Riprendiamo un post di Alberto Zuccalà, radiologo leccese di professione, scrittore e disegnatore per passione autore del libro “CARO BIMBO: pensieri di un giovane medico raccolti al tempo del Covid per chi non sarà ancora troppo grande nel 2040“
Zuccalà, che ora vive in Puglia in servizio a Lecce, pubblica in un post il suo pensiero che vi riproponiamo:
“Ieri sera, un collega, un amico, si dirigeva ad un presidio ospedaliero a circa 70 km da quello di assegnazione.
Erano circa le venti, l’orario del cambio turno. Aveva lavorato e avrebbe dovuto lavorare, perché questi turni sono “in più” rispetto all’ordinario: servono per tenere “aperti gli ospedali”, “i servizi”. Servono a far dire ai politici che “sono riusciti a non chiudere le strutture”, “a reggere i numeri”.
Nel tragitto ha un brutto incidente e su una statale che chiamarla “strada” è già troppo dignitoso.
Ora è ricoverato per trauma commotivo, il ragazzo che guidava la moto con cui ha avuto il frontale è morto.
Non so quale sia stata la dinamica dell’impatto.
La Procura ha aperto le indagini, ma so per certo che non si può continuare a lavorare negli ospedali con regimi di lavoro che superano le 12 ore al giorno, con stacchi orari non regolari, con turni di riposo e di recupero non assegnati, ferie non concesse, con organici eternamente ridotti all’osso e incarichi assegnati su chilometraggi cosi ampi come fossimo le palline di un Flipper.
Non possono essere torturati i dipendenti di qualunque ordine e grado solo perché la cattiva amministrazione non sa garantire i servizi o ambisce a promozioni a discapito del lavoro o della vita degli altri.
Tante volte, amici cari mi hanno raccontato d’aver “rischiato l’incidente” in auto. Nessuno lo sa.
Nessuno fa niente perché le cose cambino.
Nessuno, oso pensare, vuole che le cose cambino.
Spero i sindacati non tacciano. Spero i politici si muovano. Spero ci sia più attenzione su queste storie parallele e su queste morti che passano inosservate.
Spero che queste parole vengano condivise perché ognuna di queste vite resti sulla coscienza di chi non sa gestire e per non saper gestire prende barche di soldi.
Ogni parte d’Italia soffre carenze strutturali e umane di questo tipo e nessuno dice niente. Nessuno.
Anni fa, in un ospedale che frequentai, incuriosito, chiesi chi fosse la dottoressa ritratta nella foto appesa su un muro del pronto soccorso.
Mi dissero che era una collega morta in un incidente avvenuto poco distante dall’ospedale, di notte, causato dalla stanchezza delle troppe reperibilità.
Da allora, in quell’ospedale vennero tolte le vergognose reperibilità (che costringono a lavorare a volte per dieci notti al mese al mattino, la notte di quello stesso giorno e al pomeriggio del giorno seguente) per istituire “la guardia notturna”.
Ho fatto la strada di Mario tante volte, con gli occhi pieni di sonno, andando a 40 km/h.
Sento mia la sua triste storia, come, in queste ore, tutti i colleghi che lo conoscono. Non oso immaginare come possa sentirsi sapendo che proprio mentre andava a curare una persona, un’altra perdeva la vita.
Spero una volta per tutte che un giorno vengano stabiliti turni e carichi di lavoro rispettosi per la vita di tutti: pazienti e operatori sanitari e se ne parli di più di tutto questo “sommerso”, perché tanto “sommerso” non è, ma è solo smisuratamente minimizzato e tenuto tale da chi pur sapendo non fa (o gli conviene non fare, non cambiare).
Domani è un altro giorno.
Lo attendo migliore per il bene di tutti.
Alberto Zuccalà
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