Il professore di Sociologia dell’Università Tore Vergata di Roma ha fatto parte della Commissione voluta dal Collegio Ipasvi della città toscana. “Pisa ha avuto il coraggio di mettersi in trincea. Auspico che il lavoro compiuto confluisca nel documento nazionale, anche se in Federazione ci sono problemi”
PISA – Difficile che la bozza di Codice deontologico messa a punto dal Collegio Ipasvi di Pisa diventi quella definitiva per tutti gli infermieri. Arriverà il momento che il lavoro svolto dalla Commissione guidata dal presidente Emiliano Carlotti, dovrà cedere il passo (del tutto o in parte) al Codice redatto dalla Federazione nazionale. Resterà, però, il sasso scagliato nello stagno e il merito di aver aperto (oppure obbligato, a seconda dei punti di vista) il dibattito. “E’ un merito indiscutibile” sentenzia Ivan Cavicchi, docente di Sociologia presso l’Università Tore Vergata di Roma ma, soprattutto, uno degli esponenti di spicca che hanno lavorato alla stesura del Codice deontologico dell’Ipasvi di Pisa. In occasione del convegno dedicato proprio agli esiti del lavoro del Collegio toscano, Cavicchi sottolinea i meriti di chi ha preso il coraggio a due mani e costretto ad aprire un dibattito sul Codice. “Non ci siamo limitati ad aggiornare un vecchio modello di codice: Pisa ha tentato di mettere su un Codice diverso perché a tentato di interpretare i problemi attuali della professione. E’ da quelli che bisogna partire: la questione infermieristica e il problema del demansionamento”. Anche se il problema più grande, a giudizio di Cavicchi, è quello “di essere prigionieri di organizzazioni che non permettono la libera espressione della professione come descritta dalle norme”. Per questo il lavoro svolto dal Collegio di Pisa è straordinario: “Non si sono messe in conflitto con altre interpretazioni ma ha detto semplicemente ‘cerchiamo di capire cosa fare’ con questa realtà e non con quella di 30 anni fa”.
Uno dei punti di forza del Codice pisano è quello della cancellazione dell’attuale articolo 49 sul demansionamento: “Credo che ci sia una volontà comune – sottolinea Cavicchi – a superare la contraddizione di questo articolo. Il Collegio di Pisa ha avuto il coraggio di mettersi in trincea su una cosa del genere. Siamo solo all’inizio del cammino: la strada è ancora lunga e non abbiamo ancora un Codice completamente definito”. Sa bene, però, il professor Cavicchi che il lavoro del Collegio di Pisa dovrà cedere il passo a quello della Federazione: “Intanto proprio al convegno sul Codice la Federazione nazionale era presente con la vice presidente Schirru. Questo ha un grandissimo significato: vuol dire che la Federazione non è indifferente ad un problema, ad un’idea che all’inizio poteva essere provocatoria”.
L’auspicio di Cavicchi, ovviamente, è che il lavoro di Pisa possa confluire nel documento nazionale: “Sarebbe stupido sprecare questa elaborazione così preziosa”. Anche se, in maniera realistica, lo stesso Cavicchi non nasconde il momento storico che si vive in Federazione: “Ci sono dei problemi e lo sappiamo: non facciamo finta di niente. Però vedo un fermento, una tensione, una spinta verso il rinnovamento e io auspico che questa spinta sfondi perché abbiamo bisogno di cambiare. In tempi diversi non ci sarebbero stati problemi: avremmo preso il meglio del lavoro di Pisa per fare un Codice il migliore possibile”. La realtà è diversa, anche se il sasso nello stagno è stato lanciato.
Salvatore Petrarolo
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