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Studio svedese: “Il sale fa male anche quando non alza la pressione”

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Studio svedese: "Il sale fa male anche quando non alza la pressione"
Salt on wooden background
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A questa conclusione sono giunti i ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma.

Il consumo eccessivo di sale è collegato alla formazione di placche aterosclerotiche nelle carotidi, le arterie che attraversano il collo, e nelle coronarie, i vasi che irrorano il cuore. Ciò avviene anche se i livelli di pressione arteriosa sono nella norma. È il risultato di uno studio coordinato dal Karolinska Institutet di Stoccolma e pubblicato su European Heart Journal – Open.

La ricerca ha preso in considerazione i dati di oltre 10.778 svedesi tra i 50 e i 64 anni, coinvolti in un grande progetto di ricerca sulla salute cardiovascolare (Swedish CArdioPulmonary bioImage Study – SCAPIS). Gli autori hanno rilevato che all’aumento del consumo di sale corrisponde un incremento di rischio di aterosclerosi, sia nelle arterie del collo sia in quelle de cuore. In particolare, per ogni grammo in più di sodio escreto nelle urine, si registrava fino al 17% di aumento dell’aggravamento del rischio connesso alla presenza di placche nelle arterie.

“I risultati mostrano che più sale mangiano le persone, maggiore è il carico di placche aterosclerotiche nelle arterie del cuore e del collo – ha affermato in una nota il primo firmatario dello studio, Jonas Wuopio -. È interessante notare che i risultati sono stati confermati anche quando abbiamo ristretto le nostre analisi ai partecipanti con pressione sanguigna normale (inferiore a 140/90 mmHg) o a quelli senza malattie cardiovascolari note. Ciò significa che non sono solo i pazienti con ipertensione o malattie cardiache hanno bisogno di controllare l’assunzione di sale”.

Per stimare il consumo di sale è stata misurata l’escrezione urinaria di sodio.

La CCTA è stata utilizzata per ottenere immagini 3D delle arterie cardiache per due misurazioni. In primo luogo, la quantità di calcio nelle arterie, riassunta come punteggio di calcio coronarico (CACS) in cinque categorie (0, 1-9, 10-99, 100-399, oltre 399), con un valore più alto che indica un maggiore rischio di infarto miocardico.

In secondo luogo, le ostruzioni (stenosi) dei vasi cardiaci, classificate come nessuna stenosi, stenosi non significativa (restringimento inferiore al 50%) e stenosi significativa (restringimento superiore al 50%). I partecipanti sono stati sottoposti anche a un’ecografia delle arterie carotidi del collo e sono stati suddivisi in tre gruppi: nessuna placca, placca in un vaso e placca in entrambi i vasi.

L’età media dei partecipanti era di 58 anni, e il 52% erano donne.

L’aumento del consumo di sale è stato associato all’aumento dell’aterosclerosi in maniera graduale sia nelle arterie del collo che in quelle del cuore.

A ogni aumento di 1.000 mg si associava una probabilità maggiore del 3%, 4% e 4% di una categoria più grave nelle misurazioni della placca carotidea, della CACS e della stenosi coronarica, rispettivamente.

“I risultati rafforzano il consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di altre società mediche di ridurre al minimo l’assunzione di sale a circa un cucchiaino al giorno – ha proseguito l’esperto -. È difficile stimare quanto sale mangiamo, quindi ho due trucchi per aiutare a ridurne il consumo.

Uno è quello di limitare l’uso del sale da cucina, che è stato messo in relazione con la salute cardiovascolare. Il secondo è quello di sostituire il sale, che è al 100% cloruro di sodio, con un sostituto del sale contenente il 70-80% di cloruro di sodio e il 20-30% di cloruro di potassio. Studi ben condotti hanno dimostrato che questo approccio è benefico per la salute del cuore”.

Redazione Nurse Times

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