C’è un tipo di stanchezza che non passa con otto ore di sonno. Una fatica, uno stress che non si misura in chilometri percorsi tra una stanza e l’altra, ma in emozioni trattenute, in lacrime asciugate per pudore, in sorrisi offerti quando dentro non se ne hanno più.
La professione infermieristica è una delle più stressanti al mondo. Ma è anche una di quelle in cui lo stress viene spesso taciuto, nascosto sotto la divisa, mascherato da efficienza. Giorno dopo giorno, tra turni infiniti, urgenze continue, pazienti critici e dinamiche complesse, il rischio di burnout si insinua silenzioso.
Le radici dello stress: una lista che parla di noi
Tutti conosciamo i motivi, ma raramente ci soffermiamo a guardarli in faccia.
- Carichi di lavoro eccessivi
- Turni notturni, festivi, doppi
- Pressioni emotive nei reparti critici
- Conflitti tra colleghi, con superiori o con famigliari dei pazienti
Dietro ogni punto ci siamo noi. Noi che entriamo in stanza sorridendo, anche se vorremmo fuggire. Noi che ascoltiamo la sofferenza, senza avere il tempo di ascoltare la nostra.
Strategie di cura per chi cura
Negli ultimi anni si è iniziato a parlare più apertamente di strategie per contenere lo stress nel personale sanitario. Una delle più efficaci è la mindfulness, non come moda, ma come forma concreta di ritorno a se stessi.
La respirazione consapevole, la meditazione, il rilassamento muscolare progressivo: strumenti semplici, ma profondi. Non eliminano il carico, ma aiutano a non esserne travolti.
Alcuni ospedali stanno investendo in programmi di supporto psicologico per gli infermieri: gruppi di ascolto, consulenze dedicate, spazi di decompressione. È un buon segno, ma resta ancora molto da fare, soprattutto nella cultura interna delle aziende sanitarie.
Riflessione: è davvero tutto sulle nostre spalle?
La gestione dello stress viene spesso presentata come una responsabilità individuale: “Devi imparare a gestirti meglio”. Ma davvero possiamo pensare che un’organizzazione che richiede prestazioni straordinarie si limiti a offrire una lezione di yoga?
Serve un cambio di paradigma. Il benessere dell’infermiere non è un lusso, è una condizione essenziale per la qualità dell’assistenza. Un infermiere esausto non è meno competente, ma è meno presente, meno reattivo, più vulnerabile all’errore. Proteggere chi cura non è solo un gesto etico: è una strategia clinica.
Il tempo: nemico o alleato?
La pianificazione intelligente dei turni, l’equilibrio tra lavoro e riposo, la valorizzazione del tempo libero come tempo terapeutico: tutto questo può fare la differenza. Ma servono strumenti concreti, non solo buone intenzioni.
Ogni infermiere dovrebbe avere diritto a un’agenda sostenibile, a un ambiente in cui il tempo non sia solo nemico da rincorrere, ma anche alleato con cui respirare.
Una domanda che resta aperta
Sappiamo come ridurre lo stress. Sappiamo cosa ci fa male e cosa ci fa bene. Allora perché, ancora oggi, accettiamo che il dolore dell’infermiere sia considerato secondario?
Forse perché curare chi cura richiede un atto di coraggio collettivo. Ma siamo pronti davvero a fare della cura reciproca il prossimo obiettivo della sanità?
Guido Gabriele Antonio
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