Riceviamo e pubblichiamo un contributo a firma di Giuseppe Saragnese, infermiere in Asst Bergamo e componente del direttivo di Fp Cgil Bergamo.
Ccnl è l’acronimo di Contratto collettivo nazionale del lavoro. Si tratta quindi di una forma di contrattazione patteggiata tra le organizzazioni che rappresentano ufficialmente i dipendenti, ovvero i sindacati o le associazioni dei lavoratori, e quelle che rappresentano invece le aziende. Nel caso dei dipendenti pubblici, invece, è l’Aran a rappresentare la pubblica amministrazione.
Va poi specificato che esistono due livelli di contrattazione collettiva. La contrattazione di primo livello viene applicata su tutto il territorio nazionale attraverso Ccnl e accordi interconfederali. La contrattazione di secondo livello, al contrario, vale solo in ambito territoriale o aziendale.
Ma i lavoratori della sanità a cui è scaduto il contratto il 31 dicembre 2021, e che quindi aspettano il rinnovo contrattuale per il triennio 2022-2024, sanno quello che i sindacati stanno contrattando? Sono stati coinvolti attivamente tramite assemblee nei luoghi di lavoro per discutere le proposte per il rinnovo del Contratto?
Dall’ultimo rapporto Gimbe sulla sanità pubblica emerge questo quadro del personale sanitario.
“La sanità pubblica sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti: inizialmente dovuta al definanziamento del Ssn e a errori di programmazione; oggi, dopo la pandemia, è aggravata da una crescente frustrazione e disaffezione per il Ssn. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate e escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno”.
I dati raccolti da organizzazioni sindacali e di categoria documentano infatti il progressivo abbandono del Ssn. Secondo la Fondazione ONAOSI, tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11medici medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato, e Anaao Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023.
L’Italia dispone complessivamente di 4,2 medici ogni 1.000 abitanti – un dato superiore alla media Ocse (3,7) -, ma sta sperimentando il progressivo abbandono del Ssn e carenze selettive: oltre ai medici di famiglia, alcune specialità mediche fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici, che disertano le specializzazioni in medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia, e radioterapia.
“Ma la vera crisi – continua la Fondazione Gimbe – riguarda il personale infermieristico: nonostante i crescenti bisogni, anche per la riforma dell’assistenza territoriale, il numero di infermieri è largamente insufficiente e, soprattutto, le iscrizioni al corso di laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati”.
Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8), collocandosi tra i Paesi europei con il più basso rapporto infermieri/medici (1,5 a fronte di una media europea di 2,4). Inoltre, nel 2022 i laureati in Scienze infermieristiche sono stati appena 16,4 per 100mila abitanti, rispetto a una media Ocse di 44,9, lasciando l’Italia in coda alla classifica, prima solo del Lussemburgo e della Colombia. Per l’anno accademico 2024-2025 sono state presentate 21.250 domande per il corso di laurea in Scienze infermieristiche, a fronte di 20.435 posti: un dato che dimostra la mancata attrattività di questa professione.
In sintesi, l’ultima giornata (29 settembre) di trattative per il rinnovo del Ccnl Sanità ha visto i sindacati ribadire la loro insoddisfazione per le risorse disponibili, chiedendo interventi più incisivi per migliorare le condizioni economiche e professionali del personale sanitario. Hanno sottolineato l’urgenza di valorizzare adeguatamente le competenze e il ruolo del settore, presentando richieste specifiche e programmando una mobilitazione. Questo malcontento, crescente e non ascoltato, si confronta con il Governo, che si appresta a definire la manovra di bilancio.
La proposta del Governo Meloni di stanziare i fondi disponibili è del 6%: una miseria, a fronte di un’inflazione al 15%, con una perdita del potere di acquisto del 9%. Queste percentuali fanno sì che gli aumenti contrattuali saranno ridicoli, se pensiamo agli stipendi del personale sanitario europeo.
Si continua a chiedere di lavorare di più senza nessun aumento delle indennità, ferme da decine di anni, nessun miglioramento professionale a fronte di un aumento dei carichi di lavoro e delle responsabilità in una categoria che dovrebbe essere usurante.
Dunque perché non iniziare da subito una forte mobilitazione, con la proclamazione di uno sciopero generale, coinvolgendo tutti i lavoratori degli altri settori, e non una semplice e banale manifestazione di sabato a Roma? Perché non diciamo nulla contro le varie proposte di aumento dell’età pensionabile, che aggraverebbero ancora di più un sistema già al collasso, con personale sanitario che ha una età media alta e che non vede l’ora di andare in pensione?
Redazione Nurse Times
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