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Sla e demenza frontotemporale, scoperto possibile biomarcatore per diagnosi precoce

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Sla e demenza frontotemporale, scoperto possibile biomarcatore per diagnosi precoce
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Secondo un recente studio, la proteina definita neurofilamento a catena leggera può indicare la presenza di queste malattie neurodegenerative.

Esiste un dato biologico, cioè un biomarcatore, rilevabile attraverso le analisi, che possa indicarci la presenza di una malattia neurodegenerativa? La ricerca di un biomarcatore per le malattie neurodegenerative rappresenta un obiettivo molto importante, e la proteina definita neurofilamento a catena leggera (NFL) è una possibile candidata, almeno per quanto riguarda la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la demenza frontotemporale (FTD), due malattie accomunate in una unica base patogenetica.

Il NFL è stato studiato originariamente nel liquido cerebrospinale, ma le moderne tecnologie ci stanno aiutando a rilevarlo anche nel sangue, rappresentando un utile indizio di malattia, di gravità e di eventuale risposta alla terapia. I contributi degli ultimi anni sono sapientemente riassunti in una esaustiva pubblicazione apparsa su Frontiers in Neuroscience, a firma Federico Verde, Markus Otto e Vincenzo Silani, dell’Irccs Istituto Auxologico Italiano – Università degli Studi di Milano, Centro “Dino Ferrari”, in collaborazione con l’Università di Ulm in Germania.

“Questa revisione critica rappresenta, per la completezza e competenza, un riferimento per il presente ed il futuro – afferma Silani, ordinario di Neurologia all’Università degli Studi di Milano e direttore della UO di Neurologia dell’Irccs Istituto Auxologico Italiano –. Federico Verde, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, ha raggiunto una particolare padronanza dell’argomento dopo un periodo di intensa ricerca all’Università di Ulm, e ha potuto raffinare le tecniche di rilevamento del NFL anche grazie alla acquisizione di nuove tecnologie (“saggio di singola molecola”, Simoa). Patologie rimaste per decadi senza biomarcatore, come SLA e FTD, possono ora vantare una priorità tra le malattie neurodegenerative”.

“La revisione – spiega Verde – è il frutto di una analisi della letteratura in un campo a cui sono stato introdotto da un maestro quale Markus Otto, dell’Università tedesca di Ulm, e a cui ho potuto apportare negli ultimi anni un contributo diretto insieme con i colleghi sia tedeschi sia italiani. Il NFL fa parte di una sorta di impalcatura interna delle cellule nervose; quando queste degenerano per effetto di patologie quali la SLA e la FTD, rilasciano al loro esterno frammenti di tale impalcatura, tra i quali appunto il NFL, che pertanto possono essere rilevati e quantificati nei liquidi biologici. Ciò ci fornisce informazioni sul tipo, l’entità e la velocità della degenerazione delle cellule nervose. Le evidenze finora accumulate dimostrano che il NFL può supportare la diagnosi della SLA e della FTD, fornire informazioni utili nella prognosi e, dato di notevole importanza in prospettiva, aiutare a misurare la possibile efficacia dei trattamenti che saranno sperimentati per l’una e per l’altra malattia”.

“È possibile – conclude Silani – che il NFL, affiancato ad altri biomarcatori, possa amplificare la propria specificità fornendo un riferimento insostituibile per la gestione di pazienti con patologia neurodegenerativa, entrando nel bagaglio degli esami da acquisire per il corretto inquadramento dei pazienti affetti da SLA e/o FTD”.

Redazione Nurse Times

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