L’operazione è stata condotta simultaneamente con approccio chirurgico mininvasivo e mappaggio cardiaco elettrofisiologico. Ne ha beneficiato una 21enne che da otto anni conviveva con questa invalidante forma di tachicardia.
Un “cuore matto” che a riposo supera i 100 battiti al minuto e che accelera ancora di più, improvvisamente, al minimo sforzo fisico. E’ la Tsi, una forma di tachicardia detta “sinusale inappropriata”, incessante e incontrollabile, che colpisce soprattutto le donne dai 20 ai 50 anni. Per correggerla, l’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano annuncia “il primo intervento ibrido effettuato in Italia, condotto simultaneamente con approccio chirurgico mininvasivo e mappaggio cardiaco elettrofisiologico”.
In sala operatoria, una 21enne che da otto anni conviveva con questa sindrome invalidante, comune all’1% circa della popolazione. Dopo quattro giorni è stata dimessa dal reparto di Cardiochirurgia per la successiva riabilitazione. L’innovativo intervento ibrido è stato eseguito da un team multidisciplinare coordinato da Elisabetta Lapenna, cardiochirurga dell’Heart Valve Center (diretto da Francesco Maisano), e da Manuela Cireddu, elettrofisiologa e cardiologa dell’Unità di Aritmologia ed elettrofisiologia cardiaca (diretta da Paolo della Bella), in collaborazione con Carlo De Asmundis, dell’Heart Rhythm Management Centre di Bruxelles, e Mark La Meir, Head of the Department of Cardiac Surgery dell’University Hospital della capitale belga.
L’operazione rappresenta “un risultato molto importante, che evidenzia una volta di più come la collaborazione multidisciplinare possa portare innovazione continua, con strategie di cura sempre più precise e personalizzate per i nostri pazienti”, affermano Cireddu e Lapenna, che con i colleghi di Bruxelles, “padri” della nuova procedura, hanno avuto una formazione specifica. Attualmente nel mondo sono circa 300 i casi trattati in modalità ibrida.
La Tsi ha origine nel nodo seno atriale, il pacemaker naturale che regola il battito del cuore. Normalmente è trattata con una terapia farmacologica mirata a ridurre la frequenza cardiaca (betabloccanti, calcio-antagonisti oppure farmaci selettivi sulla funzione del nodo del seno, fra i quali l’ivabradina), mentre nei casi resistenti ai medicinali vengono effettuate ablazioni transcatetere con radiofrequenza, che però non sembrano avere benefici effettivi e duraturi. L’intervento ibrido offre un’alternativa, “una nuova possibilità di cura per questa patologia, difficilmente riconosciuta e trattabile con i soli farmaci o gli approcci tradizionali”, evidenziano gli specialisti.
L’operazione mininvasiva, eseguita in anestesia generale, è stata possibile grazie all’integrazione e alla collaborazione della cardiochirurga e dell’elettrofisiologa, che hanno operato simultaneamente. In particolare, attraverso un accesso in toracoscopia è stata eseguita una modulazione – mediante applicazione di radiofrequenza – della conduzione del nodo seno atriale, dove ha origine l’aritmia. Tuttavia, per identificare le aree specifiche dove agire, è stato necessario il simultaneo mappaggio per via transcatetere dell’atrio destro tramite approccio venoso femorale. Questo ha permesso di identificare e trattare esclusivamente le aree cardiache in cui nasce l’aritmia, evitando le complicanze dell’intervento tradizionale, tra cui l’impianto del pacemaker e la lesione del nervo frenico.
Redazione Nurse Times
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