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L’infermiere nei centri di accoglienza: il nursing transculturale

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Nursing transculturale e formazione: facciamo il punto della situazione
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Nel corso degli ultimi tempi storici l’immigrazione in Italia ha raggiunto delle cifre senza precedenti e numeri sempre più allarmanti che hanno destato preoccupazione e attenzione mediatica.

Secondo i dati Istat, infatti, tra il 1° gennaio e il 31 ottobre 2016 sono stati rilasciati a migranti maggiorenni 64.162 permessi per asilo e altre forme di protezione, mentre all’inizio del 2016 erano già presenti nel nostro Paese 155.177 persone con un permesso per motivi ricollegabili all’asilo politico o alla protezione umanitaria.

Questi continui flussi migratori hanno determinato inevitabilmente l’adattamento e la conoscenza dei bisogni culturali degli assistiti da parte dell’infermieristica divenuta sempre più transculturale e concentrata ad offrire l’accesso ad un’assistenza sanitaria culturalmente appropriata e competente.

Come sta avvenendo questa trasformazione sul nostro territorio?

Ne parliamo con la dottoressa Daniela Sparano, infermiera presso il centro di prima accoglienza Hotel dei mille di Napoli.

Dottoressa Sparano, iniziamo il nostro viaggio nel mondo dell’infermieristica transculturale: chi è l’infermiere in un centro di accoglienza?

”Da capitolato d’oneri ogni centro di accoglienza per i richiedenti asilo politico prevede le figure professionali dell’infermiere e del medico per quanto concerne l’assistenza sanitaria.

In qualità di infermiera mi occupo dell’assistenza sanitaria e, in particolare, di individuare tutti quelli che sono i bisogni fondamentali di ogni persona e di saper rispondere a questi bisogni in maniera adeguata tenendo in considerazione le difficoltà comunicative che inevitabilmente ci sono, le differenze culturali, le differenze dei costumi e tutto ciò crea un’assistenza e un approccio diversissimi rispetto all’assistenza improntata su una persona italiana.

Le prestazioni infermieristiche che si vanno ad attuare sono varie, dalla rilevazione dei parametri vitali alle somministrazioni terapeutiche alle medicazioni fino alla messa in atto di elementi burocratici come i collegamenti tra il centro di accoglienza e l’ASL di riferimento che, per quanto riguarda Napoli, è l’ASL Na 1 a cui si deve dare merito per il grande impegno nell’attuare tutti gli step, dalle visite specialistiche all’ottenimento della tessera temporanea di permanenza, ovvero il cosiddetto STP che è la prima tessera sanitaria valida per un determinato periodo di tempo, in genere 6-7 mesi”.

Com’è composto il team che lavora in un centro di accoglienza?

”Il team si compone, sempre secondo il capitolato d’oneri per ogni rifugiato e ogni centro di accoglienza, di determinate figure professionali che si rivolgono alla persona a 360°: le altre figure previste sono il sociologo, lo psicologo, l’educatore, i mediatori linguistici e il personale addetto alla gestione del centro di accoglienza.

Nell’organico, naturalmente, è previsto anche un servizio mensa che può essere, a discrezione del datore di lavoro, esterno al centro di accoglienza oppure interno e un’impresa di pulizie che si occupa dell’igiene degli ambienti del centro.”

Viste le possibili e numerose difficoltà, secondo lei qual è la strategia migliore per poter fronteggiarle in un team così eterogeneo?

”Le difficoltà si affrontano soltanto realizzando un atteggiamento di collaborazione e di dialogo tra gli operatori e con i richiedenti asilo politico: quello che ci siamo prefissati di portare avanti quotidianamente è una comunicazione continua con gli immigrati sui tempi, sulle modalità che loro non conoscono e cerchiamo di educarli ad una serena vita di comunità che appare ancora straniera e lontana.

Le difficoltà sono soprattutto gestionali: i numerosi stranieri che giungono ogni giorno, dai 100 ai 250 soprattutto per i centri più grandi, sono persone che hanno affrontato travagli immensi che posso vedere quotidianamente con i miei occhi attraverso le ferite e ascoltando le loro storie che nessun essere umano nella storia dell’umanità dovrebbe portare su di sè.”

Cerchiamo di fare chiarezza sulle false informazioni mediatiche: qual è l’iter che compie un immigrato?

”Sono vari i motivi per i quali gli immigrati scappano: guerre, povertà, persecuzioni per fede, razza, questioni politiche; decidono così di partire dal loro Paese per raggiungere terre straniere che offrono protezione e, per fare ciò, devono attraversare anche oltre 3-4 Stati e il deserto nel quale, durante il cammino che può durare settimane, possono morire di stenti e veder morire i loro amici e i loro affetti.

Arrivati in Libia, che rappresenta il passaggio obbligatorio, la maggior parte delle volte vengono imprigionati e qui uomini, donne, bambini e anziani possono subire violenze, torture, lavori forzati e, poichè vengono richiesti dei soldi per il viaggio, restano fino a quando non verrà pagato il riscatto, in genere proveniente dalle famiglie che vendono tutto quello che hanno come vestiti, bestiame, tende; se questo accade, vengono scarcerati e a questo punto è consentita la partenza sui barconi; chi, invece, non riesce a pagare questo debito viene ucciso o viene scarcerato e potrebbe cadere nelle mani di aguzzini ai quali si dovrà pagare il debito.”

Cosa succede quando giungono in Italia?

”Arrivati sulle coste ci sono i primi soccorsi e i primi aiuti umanitari, si procede con i fotosegnalamenti e lì vengono consegnati ai centri di prima accoglienza, i CAS.

Terminata l’accoglienza nei CAS, qualora l’immigrato non abbia la possibilità di sostenersi in modo autonomo, è prevista una seconda accoglienza che rientra nel cosiddetto sistema SPRAR, ovvero il centro di seconda accoglienza, tuttavia in merito c’è ancora molta confusione poichè i due sono ancora considerati simili e, vista anche l’emergenza, molti SPRAR fungono anche da centri di prima accoglienza.

Non appena giungono nei centri di prima accoglienza vengono a loro garantiti servizi e assistenza; sotto l’aspetto giuridico, invece, devono compilare il cosiddetto modello C3 nel quale dichiarano le loro generalità nella lingua conosciuta e i motivi della loro partenza; compilato questo modulo verranno posti davanti ad una commissione territoriale composta da un funzionario della prefettura e della polizia di Stato che avranno il diritto di voto ascoltando la storia dell’immigrato al quale potrà essere garantito o meno lo status di rifugiato: ciò significa riconoscere a quella persona la richiesta di asilo per motivi di razza, di fede, di nazionalità, per le opinioni politiche e questo è uno status ambito da tutti, ma non tutti riescono ad ottenerlo poichè dipende dalle motivazioni presentate.”

E se questo status non viene riconosciuto?

”Ci potrebbe essere il riconoscimento della protezione sussidiaria, ovvero chi richiede asilo non possiede i requisiti per essere rifugiato e non ha motivi fondati per essere ritenuto perseguitato.

Nella peggiore delle ipotesi la domanda può essere rigettata poichè non sussiste alcuna motivazione valida per essere rifugiato e per ottenere la protezione sussidiaria.”

Ci sono attività previste nei centri di accoglienza?

”Certamente! In ogni centro di accoglienza sono previsti dei programmi di educazione e di integrazione con le attività più disparate: l’ insegnamento della lingua italiana, sport, laboratori, eventi e si cerca di riconoscere le qualità di ogni singola persona.”

Quali sono le situazioni più frequenti che riscontra come professionista infermiera?

”Tutti gli immigrati arrivano in uno stato psicologico molto provato, molto debole e suscettibile dopo tutto quello che hanno affrontato e per questo c’è l’essenziale figura dello psicologo.

Dal mio canto questo aspetto è fondamentale perchè con questo contributo si cerca di comprendere di cosa ha realmente bisogno quel paziente e nell’ambulatorio del quale ho piena autonomia convoco le persone e, attraverso un percorso sia infermieristico che clinico-assistenziale, decido di iniziare e di attuare un determinato piano assistenziale ad personam.

I pazienti giungono spesso con dolori diffusi, atralgie, ferite, epigastralgie, infezione da malaria, sebbene questa sia diagnosticata durante il primo accesso alle coste e quindi preventivamente trattata, infezioni da candida, infezioni cutanee come la scabbia, dermatiti, fistole pruriginose, escorianti e secernenti, bronchiti, sintomi tubercolari, anemia, traumi cranici e oculari causati dalle violenze subìte, denutrizione: su questo aspetto vorrei soffermarmi poichè la maggior parte di loro ha patito la fame nelle carceri e racconta di aver ricevuto un solo pasto e 1-2 bicchieri di acqua al giorno e di aver avuto disturbi del modello di sonno.

Qui, comunque, cerchiamo di adattarli a quelli che sono gli usi e i costumi alimentari seppur con una cucina più aromatizzata che sia più vicina ai loro gusti.”

Facciamo luce sugli aspetti economici che spesso vengono falsificati dai mass media.

”Purtroppo si continua a fare cattiva informazione sugli aspetti economici, ma l’iter è sostanzialmente questo: la prefettura attua una gara con una società, una cooperativa, un’associazione per adibire una struttura come centro di accoglienza; non appena ricevuta l’autorizzazione per accogliere, la prefettura garantisce al datore di lavoro una determinata quantità di soldi per ogni immigrato che si aggira intorno ai 34 euro che vanno al datore di lavoro che detiene il centro e che si occupa di garantire ad ogni persona tutti i servizi necessari tra cui quelli di integrazione oltre che una vita dignitosa.

Al migrante, invece, spettano circa 2,50 euro al giorno: questi soldi, però, non arrivano tutti i mesi perchè la burocrazia ha tempi biblici e quindi sta nella possibilità del datore di lavoro di anticipare i soldi. La situazione, quindi, non è così come ce la mostrano.
Gli immigranti hanno, inoltre, la possibilità di assentarsi dal centro di accoglienza fino a 3 giorni, dopo i quali non verranno più accettati.

Quali sono i rischi verso i quali si sente più soggetta?

”L’infermiere nel centro di accoglienza è quotidianamente sottoposto al rischio infettivo, al rischio biologico: ci si trova di fronte a persone che potrebbero avere epatiti, tubercolosi, HIV, dermatiti infette e dunque il primo intervento da attuare è essenzialmente l’adozione dei DPI come guanti, mascherine, mascherine con filtri, occhiali.

Comunque, siamo sempre a conoscenza delle infezioni e delle patologie che hanno in quanto vengono prioritariamente e preventivamente sottoposti agli esami del sangue, delle feci, al test di Mantoux, quindi in seguito alle risposte sapremo come comportarci e quali strategie preventive attuare”.

Un’ultima riflessione sull’infermiere e sul suo contributo in una realtà decisamente nuova per il professionista della salute. Come vive questa esperienza professionale?

”Negli ultimi tempi il fenomeno sta spopolando per un’emergenza senza precedenti che richiede inevitabilmente la figura del professionista infermiere.

Come ci ricorda anche l’articolo 4 del Codice Deontologico:
‘L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona’, 
sottolineando proprio che l’assistenza infermieristica viene attuata a tutti, senza distinzione di nessun genere e garantendo il diritto alla salute nel rispetto della cultura e della persona in toto.

Io ho cercato questa esperienza professionale perchè volevo indirizzarmi sul territorio, staccarmi dall’idea che l’infermiere debba o possa lavorare solo in ospedale, anzi mi sto accorgendo che l’infermiere è tanto altro e non solo quello che ho potuto constatare nell’esperienza universitaria attraverso il tirocinio ospedaliero.

Lavorare in un centro di accoglienza è stimolante perchè si è in completa autonomia, si attuano i piani assistenziali, si instaura una relazione terapeutica quotidiana, si educa alla vita e alla salute che sono per me motivo di immensa crescita umana e professionale.

Le difficoltà sono certamente correlate alla comunicazione e all’instaurazione di un linguaggio comune comprensibile ed efficace.
Insomma, il vero professionista infermiere sa accogliere le situazioni, sa portare il peso delle storie e dei volti di quelle persone.

E io mi sento proprio così: sono piena di volti e di grazie che sono quelli che ti riempiono il cuore e che valgono davvero tanto.”

Grazie per il suo immenso contributo!

”Grazie a voi e un caro saluto ai lettori di Nurse Times!”

Anna Arnone

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