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Testamento Biologico: la situazione in Italia e nel resto del mondo

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La relazione insita nel rapporto infermiere-assistito è ricca di incontri, scambi, confidenze, confronti, richieste, ma è anche possibile che tutto ciò crei incomprensioni o tensioni derivanti dalle diverse visioni etiche; ne sono esempi la concezione della vita, il significato della sofferenza, l’idea e la percezione della propria dignità, la libertà di scelta rispetto ai percorsi diagnostici e terapeutici. La letteratura scientifica e i recenti e meno recenti episodi di cronaca accaduti testimoniano che, ormai, non è più così rara l’insorgenza di situazioni cliniche che necessitano di interventi non ancora ben delineati dalla nostra legge, una legge che in merito alla questione sul testamento biologico, a tutt’oggi, appare in contrasto con la deontologia professionale dell’infermiere, non riconoscendo la centralità della persona e delle sue volontà nel processo clinico-assistenziale.

Gli infermieri, professionisti che svolgono un’insostituibile funzione nella fase terminale della vita delle persone, si richiamano alle norme espresse nel loro Codice Deontologico per valutare l’articolato della proposta di legge 2350: “Durante l’evoluzione terminale della malattia e nel fine vita” – si legge nel Pronunciamento – “i rapporti tra l’assistito, le sue persone di riferimento, il medico, l’infermiere e l’équipe assistenziale non possono essere rigidamente definiti da una legge potenzialmente fonte di dilemmi etici, difficoltà relazionali e criticità professionali, ma devono essere vissuti e sviluppati secondo le norme dei Codici di deontologia professionale”.

L’articolo 3 del Codice deontologico degli infermieri recita: “La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo”.
L’articolo 36 recita: “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita”. 
L’articolo 37 recita: “L’infermiere quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato”. 

Pertanto non è possibile non discutere, ad oggi, dell’importanza del testamento biologico e della falla ancora presente nella nostra legge.

Il testamento biologico detto anche testamento di vita, dichiarazioni o direttive anticipate di trattamento, è un documento scritto, redatto da una persona in condizioni di lucidità mentale, in merito alle terapie che intende ricevere o rifiutare nell’eventualità in cui dovesse trovarsi incapace di intendere e di volere, quindi di esprimere il proprio diritto al consenso o al dissenso informato, ossia nel caso non fosse in grado di acconsentire o rinunciare alle cure disponibili per malattie inguaribili e irreversibili o per condizioni come lo stato vegetativo permanente, gestibili solo attraverso sistemi artificiali.

Il termine testamento attinge al linguaggio giuridico e alla consuetudine di redigere un atto scritto con cui una persona lascia le disposizioni sul proprio patrimonio o su parte di esso per quando non sarà più in vita.

La definizione di biologico modifica il contenuto del documento, rimandando alla particolare natura del patrimonio di cui si dispone: la propria esistenza fisica. I temi trattati nel testamento biologico possono comprendere anche la donazione dei propri organi a scopo di ricerca e/o trapianto, indicazioni sulla terapia del dolore, sull’accanimento terapeutico, sull’assistenza religiosa e istruzioni su come disporre del proprio corpo dopo il decesso.

La redazione del testamento biologico non è di regola obbligatoria e il suo istituto non compare ancora codificato in tutti i sistemi giuridici.

Dibattito e chiarezza dei termini

Mentre il dibattito pubblico e politico sul testamento biologico procede, in Italia, arricchito e reso drammatico da vicende di cronaca nazionale ed estera, ma anche dai continui progressi della scienza in ambito medico (che permettono di prolungare artificialmente alcune funzioni vitali in malati inguaribili), è impossibile non notare la vivacità con cui vengono presentati altri temi distinti ma spesso correlati al testamento biologico o con esso confusi, come l’accanimento terapeutico, l’eutanasia e le cure palliative. È quindi necessario fare chiarezza e tenere separati concetti assai diversi.

Per accanimento terapeutico si intende il perseverare nel tempo di trattamenti e cure che, pur mantenendo il paziente in condizioni stabili e consentendogli di proseguire artificialmente la sua vita biologica, non sono volti al miglioramento delle condizioni di salute e sono di fatto sproporzionati ai risultati attesi, quindi inaccettabili e non dignitosi; a tutt’oggi non si riesce ad identificare una formulazione veramente oggettiva, poiché appare difficile stabilire quali terapie vadano intese come accanimento terapeutico in ogni singola situazione clinica.

Un concetto troppo spesso confuso con quanto finora discusso è quello dell’ (dal greco euthanasía, comp. di eu «bene» e tema di thánatos «morte», quindi «buona morte»). È la pratica che consiste nel procurare volontariamente la morte, in modo indolore e non cruento, a una persona affetta  da una malattia inguaribile, allo scopo di porre fine alla sua sofferenza. Si fa spesso distinzione, non senza incorrere in comprensibile confusione, fra eutanasia attiva e passiva. Dal punto di vista strettamente pratico, nella maggior parte dei casi l’eutanasia consiste nell’iniettare nelle vene del paziente un veleno, il cloruro di potassio, che in pochi secondi, arrestando il cuore, conduce il malato alla morte: alcuni definiscono questa modalità di soppressione della vita a scopo compassionevole eutanasia attiva. In questo modo si vuole introdurre la terminologia di eutanasia passiva indicandola come l’omissione di pratiche terapeutiche, come, per es., nel caso dell’atto di staccare il respiratore meccanico oppure in quello della sospensione della dialisi.

Tuttavia, la sospensione di terapie non può essere assimilata al concetto di eutanasia, perché sospendere le terapie prendendo atto che non c’è più nulla che si possa fare dal punto di vista clinico significa accettare la fine naturale della vita e non sopprimere una vita. Trattandosi di un atto volontario, l’eutanasia suscita sempre forti polemiche e contrasti e, nella maggior parte dei Paesi del mondo, è una pratica non accettata e anzi considerata un reato.

In base al codice penale italiano, per es., la condotta di chi procura la morte, anche se pietatis causa, si inquadra direttamente nella previsione dell’art. 575 e, al pari di un omicidio, è punibile con la reclusione. Anche nel caso in cui sia possibile dimostrare il consenso del malato, le pene previste si inquadrano nell’ambito dell’art.579 (omicidio del consenziente) e prevedono ugualmente la reclusione.

Una definizione a parte va invece riservata al suicidio assistito: l’atto mediante il quale un malato si procura la morte grazie all’assistenza di qualcuno che ne condivide la decisione e ne agevola l’esecuzione pratica che risiede però nelle mani del paziente stesso. Tale pratica è attualmente legalizzata nello Stato americano dell’Oregon (1997), nei Paesi Bassi (2001), in Belgio (2002) e in Svizzera (2006).

Situazione europea

Il 25 gennaio 2012 il Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione in cui raccomanda agli stati membri di regolamentare le disposizioni sul t.b., mentre nega il diritto all’eutanasia e al suicidio assistito. In Europa hanno dato il riconoscimento legale a differenti forme di t. b. il Belgio, la Danimarca, la Francia, i Paesi Bassi e la Spagna.

Nel resto del mondo, oltre agli Stati Uniti, è riconosciuto in Canada e Australia. In Francia con una legge del 2005 è stato sancito il principio del rifiuto all’accanimento terapeutico autorizzando il medico a limitare o a interrompere i trattamenti quando lo ritiene necessario, con una procedura collegiale che tiene conto delle dichiarazioni anticipate, del fiduciario e della famiglia. Le dichiarazioni anticipate, che ogni cittadino maggiorenne può sottoscrivere, possono essere modificate o revocate in qualsiasi momento.

Nei Paesi Bassi il t. b. è legge dello Stato dal 2001 e le dichiarazioni di volontà possono essere firmate a partire dai 16 anni di età.

In Spagna la normativa approvata nel 2003 concerne il diritto all’informazione in ambito medico, al consenso informato e alle dichiarazioni anticipate del paziente. Il soggetto può designare un rappresentante che, in caso di necessità, si assuma la responsabilità di essere l’interlocutore dei medici per portare a compimento le dichiarazioni anticipate.

In Germania il t.b. non è stato ancora oggetto di una normativa specifica, sebbene trovi impiego nella pratica e conferma nella giurisprudenza.

Nel Regno Unito, nonostante l’assenza di una legge specifica, le decisioni dei giudici in alcuni casi riguardanti la legittimità della sospensione dell’alimentazione artificiale e di farmaci per pazienti in stato vegetativo permanente, hanno di fatto riconosciuto il diritto a rifiutare le terapie e a far staccare il respiratore meccanico.

La situazione in Italia

In Italia manca ancora una legge che disciplini esplicitamente la materia, ma sono numerose le proposte di legge avanzate negli ultimi anni. Le principali differenze fra le proposte di legge riguardano tre nodi critici: l’introduzione della figura del fiduciario, che dovrebbe essere scelto perché ha condiviso con continuità momenti, pensieri e idee con la persona che gli ha affidato le proprie indicazioni e, quindi, si suppone sia in grado di interpretare se, in quella determinata circostanza, avrebbe voluto essere sottoposto ad ulteriori terapie oppure ne avrebbe chiesto la sospensione.

Il secondo punto di criticità riguarda l’eventuale discrepanza tra l’interpretazione del testamento biologico da parte della famiglia, o del fiduciario, e il medico. Le possibili soluzioni, in caso di conflitto, includono il ricorso al comitato etico dell’ospedale, o alla ASL di competenza, oppure alla magistratura o al medico stesso. Il terzo aspetto, il più controverso, riguarda la decisione di interrompere, assieme a tutte le altre terapie, anche l’idratazione e la nutrizione artificiale in un paziente che non è più in grado di svolgere autonomamente queste funzioni. Il dibattito si articola sul diverso modo di considerare tali supporti, tra chi li classifica come sostentamento necessario e mai eliminabile, e chi invece li assimila ad altri interventi terapeutici, quindi li ritiene soggetti a sospensione in presenza di una indicazione espressa e in mancanza di una ragionevole speranza di miglioramento per il paziente.

Riferimenti..legislativi

Nel 2001 l’Italia ha ratificato la Convenzione di Oviedo del 1997, che stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione”. Inoltre, secondo il Comitato per la Bioetica, “i medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall’interessato, ma anche giustificare per iscritto le azioni che violeranno tale volontà”.

Il 26 marzo 2009 il Senato della Repubblica ha approvato a maggioranza un disegno di legge formulato dal Popolo della libertà (Pdl), relatore senatore Raffaele Calabrò, in base al quale alimentazione e idratazione sono considerate sempre e soltanto forme di sostegno vitale e, in quanto tali, non possono formare oggetto di una dichiarazione anticipata di trattamento. Nessun medico potrà sospendere tali cure, nemmeno se il paziente ne avrà fatta espressa richiesta nel proprio testamento biologico. Di fatto, con il ddl Calabrò il parere dei cittadini sulle scelte di fine vita diventa non pienamente vincolante e sembra contravvenire i principi costituzionali e non rispecchiare l’opinione espressa da larga parte degli italiani. Nell’ottobre 2008 il Senato ha avviato l’esame, concluso, in prima lettura, il 26 marzo 2010, del testo unificato di varie proposte di legge (A.S. 10 ed abb.) recante disposizioni sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. Nel corso del dibattito parlamentare non sono mancate prese di posizione varie e contrastanti tra i diversi schieramenti politici e anche all’interno degli stessi, frutto di differenti concezioni etiche e giuridiche. Il provvedimento è stato esaminato, in sede referente, dalla XII Commissione affari sociali della Camera (A.C.2350) che ne ha concluso l’esame, con la votazione del mandato al relatore, il 1° marzo 2011. L’Assemblea della Camera ha concluso l’esame del provvedimento il 12 luglio 2011 e lo ha trasmesso all’altro ramo del Parlamento. L’esame in seconda lettura presso il Senato, avviato nel settembre 2011, non è tuttavia giunto a conclusione.

Il progetto di legge sancisce preliminarmente i principi della tutela della vita umana e della dignità della persona, del divieto dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico, e del consenso informato quale presupposto di ogni trattamento sanitario. Provvede quindi alla disciplina, con una norma di carattere generale, del consenso informato, sempre revocabile e preceduto da una corretta informazione medica, e delinea le caratteristiche e i principi essenziali della dichiarazione anticipata di trattamento. Le dichiarazioni anticipate hanno una validità di cinque anni e sono pienamente revocabili, rinnovabili e modificabili. Ne viene inoltre sancita la non obbligatorietà per il medico che, tuttavia, qualora non intenda seguire gli orientamenti espressi dal paziente, è tenuto a sentire il fiduciario o i familiari e a motivare in modo approfondito la sua decisione sottoscrivendola.

L’assistenza ai soggetti in stato vegetativo è qualificata come livello essenziale di assistenza ed è assicurata attraverso prestazioni ospedaliere, residenziali e domiciliari secondo modalità previste da disposizioni normative e dall’Accordo sancito tra il Ministro della Salute e le Regioni e Province autonome sulle Linee di indirizzo per l’assistenza alle persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza. Vengono poi disciplinati il ruolo del fiduciario e del medico ed è infine stabilita l’istituzione di un Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento in un archivio unico nazionale informatico.

In molti Paesi del mondo, ma non in Italia, la sospensione delle terapie è un atto lecito e regolamentato negli ospedali, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione del paziente e per evitare il rischio da parte del personale sanitario o dei familiari di cadere nell’accanimento terapeutico. Nonostante diversi autorevoli esponenti della cultura italiana (fra questi, Indro Montanelli e Umberto Veronesi come anche il Partito radicale e diverse associazioni, fra le quali l’Associazione Luca Coscioni e Libera uscita) si siano ufficialmente pronunciati addirittura a favore della depenalizzazione dell’eutanasia e nonostante l’opinione pubblica mostri un interesse crescente verso le tematiche di fine vita (cfr. i risultati dell’indagine dell’Istituto Eurispes dei primi anni Ottanta con quelli del 2003 e infine con il Rapporto Italia 2007), in Italia prevale un atteggiamento di prudenza e cautela.

Cronaca

Le tematiche sulla fine della vita sono diventate argomento d’attualità in Italia soprattutto sull’onda emotiva provocata dalle situazioni drammatiche di alcuni pazienti che hanno fatto molto discutere: quella di Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare progressiva dall’età di 18 anni, completamente paralizzato ma cosciente, confinato a letto e collegato a un respiratore meccanico dal 1998 al 2006, e quello di Eluana Englaro, mantenuta in stato vegetativo permanente dal 1992 al 2009 in seguito a un incidente stradale. Si tratta di condizioni molto diverse ma paradigmatiche di situazioni ugualmente drammatiche per le quali, nel nostro Paese, manca ancora una giurisprudenza adeguata.

Welby, negli ultimi mesi della sua vita, aveva chiesto di potersi avvalere del diritto di rinunciare ai trattamenti a cui era sottoposto, che per lui erano accanimento terapeutico sproporzionato ai risultati attesi. Aveva consapevolmente auspicato la fine naturale della propria vita, rivolgendo appelli drammatici alle istituzioni e alla magistratura, con grande partecipazione da parte dei media e dell’opinione pubblica. La sua richiesta non fu accolta ed egli decise di farsi aiutare da un medico a sospendere le terapie e porre fine alla sua sofferenza. La peculiarità della situazione di Welby è da ricondursi al fatto che egli poteva autonomamente esprimere le proprie volontà e, quindi, esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione in merito alle cure che voleva interrompere, si faccia attenzione, non propriamente rifiutare.

Diversa è stata la situazione di Englaro, incapace di esprimere il proprio volere dal giorno dell’incidente stradale di cui rimase vittima nel 1992. Nonostante i ripetuti sforzi della famiglia, memore delle precise indicazioni verbali della ragazza, per fare rimuovere il tubo dell’alimentazione e sospendere tutte le altre terapie, non giustificabili data l’impossibilità di guarigione o miglioramento, la magistratura si è espressa in maniera negativa in diverse occasioni, fino alla sentenza del luglio 2008 della Corte d’appello civile di Milano che ha autorizzato l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione. L’iter giuridico si è ulteriormente protratto fino al 13 novembre 2008, quando la Corte suprema di Cassazione ha respinto il ricorso della procura di Milano contro l’interruzione di alimentazione e idratazione artificiale, accogliendo così la volontà del padre di Eluana. Il 3 febbraio 2009, la donna è stata trasferita presso una struttura disponibile ad attuare la sentenza. Il 6 febbraio 2009 l’équipe medica ha annunciato l’avvio della progressiva riduzione dell’alimentazione. Quello stesso giorno, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge per impedire la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione dei pazienti, ma il presidente della Repubblica ha rifiutato di firmare l’atto, ritenuto incostituzionale. Il Consiglio dei ministri, riunito in sessione straordinaria, ha quindi approvato un disegno di legge con gli stessi contenuti del decreto. La morte di Eluana è avvenuta il 9 febbraio 2009. Due giorni dopo, l’esame autoptico ha confermato che la causa del decesso è stata un arresto cardiaco derivante da disidratazione, compatibile quindi con il protocollo previsto.

Dalla discussione pubblica ha ripreso vigore l’idea di dotare i cittadini di strumenti legislativi di decisione che rispettino il paziente anche quando non è più in grado di manifestare il proprio pensiero e allo stesso tempo tutelino il medico nell’esercizio della sua professione. In assenza di una legge che garantisca non solo il paziente, ma anche il medico, infatti, quest’ultimo, come già ricordato, se sospende le terapie a una persona in coma per una malattia terminale che non ha più speranza né di guarigione, né di miglioramento, né di recupero dell’integrità intellettiva, può essere accusato di omicidio volontario.

L’infermiere deve attenersi al Codice Deontologico e se il testo della legge rimanesse inalterato potrebbero verificarsi situazioni che collidono con i principi etici della professione infermieristica . È inammissibile che l’Italia, a differenza degli altri Stati membri dell’Unione Europea, non abbia ancora preso una posizione in merito per questioni meramente religiose. L’influenza cattolica, nel nostro paese, non può e non deve ostacolare la realizzazione di una legge che sancisca il diritto della persona di scegliere liberamente cosa fare della propria vita in situazioni così al limite. Richieste come il rispetto della  persona che soffre ed il reclamo ai suoi diritti non possono continuare ad essere rimandate o ignorate!

 

Michela Crudele

 

 

SITOGRAFIA:

WWW.SENATO.IT

WWW.TRECCANI.IT

WWW.CLICMEDICINA.IT

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