

Per aiutare un bambino che rischia di annegare, bisogna estrarlo al più presto dall’acqua facendo attenzione a:

  • Evitare di esporre se stessi al pericolo: è molto difficile soccorrere un bambino in acqua senza rischiare di danneggiare se stessi  
  • Risolvere l’insufficienza respiratoria del bambino: questo è  il problema più grave che può verificarsi

In caso di annegamento o di rischio di annegamento, soccorrere un bambino è particolarmente complicato. Il bambino è meno collaborativo di un adulto e, trovandosi in difficoltà in acqua, tende ad agitarsi ancora di più, immergendo nell’acqua il volto e in particolare la bocca. Come riflesso spontaneo, la glottide si chiude per evitare che l’acqua entri nei polmoni: la conseguenza è che il bambino rimane in apnea e in questa l’acqua può entrare invece nello stomaco. 

Se il bambino non viene soccorso in tempo, la mancanza di ossigeno può causare perdita di coscienza, arresto respiratorio  e arresto cardiaco. In termini di prevenzione, è necessario mantenere sempre una rigida sorveglianza sui bambini, anche in ambienti apparentemente sicuri come una vasca da bagno o una piscinetta gonfiabile.

Cosa fare

  • Estrarre il bambino dall’acqua
  • Liberare le vie aeree da eventuale vomito o materiale estraneo (alghe o foglie) che potrebbero causare ostruzione o aspirazione.
  • Coprire il bambino per combattere il raffreddamento del corpo.
  • Chiamare il 118 e seguire con precisione le indicazioni.

Se il bambino è cosciente:

  • Tranquillizzarlo
  • Metterlo in posizione seduta o laterale per facilitare la respirazione
  • Aiutarlo a espellere il liquido presente nelle vie aeree, stimolando la tosse

Se il bambino è incosciente, non respira e il battito cardiaco è assente:

  • Effettuare le manovre di rianimazione cardiopolmonare pediatrica (PBLS)  

Cosa non fare

  • Non somministrare bevande di alcun tipo.
  • Non effettuare manovre di rianimazione se l’ambiente non è sicuro.
  • Non muovere il bambino in modo brusco, in caso di sospetto trauma cranio-cervicale.

Redazione Nurse Times

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