La domanda è ancora senza risposta, ma i ricercatori sperano di poterne fornire presto una.
Intervenire su una stenosi asintomatica di alto grado dell’arteria carotidea può fornire benefici cognitivi? È ancora una domanda senza risposta. I ricercatori del trial CREST-2 sperano però di fornire alcune informazioni in merito tramite lo studio aggiuntivo CREST-H. La questione è stata discussa a New York, durante il VEITHsymposium 2019. «Precedenti studi di coorte, tra cui ACCOF-1 e InCHIANTI, hanno dimostrato che la stenosi carotidea asintomatica è associata a deficit cognitivi, nonché a deficit della mobilità e aumento del rischio di caduta», ha ricordato Brajesh Lal, della University of Maryland School of Medicine di Baltimora, ricercatore co-principale di CREST-2.
Inoltre, ha aggiunto, un’analisi dei primi 200 pazienti arruolati nel CRESCT-2 ha mostrato evidenze di compromissione cognitiva rispetto ai 30mila partecipanti allo studio REGARDS, uno studio di coorte nazionale che ha esplorato i fattori di rischio di ictus negli adulti di età pari o superiore a 45 anni. CREST-2, invece, è consistito in due studi paralleli che confrontavano lo stenting carotideo e l’endoarterectomia separatamente con la terapia medica intensiva in pazienti con stenosi carotidea asintomatica di alto grado.
Indicazioni incoraggianti e razionale giustificato – «Indipendentemente dal fatto che avessimo esaminato una funzione cognitiva composita [endpoint] o domini di funzioni cognitive individuali, i pazienti con stenosi hanno ottenuto risultati molto peggiori di quelli senza stenosi», ha detto Lal. La possibilità di far regredire i deficit cognitivi e di mobilità nei pazienti con stenosi carotidea asintomatica =/> 70% è stata testata in studi preliminari. In un piccolo studio prospettico non randomizzato su 46 pazienti, pubblicato nel 2011, la funzione cognitiva è migliorata 6 mesi dopo la rivascolarizzazione con stenting o endoarterectomia carotidea.
Tale scoperta è stata replicata in 14 studi successivi, ha affermato Lal. E in un’analisi ad interim di 42 pazienti nello studio ACCOF-2 monocentrico, non randomizzato, prospettico, ci sono stati trend verso il miglioramento di diverse misure di mobilità un anno dopo la rivascolarizzazione, con significatività statistica raggiunta per indice di andatura dinamica, velocità dell’andatura, e punteggio MiniBEST (una valutazione dell’equilibrio).
Ulteriori prove per rispondere alla domanda iniziale possono essere ottenute dal CREST-2, che ha la funzione cognitiva come endpoint secondario. Inoltre, come accennato, i ricercatori stanno conducendo uno studio aggiuntivo, il CREST-H, per vedere se il deterioramento cognitivo correlato all’ipoperfusione emodinamica rilevata dalla risonanza magnetica (RM) è reversibile con la rivascolarizzazione carotidea. L’intenzione è di arruolare circa 350 pazienti, ha detto Lal.
«L’ipoperfusione cerebrale provoca danni cognitivi e alla mobilità – ha spiegato Lal –. La stenosi carotidea, ora sappiamo, è associata all’ipoperfusione cerebrale. E ci sono risultati sempre più solidi che dimostrano come la stenosi carotidea sia associata a compromissione cognitiva e della mobilità». Il concetto di “asintomatico” come è definito nel contesto della stenosi carotidea dovrebbe essere riconsiderato sulla base dell’evidenza di compromissione cognitiva in questo setting, ha suggerito. «Esiste un forte razionale per includere questi endpoint nel trial CREST-2».
In un altro studio, nessun impatto sul rischio di demenza a lungo termine – In una presentazione a parte, Alison Halliday, dell’Università di Oxford (UK) ha riportato i dati di 15 anni sul rischio di demenza tratti da un sottogruppo di pazienti partecipanti allo studio ACST-1, nel quale i pazienti con stenosi carotidea asintomatica sono stati randomizzati a endoarterectomia immediata o a differimento indefinito di qualsiasi procedura carotidea. I risultati a 10 anni precedentemente riportati hanno mostrato che un intervento chirurgico di successo ha ridotto il rischio di ictus in quell’arco di tempo. La stenosi carotidea è associata all’invecchiamento cognitivo oltre che a un elevato rischio di ictus, ha spiegato Halliday: «Dunque, gli interventi preventivi come l’endoarterectomia carotidea possono prevenire l’invecchiamento cognitivo e quindi la demenza?».
Per rispondere a questa domanda, il suo team ha esaminato i dati di 1.600 partecipanti alla sperimentazione arruolati nel Regno Unito e in Svezia perché quei Paesi dispongono di “buone” informazioni sulla demenza. A 15 anni, il 13,3% aveva sviluppato una qualche forma di demenza. Tale percentuale era più alta nei pazienti che avevano almeno 75 anni all’entrata nello studio (44,5%), intermedi in quelle di età compresa tra 65 e 74 (21,4%) e più bassi in quelli di età inferiore ai 65 (5,4%).
Non vi è stato alcun chiaro impatto dell’endoarterectomia immediata rispetto a quella differita sul rischio di demenza generale (18,7% vs 19,9%; RR 0,94; IC 95% 0,72-1,24), sebbene le analisi dei sottogruppi suggerissero che la chirurgia avrebbe potuto avere successo nel ridurre il rischio nei pazienti con diabete e in quelli senza un precedente infarto cerebrale. «Questi interventi dalla mezza età in poi potrebbero impedire diversi anni di invecchiamento cognitivo per alcuni dei pazienti, quindi questa mancanza di effetto complessivo non preclude la protezione ottenibile dall’intervento carotideo», ha detto Halliday.
Qualche scetticismo emerso in fase di discussione – Durante la discussione successiva alle presentazioni, a Lal è stato chiesto della discrepanza tra i promettenti risultati preliminari che ha riportato e due meta-analisi che dimostrano come l’intervento carotideo non impedisca il declino cognitivo. «La risposta sta nel fatto che abbiamo migliorato la nostra capacità di definire e quantificare nel corso degli anni il deterioramento cognitivo utilizzando test personalizzati – ha risposto Lal –. Un secondo aspetto è che non tutti i pazienti asintomatici sono uguali ed è per questo che c’è attenzione sulla valutazione della perfusione cerebrale come potenziale strumento per distinguere i pazienti che hanno un deficit cognitivo correlato al flusso. Sono questi i pazienti che potrebbero trarre beneficio, non quelli che hanno una demenza associata a infarti multipli o potenzialmente con aterosclerosi intracranica, o una malattia di Alzheimer franca».
L’idea che il deterioramento cognitivo associato alla stenosi carotidea possa essere mitigata dalla rivascolarizzazione è stata tuttavia accolta con un certo scetticismo, più che altro perché una minoranza di pazienti con stenosi asintomatica ha un ridotto flusso ematico cerebrovascolare.
Redazione Nurse Times
Fonte: PharmaStar
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