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Una mattina come tante, in reparto di medicina, caotica, monotona, infinita…

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 In onore alla mia esperienza di qualche anno fa in un reparto di medicina presso una clinica privata, vi racconto questo divertente e misterioso episodio. Un po’ estremo, forse, ma che ben descrive le mattinate vissute dai tanti infermieri in turno nei reparti di degenza.

Una mattinata come tante, in reparto di medicina. Caotica, monotona, infinita. Terribile. Nei corridoi, complice un OSS di corsa con un pacco di lenzuola in mano che vaga borbottando, si insinuano voci strane e senza speranza del tipo: “La vecchietta del letto 12 ha scavalcato le spondine e si è buttata di sotto dal letto. Quella del 6 sta vomitando e quella del 18 vuole sapere a tutti i costi a che ora passa l’autobus. Tutto risolto. Ma è tardi, non ce la faremo mai a finire in tempo e oltre tutto ha iniziato anche a piovere”.

Mi fermo un istante mentre somministro l’infinita terapia infusionale e cerco con lo sguardo una finestra, per avere la triste conferma di quanto l’OSS, di solito infallibile metereologo, ha sussurrato andante con fare depresso. E a quel punto… pura perplessità.

Qualcosa di strano, infatti, mi appare in lontananza tra i rami dell’abete spennacchiato che si erge davanti al reparto. Un frutto, forse? Un nido? Un uccello? Un ramo spezzato? I vetri sono lievemente appannati e bagnati, quindi per vedere meglio mi avvicino. Che diavolo è quel coso?

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Spalanco la finestra e… No, non ci credo. Una sacca delle urine piena. Perfettamente adagiata su un ramo, in bella mostra, in una posa assai naturale, quasi fosse un raro ed invitante frutto. Chiamo a gran voce i miei colleghi per renderli partecipi di questa rivoluzionaria e curiosa scoperta. Accorrono tutti immediatamente, nonostante il reparto sia ingolfatissimo e quasi in ginocchio (come sempre).

Di chi diavolo è quella sacca? Nessuno sa dare una risposta credibile. Allerto quindi il caro instancabile OSS che, sempre con le lenzuola in mano, sempre di corsa e sempre borbottando, esegue un controllo veloce di tutti i pazienti cateterizzati; ma tutto risulta in ordine. Mistero, dunque? Un paralizzante ed innaturale silenzio, a quel punto, ci pervade e si impossessa di ciò che è rimasto della nostra voglia di riprendere a lavorare. Lo stupore, l’angoscia e la paralisi iniziali, però, lasciano poi il posto ad una intensa quanto disperata ilarità generale, interrotta bruscamente dal nostro coordinatore con un serio, solenne e laconico: “Chiamate la manutenzione e fate portare giù quella cosa”.

Il razionale vagito del caposala, come d’incanto, ci ha di nuovo teletrasportati tutti nel nostro ruolo. Si ricomincia, quindi. I campanelli suonano a festa, io infondo, gli altri professionisti si sparpagliano e l’OSS, con passo svelto e due pacchi di traverse in mano, borbotta un rassegnato: “il vecchietto del letto 4 si è strappato l’ago-cannula, ci pensi tu?”. Certamente. In una mattinata come tante, in medicina.

Alessio Biondino

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