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Tatuaggi e piercing? Se ce l’ha il medico per i pazienti non è un problema

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Tatuaggi e piercing? Se ce l’ha il medico per i pazienti non è un problema
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Una piccola ricerca effettuata in USA afferma che i pazienti non vedono differenze di competenza, professionalità o affidabilità nei medici che sfoggiano tatuaggi e/o piercing. E per quanto riguarda gli infermieri…?

Un esperimento/studio piuttosto interessante (anche se di piccole dimensioni) è stato effettuato in Pennsylvania (USA): l’equipe di ricercatori composta da Holly Stankewicz e dai suoi colleghi, tutti della Luke’s University Health Network di Bethlehem, ha interrogato i pazienti di un centro traumatologico della comunità di livello I nella terza area urbana più grande dello stato.

E lo hanno fatto dopo che questi erano stati sottoposti a visita medica. Da parte di medici… assai diversi tra loro: erano in sette, quattro uomini e tre donne, e erano “divisi” in 4 tipologie: puliti (ossia senza tatuaggi o piercing), con piercing (orecchino per gli uomini o un falso piercing nasale per le donne), con tatuaggio (un tatuaggio tribale nero temporaneo sul braccio), con tatuaggio e piercing.

Il questionario, atto a misurare la competenza e la cortesia dell’assistenza medica ricevuta, chiedeva informazioni sulle caratteristiche del professionista come la cura, la fiducia, l’affidabilità, l’attenzione, la collaborazione, la professionalità, l’efficienza e la disponibilità.

La ricerca, che ha raccolto più di 900 interviste in nove mesi, ha prodotto risultati interessanti: niente discriminazione. Non sono state riscontrate, infatti, risposte che facessero riferimento al fatto che i medici avessero o meno piercing o tatuaggi. Semplicemente, ai pazienti non interessava.

Stankewicz ha sottolineato: Ci aspettavamo che i pazienti più giovani non facessero caso alla presenza di tatuaggi o piercing, ma la stessa cosa è accaduta a pazienti più anziani. L’atteggiamento generale nei confronti di tatuaggi e piercing è cambiato nel tempo con il mutamento delle norme sociali relative a questo fenomeni”.

In Pennsylvania, certo. Perché qualcosa mi dice che dalle nostre parti, dove non si brilla certo per apertura mentale, fame di cultura e per assenza di pregiudizi, lo studio sarebbe andato in modo diverso…

Comunque. La ricercatrice responsabile del progetto vorrebbe fare uno studio di follow-up in merito alla body art degli infermieri, poiché siamo noi i professionisti che, più d’ogni altro, siamo a contatto coi pazienti. E ciò sarebbe davvero interessante…

Anche se un nostro articolo di non molto tempo fa (VEDI), dove a un’infermiera tatuata fu detto “sono molto sorpresa che ti facciano lavorare così, conciata in quel modo. Cosa pensano i vostri pazienti. Una cosa del genere non è ammissibile nemmeno in un fastfood”, non fa affatto ben sperare…

Alessio Biondino

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