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Riceviamo la tesi del dott.ssa Giulia Zizza dal titolo “Competenza e autonomia infermieristica nell’impianto e gestione del catetere venoso centrale ad inserzione periferica: esperienza nell’Unità Operativa Oncoematologica del Policlinico Umberto I di Roma”
Gentile Direttore di NurseTimes,
vorrei proporre ai suoi lettori il mio lavoro di tesi di laurea in infermieristica dissertata presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
ABSTRACT
L’ospedalizzazione è generalmente un’esperienza traumatica per il bambino, qualunque sia l’età e il problema di salute presentato. Come ci insegnano gli studi degli ultimi venti anni, i quali mettono in rilievo il valore della reazione psichica e intellettiva nel processo di guarigione del malato, dal punto di vista psicologico, infatti, la malattia (sia essa endogena o dovuta a fattori traumatici) è in ogni fase della vita, una situazione di rottura con la propria “normalità”, la quale crea uno stato di crisi che si ripercuote non solo sul fisico della persona, ma anche sulle proprie capacità cognitive e relazionali.
Questa rottura – che risulta sempre dolorosa da accettare e da sostenere – per il bambino è estremamente problematica da affrontare per diversi fattori. Ciò non significa negare lo stato di malattia ma piuttosto considerarla come una fase reale e transitoria ed avviare una progettazione verso ciò che il bambino o l’adolescente aspira ad essere in seguito.
Quando il cancro viene diagnosticato ad un bambino, le famiglie, i medici e gli infemieri devono far fronte al compito di dover prendere decisioni terapeutiche urgenti e difficili in quanto la diagnosi di cancro in un bambino o adolescente è un evento catastrofico per tutta la famiglia, nella quale ne consegue un notevole turbamento emotivo. Sebbene questa fascia di età abbia elevate probabilità di cura, la diagnosi di cancro è ancora associata a morte e quindi porta con sé sentimenti di paura, devastazione e solitudine, sconvolgendo la sua esistenza a partire dalle routines quotidiane e dal rapporto con la famiglia. I bambini hanno bisogno di essere sostenuti ed accompagnati da persone che li aiutino a reagire e ad autodeterminarsi nei confronti della malattia, sostenendoli ed incoraggiandoli nella ricerca della propria strada, delle proprie abitudini e desideri. Bisogna quindi creare un progetto educativo incentrato sul bambino attraverso l’utilizzo di un’équipe multidisciplinare che lavora su un progetto di cura pensato appositamente per il bambino guardando le sue risorse, i suoi limiti e le potenzialità di crescita.
Durante il trattamento chemioterapico, oltre a garantire una gestione basata sulle evidenze dell’accesso venoso, uno degli obiettivi principali dei professionisti infermieri deve essere quello di assicurare ai propri assistiti una buona qualità di vita per tutto il periodo di cura, collaborando ad individuare il corretto accesso e il più adatto device nel rispetto delle esigenze della persona con l’intento di preservare il più possibile il suo patrimonio venoso, vista la possibilità di danneggiamento dei vasi data dalla composizione chimica dei farmaci antiblastici somministrati1. Troppo spesso nella realtà clinica si tende a sottovalutare questo aspetto, privilegiando l’uso di aghi cannula periferici sottoponendo quindi l’assistito a continuo stress e a danno vasale, riducendo via via il patrimonio venoso disponibile. La maggior parte dei pazienti pediatrici oncologici sono soprattutto persone che, al di fuori delle ore passate in ospedale per la somministrazione dei farmaci chemioterapici endovena, conducono una vita normale: vita sociale, hobby, divertimento, sport. Questo implica l’ importanza di conoscere fin da subito le loro abitudini di vita per illustrare quale presidio potrebbe essere più consono al loro stile di vita, considerando il loro punto di vista estetico e la funzionalità dell’accesso venoso stesso.
Nell’ultimo decennio i cateteri venosi centrali (PICC) inseriti perifericamente, hanno guadagnato popolarità per gli indubbi vantaggi nella procedura di inserimento ecoguidata senza complicanze, rimozione facile, utilizzo di anestesia locale o topica e performance cliniche sovrapponibili o addirittura migliori ai cateteri centrali inseriti centralmente (CICC). In pediatria per la minore invasività negli anni i PICC hanno avuto ampia diffusione, rispetto agli accessi vascolari centrali inseriti centralmente, restando comunque soggetti ad elevati standard gestionali d’assistenza al fine di evitare effetti avversi potenzialmente letali.
Tuttavia, sebbene abbiano migliorato nettamente la qualità dell’assistenza, non sono ancora privi di complicanze (sia a breve che a lungo termine), anche a seconda della tipologia e della durata del trattamento e sono state mosse alcune preoccupazioni sull’uso di tali dispositivi nei pazienti oncologici pediatrici.
L’obiettivo che si propone la tesi è indagare, attraverso una raccolta dati, quale possa essere il miglior presidio da adottare per le infusioni a medio e lungo termine nel paziente oncoematologico pediatrico, focalizzandosi sulla gestione, in particolar modo medicazioni periodiche e individuazione delle complicanze precoci e tardive, mettendo in luce il ruolo dell’infermiere in quanto egli è il professionista a maggior contatto diretto con l’assistito e quindi è il punto di riferimento durante tutto il periodo di trattamento, facendosi carico sia degli aspetti tecnico-pratici che relazionali/emozionali.
Redazione NurseTimes
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