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Umanizzazione delle cure nelle UTI al Pederzoli: innovazioni per il futuro?

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Come è possibile rendere psicologicamente meno traumatizzante la permanenza in ospedale? possiamo parlare dell’Umanizzazione delle cure?

L’approccio olistico ed improntato sulla singolarità della Persona, in ambito infermieristico è obiettivo fondamentale dalla notte dei tempi e necessita della predominante importanza del riconoscere a 360° i bisogni fisici e psico-relazionali.

Tra i fattori che implicano un effetto disumanizzante delle cure all’interno degli ospedali ricordiamo: l’isolamento, la spersonalizzazione dei rapporti umani, la separazione dai familiari, la variazione dei ritmi giornalieri individuali … ma se umanizzazione vuol dire riconoscere nel paziente il suo essere biologico, il suo essere persona e il suo essere un essere umano (quindi in relazione), questi fattori che definiamo disumanizzanti non possono essere trascurati.

Sino a poco tempo fa si parlava unicamente di “Umanizzazione delle Cure” intesa come creazione di un’equipe sanitaria che fosse in grado di curare ed assistere con “continuo cuore in mano” in termini relazionali. Oggi invece, la visione è più ampia comportando: la riduzione del danno biologico con tecniche sanitarie adeguate; coinvolgere i familiari nelle cure; riconoscere e rispettare culture, religioni, etnie e morali differenti tra loro; sburocratizzare i Servizi; sguardo al territorio ed i servizi offerti…

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Non ultimo per importanza ma di recente introduzione è l’attenzione nei riguardi degli spazi e dell’organizzazione dei locali sanitari. È sempre più in voga la necessità d curare gli ambienti, rendendoli più confortevoli, più rilassanti, più motivanti e più familiari.

L’Unità di Terapia Intensiva (UTI) della Casa di Cura Pederzoli, diretta da Walter Mosaner e coordinata da Andrea Deorsi, è stata inaugurata un anno fa e rappresenta una struttura italiana nell’ottica europea di “rianimazione aperta”: maggiori visite da esterni, privacy tra pazienti e familiari garantita e limitazioni di orario meno restrittive.

Si tratta di un open space costituito da 6 box di 16m2 ciascuno ed indipendenti; la suddivisione dei box è data da pareti trasparenti che consentono l’utilizzo di tendine oscuranti. Ai sei letti (uno per ogni box) che godono di insonorizzazione acustica, si aggiungono 2 letti in uno spazio aperto per i post intervento complessi.

La luce è l’elemento peculiare, in quanto garantendo la luce proveniente dall’esterno permette di mantenere il ciclo notte-veglia, limitando i fenomeni di delirium e con importanti e positivi riflessi sul personale. Ammirevole ed intraprendente la scelta di ridurre l’utilizzo di dispositivi di contenimento della contaminazione ad opera di coloro che accedono dall’esterno: si a sovrascarpe e frizionamento idroalcolico delle mani, no a tutto il resto!

Il direttore Mosaner afferma “i batteri che portiamo dall’esterno sono comuni, mentre i problemi dei  nostri pazienti sono legati ad infezioni ospedaliere, a batteri abiutuati gli antibiotici e resistenti alle terapie”. Intento tanto allettante quanto interessante per risultati in termini di rischio clinico e incidenza delle infezioni nosocomiali.

Ci auguriamo di poter leggere in un prossimo futuro evidenze di questo nuovo riferimento italiano.

Maurizio Limitone

(Fonte: www.larena.it “il fattore umano in terapia intensiva” di Katia Ferraro)

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