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Il Sistema Sanitario Nazionale visto con gli occhi di un Infermiere: tra sfruttamento, tirocini post laurea, precariato, disoccupazione, tagli e malcontento

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fail, people, health care and medicine concept - sad female nurse at hospital corridor
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Il sistema sanitario nazionale sta attraversando un momento molto delicato.

I continui tagli, le chiusure di strutture, gli accorpamenti di unità operative ed i tagli imposti dalla “legge di stabilità” hanno messo in ginocchio una realtà già precedentemente claudicante.

Il taglio di un miliardo di euro di fondi destinati alla sanità pubblica in un contesto già disastrato con 8 miliardi di euro di debito è stato un colpo di grazia.

Con la modifica dei LEA (livelli essenziali di assistenza) perfino banali interventi effettuati in Day Surgery e altre prestazioni sanitarie semplici saranno erogate solo dopo il pagamento di ticket.

Il progressivo fenomeno di privatizzazione della sanità si traduce in strutture fatiscenti, macchinari obsoleti, personale ridotto all’osso e non adeguatamente formato, farmaci di qualità scadente e fondi esauriti da molto tempo.

Anche il declino dei livelli essenziali di assistenza (LEA) rappresenta un pericoloso campanello di allarme.

Analizzando da vicino la realtà ospedaliera, appare lampante come le assunzioni di giovani professionisti sanitari avvengano quasi esclusivamente tramite cooperative che ottengono servizi in appalto.

Giovani speranzosi collaboratori vengono assunti e, nella migliore delle ipotesi vengono sottopagati; mentre spesso e volentieri non vengono proprio retribuiti se non con mesi e mesi di ritardo.

La situazione presente nei reparti ospedalieri non è certo più rosea.

E’ possibile trovare un numero crescente di dipendenti di cooperative e sempre meno strutturati, con età media molto elevata a causa dello scarsissimo numero di assunzioni tramite concorsi pubblici.

Presidi sanitari fatiscenti ed obsoleti sono ormai all’ordine del giorno, a causa della penuria di risorse. Non esistono infatti le capacità economiche per acquisirne di nuovi o ristrutturare quelli obsoleti.

Questa situazione contribuisce a generare ulteriore disagio nell’utenza, già provata dai lunghi tempi di visita o di ospedalizzazione.

Allo stesso tempo anche gli operatori sanitari vivono un forte disagio; costretti ad erogare prestazioni sanitarie con materiale e presidi spesso qualitativamente e quantitativamente insufficienti, cercando di garantire standard assistenziali di livello più elevato possibile.

La progressiva chiusura di strutture sanitarie ha generato un aumento esponenziale dei carichi di lavoro presso quelle rimaste ancora operative; che dovrebbero sopperire alla mancanza di quelle precedentemente dismesse.

Ed ecco che la maggior parte delle strutture diventa sovraffollata costringendo il poco personale presente a veri e propri tour de force nel tentativo di garantire livelli assistenziali che possano rasentare la sufficienza.

Giungiamo all’annoso problema delle mansioni. È evidente come in molte realtà ospedaliere non siano presenti operatori socio-sanitari in numero sufficiente.

La non assunzione del personale di supporto rappresenta un enorme risparmio per le aziende sanitarie che, demansionando quotidianamente gli infermieri, generano disagio a diversi soggetti:

  1. I pazienti ottengono un’assistenza qualitativamente e quantitativamente scadente diventando sempre più scontenti;
  2. Gli Infermieri che ambiscono a competenze specialistiche o più semplicemente alle sole competenze infermieristiche non potranno che essere scontenti dovendo svolgere le mansioni del personale di supporto assente;
  3. Gli Oss non riusciranno a trovare facilmente lavoro a causa di questa “politica”.
Ed ecco spuntare una soluzione tanto semplice quanto illecita: lo sfruttamento selvaggio dei tirocinanti.

Nascono reparti interamente gestiti da tirocinanti denominati “Degenze a Didattica Integrata”; un solo infermiere strutturato agirà supportato da 4 o più studenti del corso di laurea in infermieristica non retribuiti.

Non sarà presente personale di supporto ne altre figure professionali stipendiate ad eccezione dei medici, del coordinatore infermieristico e dell’unico infermiere presente in ogni turno.

Analizzando i “reparti classici” invece è situazione comune quella che vede sostenere la mole di lavoro prevalentemente attraverso la sfruttamento di un elevato numero di tirocinanti di infermieristica.

Questo esercito di speranzosi e volenterosi “giovani” non solo non percepisce alcuno stipendio; ma è obbligato ad elargire migliaia di euro in tasse universitarie per poter essere sfruttato in reparto per almeno 3 anni.

Ma i tirocini degli infermieri sembrano non finire mai. Ecco nascere i tirocini post laurea e gli apprendistati: vera e propria schiavitù legalizzata.

Proprio di recente una forte presa di posizione della presidente della FNC ipasvi, Barbara Mangiacavalli, contro questo sistema di sfruttamento ripreso in un nostro precedente articolo (VEDI).

Queste dinamiche permettono di capire alla perfezione in quali condizioni verta la sanità italiana: sempre più soldi vengono destinati al settore privato e sempre più tagli vengono fatti nel settore pubblico. Ed ecco apparire con forza il fenomeno dell’Intra Moenia (VEDI), escamotage che permette ai cittadini di aggirare le liste d’attesa che prevedono tempi biblici semplicemente pagando una cospicua somma in denaro per ogni prestazione.

Sempre più frequentemente gli stessi medici che lavorano per il SSN indirizzano verso il settore privato i pazienti inizialmente conosciuti in ospedale, dando luogo ad un evidente conflitto di interessi.

Non tutti i pazienti possono permettersi di attendere oltre 6 mesi per effettuare una TAC o un qualsiasi altro esame diagnostico.

Ed ecco generarsi un circolo vizioso che specula su un bisogno di salute di una persona in probabile difficoltà derivante dall’alterato stato di salute. Osservando i costanti tagli nella sanità pubblica e i finanziamenti nella sanità privata appare evidente su quale settore avverranno gli investimenti e le speculazioni sulla salute e sulla vita delle persone.

L’ultimo punto analizzato riguarda l’assistenza domiciliare.
Le ASL inviamo personale sanitario al domicilio di quelle persone che non possono spostarsi frequentemente per raggiungere un presidio sanitario.

Non sempre il personale che dovrebbe essere altamente qualificato, risulta realmente esserlo. I casi di cronaca fanno capire come i professionisti inviati a domicilio non siano sufficientemente qualificati o che siano semplicemente gravemente sotto organico per poter operare in sicurezza programmando le attività territoriali.

Occorre pertanto accantonare l’ormai desueto concetto di sanità italiana migliore al mondo. Il sistema di fatto funziona bene solo sulla carta ma è evidente come gli interessi siano esclusivamente incentrati sul profitto.

I costanti “flussi migratori” di medici, infermieri e altri professionisti sanitari verso destinazioni estere è sintomo di una situazione che penalizza sia i pazienti che gli operatori della salute.
Simone Gussoni
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